Una cinquantina di persone hanno manifestato ieri davanti al carcere del Coroneo di Trieste per richiedere un provvedimento di amnistia e depenalizzazione dei reati sociali e minori.
Attraverso un sound system che ha sparato musica per oltre due ore contro le sbarre del carcere, sono stati lanciati messaggi di solidarietà e slogan verso i detenuti rinchiusi che, a loro volta, hanno risposto con applausi e, ballando davanti alle loro finestre, hanno gridato saluti verso le persone all’esterno. Contemporaneamente al presidio, Alessandro Metz, consigliere regionale dei Verdi, Simona Panzino, la prestanome dei "senza volto", Valerio Guizzardi dell’associazione Papillon-Rebibbia Onlus, sono entrati all’interno del penitenziario per visitare e monitorare ancora una volta le condizioni di vita all’interno di questo carcere e per provare a raccogliere le firme dei detenuti sui moduli delle questioni primarie dei senza volto. Simona Panzino e Alessandro Metz, accomunati dall’esperienza delle primarie, una a livello nazionale, l’altro a livello comunale, hanno così scelto il carcere di Trieste, ma idealmente sarebbe potuto essere un qualsiasi carcere italiano o un qualsiasi cpt, come palcoscenico per porre all’attenzione ancora una volta la questione dell’amnistia e per lanciare un ennesimo appello a quel centrosinistra che pare non voler sentire e vedere cosa succede dentro le mura di questi luoghi. Il direttore del carcere, Enrico Sbriglia, che è anche consigliere comunale di AN, non ha permesso di poter raccogliere le firme, e gli stessi detenuti hanno fatto capire di trovarsi in difficoltà anche nel momento stesso in cui solo parlavano con i tre visitatori. Questo fatto indica chiaramente la situazione di chi si trova oggi in carcere in Italia, una condizione di esistenza dominata dal ricatto, privata non solo della libertà di muoversi, ma anche di potersi esprimere, di poter parlare. All’uscita del carcere, Metz, Panzino e Guizzardi, hanno raccontato di situazioni drammatiche, fuori da ogni controllo anche sanitario, di casi assolutamente incompatibili con la detenzione, come ad esempio quello di una donna in cinta di sei mesi costretta a vivere in una cella piccolissima insieme ad altre detenute, e di cui nessuna delle guardie sapeva dire da quanto tempo era lì. Senza volto, dunque, e anche senza voce. E’ questa la situazione degli oltre 60mila detenuti delle carceri italiane. Per questo è importante che iniziative come queste vengano ripetute davanti, fuori e dentro, ogni carcere, ogni cpt, ogni luogo di privazione di diritti, per rompere il muro del silenzio, per alzare il volume delle voci che chiedono giustizia, per non rimanere invisibili, per non abbassare lo sguardo quando si passa davanti a questi buchi neri nelle nostre città. Per questo continueremo a presentarci davanti a questi muri, e andremo il 14 ottobre a Roma per portare le voci e i volti di chi chiede libertà e diritti. - Foto e interviste su >>> http://www.globalproject.info/art-6000.html
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