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Ely Karmon : vicinanza tra no global e terrorismo islamico
by marcos Tuesday, Nov. 30, 2004 at 10:11 PM mail:

Vicinanze tra terrorismo o fondamentalismo islamico e no global ? lo sostiene Ely Karmon, ricercatore presso l’istituto di studi contro il terrorismo di Herzliya, secondo l'espresso "maggiore esperto israeliano di antiterrorismo" vale a dire, vista l'esperienza che hanno, uno dei massimi esperti mondiali. Nel frattempo, sistematicamente, gli admin di indymedia censurano tutti le notizie critiche sull'islam, come quelle sulla condizione della donna, stesse denuncie fatte da Theo Van Gogh, per questo ammazzato: http://italy.indymedia.org/news/2004/11/687475.php http://italy.indymedia.org/news/2004/11/687455.php

L'esperto Massimo Introvigne lancia l'allarme al convegno sul terrorismo : Come cambia la mappa delle alleanze all'ombra dei fedelissimi di Al Qaida


I campi di addestramento di Al Qaida, verso i quali in passato più di un islamico è partito anche da Torino, non servono soltanto ad insegnare l’uso di armi ed esplosivi.
Come ha spiegato il pm Stefano Dambruoso, il magistrato che conduce l’inchiesta sulle cellule del terrorismo islamico a Milano, intervenendo alla giornata di studi sul tema “Terrorismo internazionale world governance” «Hanno la capacità di far acquisire uno spiccato spirito di appartenenza ad un’unica associazione a persone di etnie diverse».
Ma tra queste ce n’è una che ancora sembra sfuggire a un’analisi completa circa possibili alleanze con le centrali del terrore. La gran parte degli albanesi, popolazione pure questa in crescita nel nostro paese grazie soprattutto all’immigrazione clandestina, si professa musulmana. Ma la loro è una religiosità, come spiegano gli esperti, del tutto particolare che sembra assai distante da quelle che invece uniscono nel segno di Allah e (nell’aspetto deteriore e criminale) in quello di Bin Laden, numerosi islamici di differenti nazionalità.
«Al momento non ci sarebbero interventi importanti - spiegano gli esperti dell’antiterrorismo - in Albania da parte dei reclutatori di Bin Laden, quelli che chiamiamo i missionari di Al Qaida». Il rischio, semmai, riguarda un possibile patto, anche a livelli più bassi, tra il terrorismo islamico ed elementi della malavita albanese. Anche se quest’ipotesi verrebbe contrastata dal punto di forza delle cellule islamiche, ovvero l’impenetrabile compartimentazione. Anche su questo fronte, tuttavia, viene intensificato il lavoro di intelligence, rispondendo di fatto a quanto ribadito ancora ieri a Torino dal sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti. «Tutti nel nostro paese devono farsi carico del problema terrorismo - ha detto Vietti - e si devono attrezzarsi a fronteggiarlo in maniera determinata».
Un allarme su un possibile contatto tra terroristi islamici e neoterroristi italiani viene, invece, dall’israeliano Ely Karmon, ricercatore presso l’istituto di studi contro il terrorismo di Herzliya.
Karmon, autore in passato di un saggio sul rapporto tra Brigate Rosse e Organizzazione per la Liberazione della Palestina, pone in evidenza come «esiste già una forte solidarietà tra il terrorismo islamico e i neobrigatisti rossi come confermano alcuni passi, per esempio, della rivendicazione dell’omicidio D’Antona». Inoltre, per l’esperto israeliano «Anche la parte estrema del movimento no global ha più volte espresso una spiccata vicinanza. Per fortuna, credo non ci siano le condizioni per un vero patto, una strategia comune».

