NOTIZIE DAL CARCERE
dal Il Manifesto del 7 gennaio 2004:
Secondigliano Uccide
carcere Nuovo morto nel penitenziario napoletano. Dopo un'irruzione dei secondini
Darop Stefano Dell'Aquila Napoli
Morte misteriosa di un detenuto del carcere di Secondigliano. Domenico Del Duca, classe 1978, fine pena 2007, è deceduto il 23 dicembre presso l'ospedale Cotugno, dove era arrivato, in coma, il giorno prima, proveniente dal secondo istutito di pena della città. La notizia è trapelata solo in questi giorni grazie al passaparola di radio carcere. Sulla sua morte è sino ad ogni regnato il completo silenzio (ne parla oggi Metrovie, l'inserto campano del manifesto). Del Duca, sieropositivo, immunodeficiente, era ricoverato nel centro clinico del carcere da settembre. Proveniva da un anno di internamento nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli perchè sofriva di distrurbi mentali. La notte del 21 dicembre si è barricata in cella, per un motivo apparentemente banale, una sigaretta negata. Gli agenti di polizia penitenziaria decidono di fare irruzione e utilizzano gli idranti per riportare l'ordine. La cella viene inondata di acqua e ruggine, così come il suo occupante. Il ragazzo viene trasferitop nella cella liscia, priva di ogni suppellettile, di un altro reparto. La mattina del 22 viene trovato in coma di primo grado dal medico di turno che ne dispone l'immediato ricovero in una struttura ospedaliera. Del Duca viene trasferito, sembra solo dopo alcune ore, presso l'ospedale Cotugno, specializzato per le patologie da Hiv, dove muore, il giorno successivo senza riprendere conoscenza. Il sio referto parla di morte causata da crisi cardiorespiratoria (polmonite fulminante?), ma sul corpo non è stata disposta alcuna autopsia, indispensabile per chiarire i fatti. Non risulta che la Procura di Napoli abbia aperto un'inchiesta, né che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ne abbia disposto una interna per verificare le modalità dell'intervento degli agenti ed eventuali responsabilità. La morte di Del Duc è la quinta avvenuta nel carcere negli ultimi mesi del 2004. Nell'estate scorsa sono deceduti tre detenuti, tra cui Francesco Racco, che al momento della morte pesava appena 39 chili. Il 18 novembre, un detenuto di 31 anni, Francesco Pirozzi è morto di overdose all'interno del penitenziario.
dal il manifesto del 4 gennaio 2004:
Un altro suicidio nel carcere di Sulmona Guido Cercola, braccio destro di Pippo Calò, era stato condannato all'ergastolo per la strage del Rapido 904 SERENA GIANNICO SULMONA (AQ) Ha stretto i lacci delle scarpe alla finestra del bagno della sua cella e si è ammazzato. Si è ucciso nel supercarcere di Sulmona, Guido Cercola, l'uomo che nel novembre del 1992 era stato condannato all'ergastolo per l'attentato del 23 dicembre 1984 al rapido «904» Napoli-Milano nel quale morirono 16 viaggiatori e 267 rimasero feriti. Sessant'anni, romano, l'uomo era stato condannato definitivamente all'ergastolo nel novembre 1992. La V sezione della Suprema Corte, riconoscendo la matrice «terroristico mafiosa» dell'attentato, confermò la sentenza della Corte d'assise d'appello di Firenze, che pochi mesi prima aveva riconosciuto Giuseppe Calò, Guido Cercola, Franco Di Agostino e Friedrich Schaudinn responsabili della strage del treno, fatto esplodere nella «galleria degli Appennini». Secondo i giudici, Guido Cercola era il braccio destro del cassiere di Cosa Nostra, Pippo Calò. Lo avrebbe aiutato «a vivere a Roma nel più completo anonimato, e a condurre in prima persona tutte le operazioni relative all'ordinazione, alla costruzione e al pagamento dei congegni fabbricati da Schaudinn» per organizzare l'attentato. Un verdetto con cui, tra l'altro, si riconobbe che l'eccidio fu attuato con il proposito di indurre lo Stato ad allentare lo sforzo di reprimere la mafia in Sicilia messo in moto dalle collaborazioni dei pentiti Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. Cercola, da sei anni nel penitenziario abruzzese, era considerato «soggetto tranquillo», tanto che non era sottoposto a particolari misure di vigilanza. Non era in isolamento e non aveva problemi di salute. Ieri mattina, è stato trovato senza vita da un agente penitenziario che stava effettuando l'ordinario giro di controllo. Inutili i tentativi di soccorrerlo: aveva messo fine alla propria esistenza durante la notte seguendo una procedura che, in questo carcere, è diventato macabro rituale. La salma è stata portata all'obitorio dell'ospedale in attesa dell'autopsia.
