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I detenuti del Bassone di Como in lotta
by s.b. Friday, Nov. 05, 2004 at 7:11 PM mail:

L'epicedio dei carcerati italiani

Da più di dieci giorni è in atto la protesta anche dei detenuti della casa circondariale "Bassone" di Como. Ci è pervenuta copia della lunga lettera scritta dalla delegazione dei detenuti in lotta alle varie autorità, giudiziarie e amministrative.

La riportiamo, qui di seguito, integralmente, così come ci è pervenuta.

"Signori in questo clima generale segnato da forti spinte emozionali e irrazionali riflettere sulle problematiche del carcere è assolutamente difficile, ma ancora più necessario. L'obiettivo è certamente fallito! Esso rappresenta, anzi, è solo un imperativo scolpito nella pena detentiva. Perchè proclamato dalla Costituzione. Perchè corrisponde a un dovere di civiltà. Perchè potrebbe divenire anche un investimento vantaggioso: se si sanno guardare i fenomeni in una prospettiva non miope, che interpreti la pena detentiva non come un unico mezzo punitivo e vessatorio.

Purtroppo è finito il tempo delle norme scolpite nel marmo. I detenuti consumano a ritmo febbrile giorno per giorno i loro quotidiani abusi, invadenze e prepotenze giuridiche (fuori dagli agenti penitenziari) e non importa se in buona o cattiva fede; non s'è mai visto un momento penitenziario così fluido e deperibile: Consulta, Camere l'hanno riscritto, lo riscrivono e nulla fino ad ora ha garantito, se non trasformarlo in una vera torre di Babele legislativa i cui esiti definitivi rimangono utopici. La procedura riedita stereotipi contrastanti in spregio all'isonomia che è la base teorica di ogni diritto sancito costituzionalmente da secoli di cultura giuridica, dissonando dal sistema e a supporre che esista ancora il 'patto penitenziario': fiorisce l'ibrido; e come talvolta avviene nei laboratori genetici, i restauratori della riforma penitenziaria hanno incrociato i difetti, moltiplicandoli con interventi insensati: riappare lo spettro dell'inquisizione che evoca nella riforma penitenziaria nuove storture interpretative ... ogni legislazione scritta diventa una sfinge giuridica, cognizione onnivora; ove il detenuto non si chiede più a che cosa è servito lo spirito della riforma del 1975; quel 'fiore all'occhiello' messo a stendardo dal nostro paese come simbolo di democratica umanizzazione carceraria - ora diventato un crisantemo.

Purtroppo siamo tornati in epoca post riforma. Tale 'rivoluzione copernicana' è ancor più evidente laddove ci si soffermi con sufficiente spirito analitico, tutto quello che è oggi il carcere si trasforma in una vera cloaca sociale dove viene scaricata tutta una serie di compiti che in una società giusta e ordinata dovrebbero essere affrontati con altri strumenti e trovare altre civili risposte. Il carcere, quello di oggi, funziona come ultimo livello sociale dove vengono, appunto, fatti precipitare i problemi che nessuno altro vuole o può risolvere. Siamo rimasti da soli signori, noi detenuti, le direzioni e gli agenti di custodia, tutti abbandonati come veri e propri 'res derelicte' e, quindi, abbiamo il dovere morale di difendere quel minimo di dignità che il carcere sta distruggendo e, nel contempo, contenere quella garanzia fondamentale di civiltà e di temperanza umana.

Signori l'epicedio [canto funebre, ndr] si espande inesorabilmente in tutte le carceri italiane.

L'epicedio si espande anche all'introduzione delle leggi 203/91 e 356/92, introducendo le vergognose limitazioni soggettive alla negazione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti di cui ora il governo dovrà occuparsene seriamente. Questa limitazione, prima della riforma del 91/92, poneva in evidenza il detenuto, cioè la persona a prescindere dal reato commesso dalla vita precedente e da altri riferimenti all'ambiente suo proprio. Come a dire che con la sentenza di condanna iniziava l'esecuzione della pena e che, quindi, da questo momento interessava il detenuto verso cui si focalizzava l'attenzione, proteso a risocializzarsi ed a recuperarsi alla società (art.27 Cost.). In effetti, il movimento di pensiero che aveva portato all'approvazione dell'ordinamento penitenziario aveva preso spunto dall'affermazione secondo la quale non esistono detenuti che possono porre questioni di sicurezza: tutti sono suscettibili di recupero sociale mediante un trattamento penitenziario personalizzato. Con la riforma, invece, si è voluto dare rilevanza anche al fatto reato e a tutto ciò che lo accompagnava in un contesto finalizzato soprattutto ad indurre alla collaborazione con la giustizia. Cosicchè, veniva di fatto escluso da qualsivoglia ravvedimento del detenuto che non collabora e/o che forse non può collaborare anche per questioni morali e/o familiari. La contraddittorietà costituzionale è palese; mentre il collaboratore usufruisce 'ipso facto' di enormi sconti di pena e, nel contempo, già reinseribile nel contesto sociale senza aver 'assaggiato' il carcere, d'altro canto colui che non collabora e che rientra in uno dei reati di cui al 4-bis dell'O.P., questi, di fatto, è escluso dalla possibilità di reinserirsi nel contesto sociale ancor prima di entrare in carcere, assurdo degli assurdi, perchè non solo in contrasto con la Costituzione: 'La pena deve dare la possibilità di reinserire il reo', ma questo obrobrioso limite fa a pezzi il 'patto penitenziario' che miete migliaia di vittime!