da: http://www.censurati.it/censurati/?q=comment/reply/2470/20939
I no global italiani hanno voluto
al Forum di Beirut il partito armato
sciita. “C’è una nuova strategia”
Gerusalemme.
E’ passata quasi inosservata,
ma il 17 e il 19 settembre, ricorrenza
del massacro di Sabra e Chatila, si è svolta a
Beirut la conferenza dell’Istituto di ricerca
Focus on the Global South sul tema delle
nuove strategie no global. Tra i partecipanti,
organizzazioni non governative, pacifisti e
rappresentanti dell’“altro mondo è possibile”
di 43 paesi. Tra gli invitati d’onore, il Partito
socialista pro Siria del Libano e Hezbollah.
Si è creato così il risentimento da
parte del movimento no global libanese,
snobbato a vantaggio del gruppo terrorista
sciita. Secondo informazioni raccolte dal giornale,
la presenza di Hezbollah, fautore del
primo terrorismo suicida, è stata richiesta
per la forte pressione dei no global italiani.
Nella dichiarazione di Beirut, i 300 gruppi
partecipanti alla conferenza appoggiano la
“resistenza” militare degli Hezbollah nel
sud del Libano contro Israele, descritta come
motivo di ispirazione della lotta no global
contro capitalismo e sionismo, e sottolineano
la loro solidarietà ai gruppi estremisti
palestinesi. “Per la prima volta – dice al
giornale Ely Karmon, direttore dell’International
Policy Institute for Counter-Terrorism
di Herzliya – il movimento no global dichiara
non solo di accettare gli attacchi suicidi,
ma di considerarli armi legittime per la liberazione
nazionale di un popolo. La conferenza
prova che la nuova strategia del movimento
no global è di unirsi ai movimenti
islamisti e di fare proprie le loro battaglie”.
ai posteri l'ardua sentenza!!
forse dovrò ricredermi sul fatto del gruppo isolato qui è l'intero movimento no global che puzza di marcio!
è sono perplesso sul loro antisionismo!



Da l'espresso online

Il maggior esperto israeliano di antiterrorismo traccia l'identikit degli uomini-bomba. Analizza le loro azioni. E avverte: stanno cambiando strategia



colloquio con Ely Karmon di Aldo Baquis


Fra gli ideologi di Al Qaeda si avverte negli ultimi tempi un cambiamento. Alcuni pensano che la guerra globale contro gli Stati Uniti abbia passato la sua fase acuta e che forse sia opportuno tornare adesso a combattere contro regimi arabi invisi. Gli attentati di Riyad e Casablanca potrebbero rientrare in questa tendenza...

Dalla finestra del suo ufficio di Herzliya, (Tel Aviv) il professor Ely Karmon, un ricercatore dell´Istituto di politica internazionale di contro-terrorismo vede i verdi prati di un tranquillo campus. Ma il materiale su cui lavora, assieme con decine di ricercatori provenienti sia dal mondo accademico che dai servizi di sicurezza, è esplosivo. Nel suo istituto si analizzano le strategie, le tendenze e le tattiche dei gruppi terroristici, in prevalenza mediorientali. Si cerca di escogitare nuove tecniche di prevenzione relative alla intercettazione dei kamikaze. I loro consigli, inoltrati ad esponenti di governo, non sono di norma divulgati alla stampa. Ely Karmon ne parla con ´L´espresso´.

Pochi giorni fa, una giovane palestinese, tranquilla e riservata, ha lasciato la propria casa in uno sperduto villaggio della Cisgiordania e poche ore dopo si è fatta esplodere ad Afula, dove ha ucciso tre israeliani. Questi attentati si possono evitare?

"Sì, è possibile. Nell´ultimo anno abbiamo sventato oltre l´80 per cento dei blitz progettati dai palestinesi. Nel caso della ragazza è evidente che prima che lei uscisse di casa qualcuno aveva provveduto a procurare gli esplosivi, a confezionare l´ordigno, a preparare il giubbotto esplosivo, a stabilire la meta e il percorso, a trovare un accompagnatore di fiducia. Tutto ciò ci dice che non si tratta di un atto spontaneo, bensì di un attacco organizzato nei dettagli".

Si può tracciare l´identikit del kamikaze?

