leggiamo bene la conferenza stampa di Francesco Paolo Spagnuolo, comandante dei mercenari italiani in Iraq.
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"Quei ponti andavano liberati. Gli accordi raggiunti l'altra sera prevedevano la ripresa della circolazione. E con i blocchi, non riuscivamo a rifornire neanche le nostre pattuglie e i posti di controllo". Il maggior generale Francesco Paolo Spagnuolo, comandante del contingente italiano in Iraq, è da poco rientrato alla base di "White Horse", dove chiede notizie dei bersaglieri feriti, ricoverati nella base aerea di Tallil.
"Abbiamo dovuto rispondere al fuoco. I tre ponti che collegano il centro-città erano occupati da centinaia di miliziani armati. Appena siamo arrivati, hanno iniziato a sparare. E noi abbiamo risposto. Non potevamo far finta di niente".
Ma non era stato raggiunto un accordo?
"L'accordo prevedeva che i ponti fossero liberati".
Una sorta d'ultimatum?
"Bisognava riprendere il controllo della città".
Quanto tempo è durata la battaglia?
"Quattro-cinque ore".
Si parla di 10-12 ore. Di scontri alternati a lunghe pause.
"Gli scontri veri e propri si sono protratti per poche ore. Ci sono state delle tregue e poi nuovi assalti".
Tra gli iracheni si contano 15 morti: anche due bambini e una donna. Com'è possibile?
"Le milizie dei rivoltosi si sono fatte scudo di donne e bambini. Hanno iniziato a sparare con fucili automatici, rpg e mortai. La nostra risposta era inevitabile".
Anche di fronte a donne e bambini?
"Senta, noi adottiamo regole d'ingaggio chiarissime. Anzi, proprio la presenza di donne e bambini ci ha reso più cauti".
Un medico afferma che la donna e la bambina facevano parte d'una famiglia chiusa in casa e centrata da un colpo di mortaio. Le nostre forze hanno usato armi pesanti?
"Non mi risulta".
Allora, di chi è la responsabilità?
"Di chi ha usato mortai e lanciarazzi".
Cosa accadrà ora?
"È in corso una trattativa. Alcuni imam e sceicchi della città ci hanno contattato e chiesto una tregua: vogliono convincere le milizie di Sayyed Ryad, rappresentante dell'imam Moqtada al Sadr a Nassiriya, a ritirarsi".
Quale è la vostra proposta?
"Il nostro contingente vuole continuare a controllare la città per offrire aiuto e assistenza. Chi ci ha sparato addosso non rappresenta la maggioranza della città e della popolazione sciita".
Ma hanno il sostegno della popolazione.
"Non è vero. È facile fare leva sul malcontento".
Non crede che la situazione sia più complessa?
"È evidente che quanto accade nel resto del paese si rifletta a Nassiriya. Ma ci sono precisi elementi che soffiano sul fuoco e impongono scelte non condivise dalla popolazione".
Non è quindi una rivolta generale?
"Assolutamente".
Vi è un crescente sentimento antiamericano e antioccidentale. Veniamo visti come una forza occupante.
"La popolazione riconosce il grande lavoro che abbiamo svolto. Persino ieri pomeriggio in molti sono venuti a esprimerci solidarietà".
Crede che sia possibile continuare un lavoro di peacekeeping in una situazione di guerra?
"Vigileremo. Ma non tollereremo altri assalti".
C'è il rischio d'una nuova Somalia?
"È un paragone improponibile".
Come giudica l'ipotesi d'un ritiro come viene chiesto dalle milizie di al Sadr?
"Non è nei nostri piani. È prevista una tregua di 48 ore. Ci siamo ritirati nella parte sud della città, quella nord è affidata al controllo della polizia irachena".
Fino a quando?
"Fin quando le milizie non saranno disarmate".
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