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Melfi, una lotta operaia
by da liberazione Thursday, Apr. 22, 2004 at 7:38 PM mail:

Nello stabilimento Sata-Fiat situazione al limite.

Quanti costosi convegni buttati via, quanta propaganda aziendale mascherata da modernità sociologica crollano in questi giorni davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat di Melfi. Di fronte alla fabbrica modello, che doveva inaugurare un nuovo sistema di governo della forza lavoro, migliaia di giovani operai sono in sciopero per la dignità e per i loro diritti.
Questa lotta viene da lontano, non è frutto di un temporale improvviso. Da anni la Fiom contesta, spesso in silenzio e solitudine, il modello Melfi. Alla faccia della modernità, nello stabilimento Sata-Fiat di Melfi si lavora con i ritmi e con le procedure del taylorismo più spinto e antico. A Melfi è stato sperimentato, usando le persone in carne ed ossa come cavie, quel TMC2 che riduce del 20 per cento le pause di riposo nei ritmi della catena di montaggio. A Melfi si lavora su tre turni, su sei giorni alla settimana e quando si fa la notte, essa non finisce più. Dopo un'intera settimana di turno di notte, ce n'è subito un'altra. E' questa l'odiatissima "doppia battuta", contro cui da tempo protestano i lavoratori e che desta scandalo in chiunque abbia a mente le più elementari norme di salute e sicurezza sul lavoro. A Melfi i lavoratori ricevono in media 1500 euro all'anno in meno dei loro colleghi degli altri stabilimenti Fiat, i quali peraltro hanno già le paghe più basse tra tutti i lavoratori dell'auto in Europa. Sono queste ingiustizie che vengono da lontano, dal ricatto iniziale verso i lavoratori, il sindacato, le popolazioni del sud, con il quale fu impiantato lo stabilimento in Basilicata. «O accettate queste condizioni, o non se ne fa niente». Dopo molti anni finalmente si ha la forza di rifiutarle quelle condizioni.


La voglia di riscatto del Mezogiorno
La lotta di Melfi è una lotta operaia ma è anche una lotta che esprime il protagonismo delle popolazioni del Mezzogiorno, la loro voglia di riscatto e di dignità. Essa fa eco in fabbrica alla grande mobilitazione di Scanzano. Dopo tanti anni duri e difficili finalmente è scattato quel meccanismo che fa dire: «Adesso basta».

A Melfi vengono così affondate le gabbie salariali e tutti quei disegni padronali e governativi che puntano a fare del Mezzogiorno una nuova terra di lavoro, che deve guadagnarsi il pane rinunciando a diritti e a salario. Sarà per questo clamoroso fallimento che il sottosegretario al lavoro ha reagito con tanta rabbia. Egli ha riproposto i suoi deliri contro la Fiom, e non si è accorto così di annunciare la sconfitta di chi in questi anni ha puntato a distruggere il principale sindacato dei metalmeccanici. Con il suo comportamento caricaturale per un uomo di governo, che dovrebbe teoricamente difendere gli interessi del lavoro, e che invece assume le posizioni più becere e oltranziste a favore dell'azienda, il sottosegretario al Lavoro ha semplicemente manifestato la propria ringhiosa pavidità e impotenza. Ma anche la Fim la Uilm e Fismic i tre sindacati che a Melfi raccolgono oltre il 60% dei consensi dei lavoratori, registrano in queste ore un clamoroso fallimento della loro linea moderata e collaborazionista con l'azienda. Sono i loro iscritti, i loro delegati a scioperare insieme agli altri, anch'essi non ne possono più. Fim e Uilm hanno reagito a tutto questo secondo il copione di quest'ultimi anni, quello degli accordi separati in Fiat e sul contratto nazionale. Ma questa volta le lore parole suonano vuote e inutili, anch'essi sono di fronte alla fine di un disegno, la loro vecchia politica non funziona più.

Ma il fallimento principale è quello della Fiat. Il gruppo torinese in questi anni ha cercato di creare intorno a Melfi un'isola che esorcizasse la crisi del gruppo. Melfi doveva essere una sorta di vetrina del lavoro a basso costo e ad alto rendimento, necessaria per convincere qualcuno all'estero a comprarsi l'intera produzione dell'auto. Questa strategia miope, che non ha puntato sullo sviluppo di Melfi, ma solo sul suo supersfruttamento, è giunta alla fine. Ora chiunque vorrà fare i conti con Melfi sa che non ha più di fronte una scatola di montaggio buona per qualsiasi uso, ma una fabbrica con storie, lavoratori, professionalità e dignità, che come tale vuole essere considerata. Da oggi Melfi vale molto di più.


Una battaglia
che viene da lontano
E' stato duro costruire questa lotta. Per anni la Fiat ha usato i più brutali strumenti della repressione, del ricatto, delle minacce, del licenziamento, per impedire che le lavoratrici e i lavoratori alzasserro la testa. Un autoritarismo da caserma sabauda è stato chiamato beffardamente sistema partecipativo, ma in realtà tutti sapevano che l'unica partecipazione era quella dell'azienda sulle vite, sui destini delle persone che in essa lavorano. Ora tutto questo si infrange di fronte ai cancelli della fabbrica, pare sciogliersi come neve al sole. Voremmo dire ai tanti che periodicamente ci spiegano che il lavoro e gli operai non esistono più, che questa è la lotta di classe, la lotta di popolo, quella che c'è stata a Termini Imerese, quella che c'è stata a Terni, quella che c'è oggi a Melfi, quella che deve crescere dappertutto. Sabato, promossa dalle Rsu e sostenuta dalla Fiom, a Melfi ci sarà una manifestazione dei lavoratori del sito industriale che si preannuncia come un vastissimo appuntamento di solidarietà e di mobilitazione. Questa lotta non deve essere sconfitta. Il governo, se ha ancora un briciolo di dignità istituzionale e di vergogna dal farsi rappresentare unicamente dal suo sottosegretario al Lavoro, deve convocare un incontro per discutere. La Fiat deve finirla con gli atteggiamenti che ha in Turchia o negli altri paesi ove rifiuta le più elementari norme democratiche nelle relazioni sindacali e deve accettare di sedersi a un tavolo. Come sempre una grande lotta operaia diventa una grande questione di democrazia che riguarda tutti.


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