Articolo di Stefano Benni su l' Opinione sotto lo pseudonimo Dorello Ferrari. Grande Benni.
C’è davvero la guerra in Irak?
di Dorello Ferrari
Continua in Iraq la serie degli attentati ad opera di cosiddetti kamikaze: terroristi fanatici che si fanno esplodere su un’auto oppure a piedi uccidendo e ferendo decine, centinaia di innocenti borghesi, molti donne e bambini. Cosa abbiano del kamikaze – un pilota giapponese che si andava a schiantare sul ponte di una nave americana per affondarla questi terroristi che uccidono civili senza sapere nemmeno da che parte le vittime stanno? Sta di fatto che gli attentati all’autobomba o a piedi continuano con criminale successo. Si prendono di mira luoghi affollati, come scuole e moschee, ospedali, le code che si formano sulle strade in attesa di arruolarsi – nella polizia o nell’esercito – oppure di un certificato qualsiasi: come uno degli ultimi attentati che ha fatto ben cento morti fra gente in attesa di un certificato medico necessario per aspirare ad un posto di lavoro in enti pubblici. Così riassunti i termini della questione, rimangono numerosi interrogativi. Stupefacente, intanto, il coraggio o meglio lo spirito di sopportazione degli iracheni: nonostante le minacce e gli effetti visibili di tali minacce, ben otto milioni di votanti si sono recati alle urne sfidando i terroristi. Altrettanto stupore destano gli aspiranti poliziotti e soldati che la prima battaglia la affrontano in fila, davanti agli uffici di reclutamento, prima ancora di essere arruolati. Ma molte cose rimangono inspiegabili. Come fanno i terroristi a nascondersi in territorio dominato dagli Shiiti? Come fanno a muoversi indisturbati per centinaia di chilometri? Uno dei giornalisti francesi che sono rimasti quattro mesi in mano ai rapitori, ha raccontato di essere stati trasferiti più volte da una prigione all’altra e di aver coperto distanze calcolate in più di cento chilometri, tranquillamente nascosti in un furgone. Le stesse autobombe non escono come per incanto da un garage nei pressi dell’esplosione, ma percorrono lunghe distanze senza che nessuno le fermi. Sembra che ci siano più posti di blocco quando c’è una rapina da noi di quanti ce ne siano intorno a Bagdad. Come fa un furgone pieno di esplosivo a percorrere centinaia di chilometri senza che nessuno lo fermi, lo ispezioni? E poi l’Iraq non è la giungla vietnamita. Le poche grandi città sono dei grossi agglomerati che offrirebbero molte opportunità alla guerriglia e al terrorismo, ma il resto è quasi un deserto; con l’aiuto dell’aviazione, degli elicotteri, degli aerei senza pilota e di tutte le diavolerie elettroniche non dovrebbe spostarsi nessuno da città a città, senza preavviso e permesso. Invece le strade sono diventate piste per autobombe. Perfino gli americani continuano a pagare un tributo di sangue, piccolo ma costante. Quando si legge che un piccolo convoglio Usa è caduto in un’imboscata vien naturale chiedersi perché mai si muovono convogli “piccoli”, magari non scortati; perché mai piccole pattuglie si muovono nelle città e a che scopo? Si ha l’impressione che il comando americano e il governo iracheno non ritengono la situazione degradata al punto di trasformare l’intero Paese in una vera zona di guerra. Hanno avuto ragione tante volte.
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