Sembra questa una pena accessoria malgrado non concessa dal giudice di cognizione.

In altre parole, qui il problema non è tanto in funzione della pena, ma piuttosto, di indurre chi ha partecipato ad associazioni criminose e mostrare in concreto e con comportamenti positivi (non si sa quanto ortodossi) la asserita decisione di aver mutato sistema di vita e di aver scelto lo Stato alle proprie origini malavitose. Se è vero ed è vero incontestabile che lo Stato deve tendere alla rieducazione del reo, è anche vero che lo Stato deve dare la stessa opportunità di 'premiare' il reo che dopo magari venti anni di galera vera egli possa anche redimersi attraverso la pena: ilprimo offre la propria coscienza immediata, il secondo finchè non si entra nella sua coscienza mai si potrà misurare, dopo ventanni il suo pentimento.

L'epicedio si espande anche sulla carcerazione preventiva, le cosiddette 'manette facili'; problematica questa che ha da sempre sollevato sia in dottrina e sia in giurisprudenza, innumerevoli questioni tuttora irrisolte. E tra le norme di diritto formulate dal legislatore la più infelice per la sua caratteristica molto vaga e generica ove si tenga presente in particolare considerazione che attraverso la stessa viene ad essere, anzi, 'intoccata', la libertà della persona chiaramente ed energicamente tutelata dalla costituzione (art.13), sicchè il legislatore, nel formularla, avrebbe dovuto indicare rigorosamente cosa dovesse intendere con l'inciso 'gravi indizi di colpevolezza' e non avendolo fatto (ignavia?) ha lasciato alla piena discrezionalità degli organi inquirenti, requirenti e giudicanti di stabilire le modalità ed i criteri con il pericolo di dover facilmente violare la norma costituzionale e con essa, per conseguenza la libertà stessa dell'imputato.

L'epicedio si espande anche verso coloro con il 'fine pena mai!' che in parole semplici, pur con i temperamenti 'ex lege' la privazione perpetua della libertà personale la quale soggiace alle stesse obiezioni avverso la pena di morte (vergogna!).

L'epicedio si espande in onore delle vittime di questo degrado carcerario: dal 2001 ad oggi sono deceduti tra suicidi e morti 'naturali' più di 500 detenuti uno ogni due giorni e la maggior parte di essi non superavano i quarantanni. Purtroppo questo record sta aumentando giorno per giorno, è forse una eredità della sinistra sig.Castelli ?!?!

L'epicedio si espande verso i 25mila tossicodipendenti, massacrati dalla legge Russo-Jervolino-Vassalli la 309/90 che anzichè applicare l'art.2 della legge, costoro sono costretti a vivere la loro tossicodipendenza in una sorta di 'Bronx psicologico' doppiamente detenuti e assolutamente abbandonati nelle celle; unica cura terapeutica consentita.

L'epicedio si espande anche verso gli extra-comunitari i quali sono esclusi quasi in toto dalla legge penitenziaria.

L'epicedio si espande sul sovraffollamento in maniera vergognosa nella massima promiscuità dove i detenuti sono costretti (senza virgolette) ad ubicare celle in 5 o 6 persone, celle costruite per una persona, massimo due.

L'epicedio si espande nell'opinato quanto mai ingiustificato taglio alla sanità, mancano i medicinali di prima necessità e sono reperibili tramite domandina, quindi a mezzi propri, per chi non ha i soldi ci penserà il padreterno.

L'epicedio si espande a circa diecimila malati di tbc, diecimila malati di epatite c, e tantissimi malati di scabbia.

Pertanto, i detenuti della VIa sezione della Casa Circondariale di Como da oggi in simbiosi con altri istituti penitenziari attueranno ad oltranza in forma di pacifica protesta al fine di sensibilizzare le autorità competenti a porre fine a questo stato degradante con la speranza di decongestionare il sovraffollamento con un vero e tangibile atto riparatore nell'applicare la legge 27 maggio 1998, n.165 (legge Simeoni) senza esclusioni oggettive e soggettive per tutti coloro che si trovano con una pena in espiazione non superiore a tre anni, cioè gli ultimi tre anni di detenzione anche se questi sono residui di pena più elevata.

Chiediamo una seria e concreta revisione dell'art.4-bis; una uniformità di apllicazione di tutte le misure alternative alla detenzione in applicazione di tutta la magistratura di sorveglianza in parità e dignità di trattamento.

Chiediamo un possibile incontro con il Magistrato di sorveglianza e ulteriori Autorità politiche competenti alle problematiche delle carceri per un serio e democratico incontro per un dialogo in ordine a quanto in oggetto.

Como, 22 ott. 2004" (seguono le firme)

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