"All´inizio erano giovani di ceti sociali umili. Adesso, per via della forte propaganda e indottrinamento, ci sono anche donne, uomini di età più matura, studenti universitari, in particolare delle facoltà tecnico-scientifiche. Ne abbiamo contati 180: in 120 si sono fatti saltare, gli altri sono stati bloccati o hanno rinunciato".

Che disegno politico hanno i kamikaze?

"Nulla è accidentale. Il giorno in cui Yasser Arafat ha accettato la nomina di Abu Mazen a primo ministro, c´è stato un attentato. Il giorno in cui Abu Mazen ha presentato il governo al Parlamento di Ramallah, c´è stato un attentato. Il giorno in cui Ariel Sharon ha ricevuto a Gerusalemme Abu Mazen, c´è stato un attentato. Dietro a questi episodi c´è sempre una decisione strategica. Ad alto livello. Quando c´è una ragione politica immediata, i gruppi radicali richiamano anche i riservisti, pur di colpire".

Si vuole in sostanza far deragliare il tracciato di pace della road map?

"Ogni volta che si intravvedono i germogli della ripresa di un dialogo, come appunto l´incontro Sharon-Abu Mazen, ci sono più attentati. Per gli estremisti, il dialogo rappresenta una sconfitta".

Come vede il ruolo di Arafat ?

"Fintanto che egli resta una figura dotata di influenza politica, il processo di pace non avanzerà. Perché è stato lui stesso a gettare le basi dell´intifada, ancora prima del fallimento del vertice di Camp David (luglio 2000). Non punta alla pace, ma solo a prendere un boccone dopo l´altro. Dapprincipio anch´io avevo creduto negli accordi di Oslo. Ma dalla fine del 1994 ho cominciato a comprendere che Arafat non voleva un vero processo di pace, bensì costituire una testa di ponte nei Territori, e accumulare la forza necessaria per proseguire oltre. Il momento di svolta è avvenuto nel maggio 2000, con il ritiro dal Libano meridionale dei soldati israeliani incalzati da appena mille guerriglieri Hezbollah. Nei Territori molti hanno pensato che Israele fosse ormai in ginocchio".

I dirigenti europei sbagliano a vedere in lui l´elemento portante di futuri accordi di pace?

"La cocciutaggine di vedere in Arafat un partner, i continui incontri, gli danno certamente ossigeno. Egli continua a ricevere aiuti economici, e controlla inoltre una parte delle forze di sicurezza palestinesi, anche per impedire a Mohammed Dahlan, il responsabile per la sicurezza interna nel governo Abu Mazen, il disarmo dei radicali".

La simultaneità degli attentati in Arabia Saudita, in Marocco e in Israele fa nascere il dubbio che fra Al Qaeda e i militanti dell´intifada ci possano essere legami.

"Il conflitto israelo-palestinese è uno strumento utile per quanti vogliono far fallire l´iniziativa statunitense nei confronti dell´Iraq, in primo luogo, e anche verso Siria e Iran. Al Qaeda ha prestato attenzione a questo conflitto relativamente tardi, verso il 2000. In quegli anni, la Palestina occupava solo il quinto posto. Gli attentati contro la sinagoga di Djerba, un anno fa, e quello di Casablanca, nei giorni scorsi, ci dicono che qualcosa in Al Qaeda è cambiato. Per loro attaccare obiettivi ebraici è come colpire Israele".

È vero che nell´attentato a Tel Aviv, alla fine di aprile, c´erano le impronte di Al Qaeda?

"Sì, c´è stato l´inizio di un legame fra Al Qaeda e Hamas, due organizzazioni che dopo la guerra in Iraq si trovano entrambe sulla difensiva. I primi hanno scelto due kamikaze a Londra, li hanno indottrinati e li hanno inviati a Damasco. Là, probabilmente, sono entrati in contatto con elementi di Hamas. Fra quelle due organizzazioni esiste la disponibilità a cooperare di fronte a un nemico comune. Ma ci sono divergenze profonde sulla strategia".

