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Caso Calipari: perche' il governo rischia a non fare la voce grossa
by un saluto a Nicola Calipari Sunday, Mar. 06, 2005 at 7:10 PM mail:

Il governo non puo', di fronte ai propri funzionari impegnati sul campo ed ora a rischio di omicidio da parte americana, che fare, almeno pro forma, la voce grossa sul Caso Calipari. Di piu': non puo' restare del tutto a mani vuote. Pena la mancanza totale di garanzie riguardo il minimo d'efficienza della nostra intelligence e del nostro contingente in Iraq. Un prezzo forse troppo alto persino per Berlusconi.

Il caso Calipari non puo' essere archiviato semplicemente e non solo per questioni, diciamo, politiche legate al "normale" scontro politico di casa nostra.

Non si tratta, infatti, di un omicidio che rientri nella casistica, nel novero dei rischi che si mettono comunque nel conto espletando certe attivita'.

Il caso Calipari e' eccezionale (anche nel senso etimologico: si tratta di una eccezione rispetto alla casistica) e va considerato tenendo ben presente chi fosse la vittima, chi lo ha assassinato e il contesto nel quale e' avvenuto l'omicidio.

Chi e' stato assassinato?

Non e' stato assassinato un "qualsiasi" soldato, un "qualsiasi" carabiniere, un "qualsiasi" poliziotto.
E non e' stato assassinato neanche un "qualsiasi" magistrato. Sono cose che succedono, specie a fare certi mestieri. E siamo tristemente abituati al loro accadere.

E' stato assassinato il vicedirettore del SISMI, il nostro Servizio Segreto Militare.
Dunque, un funzionario di altissimo livello, direttamente alle dipendenze del Governo.

Fa differenza, perche' ne' i soldati, ne' i carabinieri, ne' i poliziotti, ne' i magistrati, pur rappresentando lo Stato, sono, di fatto, la mano diretta del Governo. Lo era invece, per il ruolo svolto, Nicola Calipari.

In pratica, si e' sparato direttamente sul Governo Italiano, non su un suo lontano rappresentante.

E si e' privato il governo stesso di un Funzionario-chiave, difficilmente sostituibile, distruggendo non solo l'uomo e le sue capacita' professionali personali, ma anche la reputazione del Servizio e del Governo stesso, nonche' l'efficienza di almeno una parte dei collegamenti stabiliti da quel funzionario a livello personale, collegamenti che sono fondamentali nel lavoro di intelligence.

Quel che e' peggio e' che si e' eliminato, di fatto, il Capo del SISMI responsabile del fronte di gran lunga piu' caldo sul quale il Servizio e' impegnato, quello Iracheno.
E si e' anche eliminato un anello fondamentale della struttura informativa responsabile della protezione delle truppe italiane presenti in Iraq e dipendenti dai comandi alleati.

Ma non basta.

Sin qui si tratterebbe di un grave danno ma, tutto sommato, di un danno che poteva essere messo nel conto.
La perdita di un funzionario del genere su un fronte di guerra, per mano del nemico, e' prevedibile. puo' essere persino normale.
Si potra' obbiettare che possa essere prevedibile in ogni caso: siamo mortali, un incidente d'auto, una brutta caduta, un infarto, puo' capitare a tutti.

Chi lo ha assassinato?

Quello che non e' prevedibile, e' che non puo' essere messo nel conto, a nessun titolo, e' invece che un funzionario come Nicola Calipari sia assassinato dal fuoco furioso e mirato, non da un proiettile vagante, esploso di un blindato degli alleati principali nel teatro d'operazioni, gli Stati Uniti.
Stati Uniti dal cui comando centrale dipende in gran parte, nei fatti, la sicurezza e la capacita' operativa (ossia, vista la situazione sul campo in Iraq, tutto cio' che va oltre la pura difesa delle proprie basi e poco piu', non ultimi i rifornimenti), di tutto il contingente italiano e della Rete operativa dei Servizi del nostro Paese in Iraq.
Non si puo' incolpare, ripeto, un proiettile vagante per l'omicidio di Nicola Calipari: anche a non voler credere egli sia caduto vittima, con un altro uomo dei Servizi e con una giornalista sotto i riflettori come non mai, di un agguato intenzionale, e' ormai innegabile che sia caduto vittima, comunque, di un agguato, anche se chi lo ha materialmente eseguito ignorava di sparare su un alto funzionario di un governo amico che piu' amico non si puo'.

Per "agguato", intendiamoci, si intende una tecnica, non un fatto necessariamente motivato sotto il profilo, come dire, politico. E quello che e' accaduto, piaccia o non piaccia, dizionario alla mano, e' ben descritto, in italiano, dal termine "agguato" (a non voler usare, altrettanto appropriatamente, il termine equivalente di "imboscata").

