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Israele e il nucleare
by Da Il Manifesto Wednesday, Apr. 21, 2004 at 3:07 PM mail:

una bomba poco segreta


ISRAELE-NUKE
La bomba (poco) segreta
400 atomiche In spregio all'Onu e in violazione delle
convenzioni internazionali
MANLIO DINUCCI
La storia di come Israele riesce a costruire un potente e
sofisticato arsenale nucleare, senza mai ammetterne
l'esistenza, inizia nell'anno stesso della sua nascita. Nel
1948, una unità scientifica dell'esercito comincia le
prospezioni che portano alla scoperta di uranio nel deserto
del Negev. Contemporaneamente, l'Istituto Weizmann si
concentra nella ricerca nucleare, in stretta collaborazione
con gli Stati uniti, che gli forniscono apparecchiature e
tecnologie. Su tale base, gli scienziati israeliani sviluppano
un nuovo metodo per produrre acqua pesante, che forniscono
agli Stati uniti. A questo punto, per produrre il plutonio
necessario alla fabbricazione di armi nucleari, Israele ha
bisogno di un reattore, che ottiene dalla Francia con la quale
già collabora.

Da parte loro, gli Stati uniti hanno interesse che, oltre alla
Gran Bretagna (terza potenza nucleare dopo Usa e Urss), anche
Francia e Israele si dotino di armi nucleari.

Si crea così una triade segreta: mentre Israele, servendosi
anche di tecnologie statunitensi, aiuta la Francia a costruire
un impianto per l'estrazione di plutonio a Marcoule
(ufficialmente destinato ad uso civile), la Francia aiuta
Israele a costruire, in un bunker sotterraneo a Dimona, un
reattore nucleare e un impianto per l'estrazione del plutonio
analogo a quello di Marcoule. Nel 1960, la Francia entra
ufficialmente nel club nucleare, facendo esplodere nel Sahara
la sua prima bomba al plutonio. Nello stesso anno, non potendo
più nasconderlo, il primo ministro israeliano Ben Gurion
annuncia al mondo l'esistenza del reattore, garantendo che
esso verrà usato «a scopi pacifici».

A questo punto entra in scena anche il governo statunitense,
che chiede a Israele di sottoporre il reattore di Dimona a
ispezioni internazionali. Il governo israeliano accetta,
ponendo la condizione che siano effettuate da ispettori
statunitensi. Questi, tra il 1962 e il 1969, visitano più
volte Dimona assicurando che si tratta di un impianto ad uso
esclusivamente civile. Nel frattempo, probabilmente nel 1966,
l'impianto di Dimona comincia a produrre armi nucleari. Nel
1967, Israele ha già alcune bombe nucleari, che schiera
segretamente nella guerra dei sei giorni e, di nuovo, nella
guerra del Kippur nel 1973.

La triade si trasforma in pentagono quando, con l'imprimatur
di Washington, il governo israeliano allaccia una relazione
segreta con il Sudafrica della apartheid, sostenuto dagli Usa
e dalla Gran Bretagna. Il Sudafrica fornisce a Israele almeno
550 tonnellate di uranio e, in cambio, riceve da Israele il
know-how tecnologico che gli permette di costruire sei bombe
nucleari.

Israele è così riuscito a costruire un arsenale valutato in
circa 400 armi nucleari con una potenza complessiva di 50
megaton, equivalente a 3.850 bombe di Hiroshima. Come vettori
nucleari, le forze israeliane usano una parte degli oltre 300
caccia F-16 e F-15 potenziati, forniti dagli Usa, armati anche
di missili israelo-statunitensi Popeye a testata nucleare.
Un'altra versione, il Popeye Turbo, è installata su tre
sottomarini Dolphin, forniti dalla Germania. Si aggiungono a
questi vettori nucleari circa 50 missili balistici Jericho II,
su rampe di lancio mobili, e i razzi Shavit utilizzabili anche
come missili balistici a lunga gittata. Nonostante le ripetute
risoluzioni con cui l'Assemblea generale delle Nazioni unite
ha ribadito «la sua condanna del rifiuto di Israele di
rinunciare al possesso delle armi nucleari» e ha chiesto al
Consiglio di sicurezza di «prendere urgenti misure perché
Israele si adegui alla risoluzione 487 del Consiglio stesso,
in cui si chiede che esso ponga i suoi impianti nucleari sotto
la giurisdizione della Iaea» (Risoluzione 44/121 del 15
dicembre 1989), la sempre più pericolosa e destabilizzante
presenza dell'arsenale nucleare israeliano (l'unico in Medio
Oriente) continua a essere ignorata dai governi delle «grandi
democrazie occidentali».


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