Si tratta del quarto suicidio, in due anni, in una struttura considerata «di massima sicurezza», che accoglie circa 600 reclusi e dove, ora, sono state disposte nuove ispezioni.
Qui, il 16 agosto 2004, si è tolto la vita il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, arrestato due giorni prima nell'ambito di un'inchiesta su presunte tangenti nel Comune che governava. L'amministratore si è legato una busta di plastica e i lacci delle scarpe al collo e si è lasciato soffocare. Il cadavere è stato trovato all'alba. Nel 2003 si è suicidato Diego Aleci, prima killer della «stidda» e poi di Cosa Nostra, condannato all'ergastolo. A giugno dell'anno scorso si è impiccato ad una grata Francesco Di Piazza, 58 anni, condannato all'ergastolo e ritenuto componente del clan di Giovanni Brusca. Nell'aprile di due anni fa si è sparata anche la direttrice dell'istituto, Armida Miserere: un colpo di pistola alla tempia nel suo ufficio e per lei non c'è stato nulla da fare.
dal Il Manifesto del 5 gennaio 2004:
In carcere è vietato leggere Biella, la polizia sequestra libri e riviste ai detenuti ORSOLA CASAGRANDE TORINO Vietato leggere. E' questo l'ordine del nuovo comandante del carcere di Biella. Lunedì 20 dicembre è stata infatti effettuata una perquisizione nella sezione speciale del carcere (composta da 14 detenuti, alcuni politici altri comuni) da parte della polizia penitenziaria. Rientrati nelle celle i detenuti hanno trovato tutto sottosopra (dal carcere sottolineano il particolare accanimento nei confronti delle loro cose) e una sorpresa: le celle infatti erano state razziate. E' stato portato via tutto il materiale scritto (dai bloc notes alla posta), tutte le foto dei familiari, gli atti giudiziari, cartoline, buste, francobolli, musicassette, gran parte del vestiario e delle coperte (a parte due per ciascun detenuto ritenute sufficienti ad affrontare il gelo di Biella). Non soddisfatta la polizia penitenziaria autrice della perquisizione (avvenuta in un momento di totale calma, quindi senza nemmeno uno straccio di giustificazione) ha infine requisito libri e riviste. Sono stati lasciati a ciascun detenuto quattro tra riviste e libri. Non sono sfuggiti alla razzia nemmeno i libri presi in prestito dalla biblioteca di Biella. La motivazione addotta dal nuovo comandante per l'incredibile provvedimento (togliere ai detenuti libri e riviste è con ogni evidenza un'altra forma di tortura), è che i libri si leggono uno alla volta. Evidentemente poco incline alla lettura l'amministrazione del carcere ritiene superflua quella montagna di libri.
O forse, più semplicemente, si va a colpire anche uno dei pochi «lussi» permessi ai detenuti e cioè lo studio e la lettura. Con uno scopo preciso, punire, privare, in una parola reprimere. Va detto che la direzione ha stabilito che chi vuole può richiedere altri libri oltre ai quattro concessi, previa richiesta motivata scritta. Ci si chiede su che base la direzione concederà o negherà le richieste: dipenderà dal titolo del libro? Dall'autore? Dall'argomento? Ironie a parte per i familiari e gli amici dei prigionieri rivoluzionari che hanno denunciato l'episodio di inaudita violenza, va sottolineato l'atteggiamento provocatorio delle autorità del carcere che hanno anche tenuto in isolamento per quattro giorni un detenuto che si era rifiutato di spogliarsi completamente durante la perquisizione, dopo aver chiesto tra l'altro una visita all'infermeria perchè indisposto. Da ieri il comitato ha lanciato una iniziativa volta a denunciare l'episodio e a sensibilizzare l'opinione pubblica. Se la legge non legge, scrivono amici e familiari dei detenuti, inviamo al carcere di Biella quanti più libri e riviste possibili. Del resto anche San Tommaso diceva: «diffida dall'uomo che legge un solo libro».