Affermare, come si e' fatto da parte americana, che Calipari e l'altro funzionario del SISMI (un veterano in Iraq) responsabili del veicolo vittima dell'agguato, abbiano ignorato o, peggio, cercato di forzare un posto di blocco, e' ancor piu' grave, politicamente, che riconoscere, chiaro e tondo, di aver teso un agguato all'obbiettivo sbagliato.

Cio' equivale, infatti, ad aggiungere al danno dell'uccisione, gia' assai rilevante, come abbiamo visto, quello dell'insulto supremo di considerare il capo operativo del Servizio Segreto Militare di un alleato sul campo di essere un incompetente ed un irresponsabile totale. Ne' piu', ne' meno.

Ad aggravare un quadro gia' di per se' gravissimo concorre il contesto nel quale l'omicidio e' avvenuto.

Il contesto

Il contesto, come tutti sappiamo, e' quello del successo di un'operazione voluta dallo stesso Governo Italiano che era proprio sul punto di coronarsi. Un successo che, al di la' del puro e semplice dovere del nostro governo di proteggere e salvare la vita della nostra concittadina sequestrata, doveva anche essere un successo politico spendibile dal governo stesso in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
Ed e' anche quello, gia' ricordato, di un teatro di guerra dove le nostre truppe sono impegnate e dove il responsabile dei Servizi incaricati, tra l'altro, di prevenire attacchi contro di esse, viene eliminato non dal nemico, non da un proiettile vagante, ma dal fuoco violento, insistito e mirato degli stessi alleati americani dai queli dipende anche l'arrivo a destinazione dell'acqua minerale consumata dai nostri soldati.
Un successo viene cosi' trasformato in tragedia, in disastro. Con, nel migliore dei casi, la prospettiva di veder puniti i responsabili a non troppo gravi pene detentive.

Troppo poco, anche per il piu' cinico dei Macchiavelli.

Perche', oltre al danno umano, professionale e politico interno, oltre al rendere ancora piu' difficile per il governo, di fronte ad un'opinione pubblica gia' in larga parte ostile all'avventura irachena, sostenere un alleato che spara addosso ai propri uomini piu' importanti, l'omicidio di Calipari rende chiaro a chiunque, anche a chi non aveva occhi per vedere, che gli Stati Uniti oltre a non essere in grado di controllare il territorio, non sono neanche in grado di controllare i propri uomini, e non sono in grado di garantire la sicurezza non dal nemico, ma dai propri soldati, neanche ad un altissimo funzionario alleato a 700 metri dall'aereo della Presidenza del Consiglio, dalla quale dipende direttamente, che lo attende sulla pista dell'Aeroposto di Baghdad.

Il danno.

A questo punto il problema, per i sostenitori dell'avventura irachena, non e' piu' solo quello di tenere a bada l'opinione pubblica ostile.

Il problema, ora, e' quello di trovare qualcuno, possibilmente con lo stesso livello di competenza di Nicola Calipari, in grado di sostituirlo.

E questo non sara' facile, e certo lo sara' ancora meno sino a che il Governo Italiano non avra' mostrato di essere in grado di chiedere agli Stati Uniti, e di ottenere, garanzie straordinarie che il sostituto di Calipari non rischi, concretamente, di fare la stessa fine.

Nel frattempo, occorrera' rassicurare i militari italiani rinchiusi nel fortino del deserto di Nassirya. Tra i quali potrebbe cominciare a serpeggiare piu' di qualche dubbio sull'affidabilita' degli americani e sull'opportunita' di trovarsi accanto ad alleati del genere.

Senza dimenticare che il SISMI protegge non solo il contingente italiano e gli altri nostri concittadini in Iraq, ma anche la sicurezza del nostro Presidente del Consiglio e degli altri mebri del Governo.
I quali, forse, potrebbero contare su un maggior zelo da parte di chi li deve difendere se evitassero di fare dichiarazioni irresponsabili e gravemente offensive verso Nicola Calipari come quelle rilasciate da Gianfranco Fini.

Per il quale non ci sono spiegazioni da chiedere agli americani.

Possiamo stare pur certi che i colleghi in servizio di Calipari non siano dello stesso avviso.

Pertanto, il governo, anche non volesse, non puo', di fronte ai propri funzionari impegnati sul campo ed ora a rischio di omicidio da parte americana, che fare, almeno pro forma, la voce grossa sul Caso Calipari.
Di piu': non puo' restare del tutto a mani vuote. Pena la mancanza totale di garanzie riguardo il minimo d'efficienza della nostra intelligence e del nostro contingente in Iraq.

Un prezzo che, forse, nemmeno il governo Berlusconi puo' permettersi di pagare.

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