I due kamikaze britannici che hanno colpito a Tel Aviv sono casi isolati in Occidente?

"A partire dal 1998, cellule di militanti islamici sono state scoperte anche in Italia. C´erano egiziani, algerini, tunisini e marocchini che progettavano un attentato contro l´ambasciata Usa. Lo scopo dei movimenti che si riconducono ad Al Qaeda è di ricreare la Umma, la grande nazione araba guidata dalla Sharya, la legge coranica. La novità ideologica degli ultimi tempi è la formulazione della ´Umma non territoriale´: del principio cioè che i musulmani devono rispettare i propri dettami ovunque si trovino, anche in Occidente. Predicatori islamici residenti a Londra, come Omar Bakri e Abu Hamza, ammettono di voler fare dell´Inghilterra un paese islamico".

Dove bisogna allora rivolgere l´attenzione?

"Alle moschee, innanzitutto, dove avviene l´indottrinamento. Ma ci sono anche videocassette facilmente reperibili che servono a preparare gli animi".

Nella storia dei due kamikaze cresciuti in Gran Bretagna in condizioni confortevoli, non c´è anche un rigetto della cultura occidentale?

"È comprensibile che gli immigrati in Europa non vogliano perdere il loro retaggio culturale. Bisogna aggiungere che talvolta sono anche vittime di fenomeni di tipo razzista. Di certo dispongono in Europa di libertà di azione e di propaganda politica. In Gran Bretagna è stato costituito un parlamento musulmano per gli immigrati. In queste condizioni non è da escludere che alcuni elementi siano disposti ad arruolarsi".

A prescindere dal conflitto israelo-palestinese, cosa vogliono ottenere i gruppi integralisti islamici con i kamikaze? Abbattere l´Occidente?

"Costoro hanno avuto a lungo l´impressione di poter colpire obiettivi occidentali senza pagare un prezzo. Spesso ricordano che il punto di partenza è avvenuto vent´anni fa con l´attentato contro i marines a Beirut. Ne morirono 270, ma nessuno pagò alcun prezzo: non gli Hezbollah, non la Siria, non l´Iran. Una risposta è giunta solo nei mesi scorsi con l´attacco all´Iraq e le successive pressioni su Siria, Iran e Hezbollah. Gli americani hanno compreso adesso che si tratta di una guerra globale contro il terrorismo e contro i paesi che lo sostengono".

In questo contesto, quale potrebbe essere la nuova strategia di Al Qaeda?

"Dobbiamo ascoltare con attenzione Ayman al-Zawahiri, è lui il vero stratega accanto a Bin Laden. A suo tempo spiegò che i suoi uomini erano stati costretti a lasciare l´Egitto e a spostarsi in Afghanistan per avere una base territoriale di azione. Adesso stanno cercando nuove basi e in merito mi vengono in mente due Stati possibili: l´Indonesia e il Pakistan. Quest´ultimo paese è complesso, ospita molti gruppi estremisti. Proprio colui il quale a suo tempo firmò una fatwa contro ´i crociati e contro i sionisti´, Fazul er-Rehman, è stato candidato alla carica di primo ministro, e quindi messo in disparte da Pervez Musharraf. Il potenziale militare non convenzionale del Pakistan e l´infiltrazione dei suoi servizi di sicurezza da parte degli islamici, sono ulteriori fonti di preoccupazione".

Un integralista indonesiano accusato della strage di Bali, Amrozi bin Nurhasyim, ha denunciato nei giorni scorsi un complotto da parte degli ebrei per colonizzare il suo paese: dove di ebrei, praticamente, non ce ne sono.

"La questione della sobillazione religiosa è uno dei problemi maggiori nella lotta al terrorismo. I leader religiosi sono guardati con rispetto, anche dai musulmani meno praticanti. Talvolta nelle moschee, anche nei territori palestinesi, gli ebrei sono definiti scimmie e maiali.

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