Chiunque legga un libro in più del ministro della giustizia leghista Castelli è dunque invitato ad inviare libri e riviste alla sezione speciale del carcere. Casa circondariale, Via dei Tigli 14, 13900 Biella. (I pacchetti si possono indirizzare a Nicola De Maria, Cesare Di Lenardo, Ario Pizzarelli). La campagna può essere contatta via email: unlibroinpiu@libero.it.
dal il manifesto del 2 gennaio 2005
Negli Usa tortura sì ma più soft Nuovo memorandum al riguardo del Dipartimento alla giustizia S.D.Q. Memorandum contro memorandum. Come mai? Ma, soprattutto, chissà se memorandum cancella memorandum. Nei due ormai famosi (e infami) memorandum del gennaio e agosto 2002, il Dipartimento alla giustizia nel primo indicava al presidente Bush che le convenzioni di Ginevra non dovevano legare le mani agli Stati uniti nel trattamento riservato ai «terroristi» presi in Afghanistan e, nel secondo, dava una definizione legale alla tortura che in pratica ne aboliva ogni limite che non fosse quello «della morte o del cedimento fatale di qualche organo vitale» e sosteneva che il presidente Bush poteva/doveva ignorare le proibizioni internazionali e interne contro la tortura in nome della sicurezza nazionale e della guerra al terrorismo. Quei due memorandum furono letti e denunciati come il fondamento «legale» del cammino che avrebbe condotto agli abusi di Guantanamo e di Abu Ghraib. Entrambi furono farina del sacco dello staff di legali ed esperti al servizio del ministro della giustizia, il fanatico cristiano evangelico John Ashcroft, ora dimissionario, e, dall'altra parte, del consigliere legale di Bush alla Casa bianca, il mezzo messicano Alberto Gonzales, che il 14 gennaio prenderà il posto di Ashcroft.
Adesso è stato diffuso alla chetichella - messo giovedì sera sul sito web del Dipartimento senza alcun avviso previo - un memorandum che in larga misura contraddice quello dell'agosto 2002 e ripropone qualche limite al concetto di tortura.
L'aspetto più singolare - su cui ci si interroga - è il timing: perché proprio ora? Perché giusto una settimana prima dell'apparizione di Mr. Gonzalez davanti al senato per riceverne la conferma a ministro? Queste domande ne inducono delle altre. Quale sarà l'effetto politico di questo nuovo (contro)memorandum sull'incontro-scontro fra Gonzales e i senatori? Certo appare singolare quest'apparente cambio di rotta dal momento che se Ashcroft era un fanatico Gonzalez è e sarà un fanatico e, come si vede dai nomi dei nuovi ministri del Bush-2, il prossimo governo sarà ancor più sbilanciato a destra del precedente. Una spiegazione sta - tortuosamente - all'interno dello scontro fra i settori civili e militari dentro l'amministrazione, con questi ultimi stanchi di essere chiamati ai lavori sporchi per poi essere lasciati soli al momento di pagare i prezzi. Un'altra possibile spiegazione forse va vista nel fatto che il nuovo memorandum vede la luce dopo che nell'estate scorsa divenne di dominio pubblico quello dell'agosto 2002 ciò che costrinse, per le reazioni interne e internazionali suscitate, l'amministrazione a dichiararlo non più applicabile e quindi da riscrivere per renderlo un po' meno osceno.
Il memorandum di 3 anni fa fu scritto e firmato da Jay S. Bybee, allora capo dell'ufficio legale del Dipartimento alla giustizia (e oggi giudice di corte d'appello federale in Nevada) e da Alberto Gonzales. Il memorandum di adesso è firmato da Daniel Levin, il sottosegretario della giustizia in carica, responsabile dell'ufficio legale del ministero. Nel nuovo testo la tortura viene definita «abominevole sia rispetto alle leggi e ai valori americani sia rispetto alle norme internazionali». Una definizio ne che ne restringe i limiti di applicabilità - da quelli sconfinati «di morte o di cedimento di organi vitali» prima a quelli più circoscritti di «severa sofferenza fisica» e «severo dolore fisico» adesso - ma che stando a David Scheffer, un ex dell'ufficio diritti umani con Clinton presidente e ora professore di diritto alla George Washington University, pur essendo un passo avanti, resta «troppo flessibile» e «lascia troppi margini di manovra nelle mani di che pratica gli interrogatori».
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