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[Droghe] Resoconto dall'incontro del 1 Febbraio a Roma
by dal Manifesto Thursday, Feb. 02, 2006 at 11:45 AM mail:

Un ponte tra consumatori e polizia Droghe, la Cgil apre il dialogo: «La legge Fini non è un problema di sicurezza» ELEONORA MARTINI ROMA


Un ponte tra chi fa uso di droghe, forze di polizia e magistrati. Due soggetti che la legge Fini-Giovanardi vorrebbe vedere confliggere su due fronti opposti della barricata hanno invece dialogato ieri a Roma in un confronto promosso dalla Cgil nazionale, attentamente seguito da una numerosa platea. E hanno scoperto che un dialogo è possibile, che esiste una convergenza di interessi per opporsi ad una legge che crea criminalità, invece di combatterla, e che abbatte lo stato di diritto. «La novità sta nel fatto - commenta Giuseppe Bortone, della Cgil Funzione pubblica - che un atteggiamento ideologico e repressivo ha invece provocato l'avvicinamento di forze che insieme sono in grado di rilanciare un nuovo quadro di servizi. I lavoratori di polizia con questa legge si vedono assegnare dei compiti che aggravano le condizioni di turni e degli organici e si vedono distratti dai compiti della lotta alla mafia e al narcotraffico».

Sguardi attenti e orecchie tese quando inizia a parlare Claudio Giardullo, segretario federale del sindacato di polizia Silp Cgil. «Stanno trasformando il tema della sicurezza in tema della paura», dice, e disegna una trilogia di «leggi-manifesto», «ideologiche e criminogene» - immigrazione, prostituzione e droga - che sono un «capovolgimento delle priorità vere anche sul fronte sicurezza». Leggi pensate «non per disciplinare, ma per creare un modello di sicurezza». Il ddl Fini è «inefficace» perché «non riduce il consumo e sposta l'attenzione della polizia dalla lotta al narcotraffico a quella al consumatore». Ed è anche «pericolosa» perché «mette sullo stesso piano comportamenti profondamente diversi, lo spaccio e l'uso». «Farà scoppiare le carceri», quindi è una legge inapplicabile, dice Fabrizio Rossetti, responsabile Penitenziari Cgil. E descrive la geografia sociale delle carceri italiane: «Progettate per 42 mila persone, ne accolgono già 60 mila; 50 mila scontano pene alternative e 70-80 mila aspettano di sapere che tipo di pena li attende. Cinque anni fa erano sei volte meno. Di questi il 30% sono tossicodipendenti, il 35% stranieri. Su 50 mila, 1.500 persone sono sieropositive». E ancora: i 18 mila tossicodipendenti non possono essere ben curati in carcere. Un detenuto costa in media 130 euro al giorno. Di questi solo 19 euro vanno ai servizi, 4,5 euro all'assistenza sanitaria e 0,15 euro a interventi sui tossicodipendenti.

Una prospettiva di superamento dell'attuale legge viene invece tracciata dal magistrato Livio Pepino, presidente di Md. «Bisogna soprattutto differenziare il fenomeno, non si può far coincidere due categorie che non sono nemmeno parenti: tossicodipendenti e assuntori di stupefacenti non si assomigliano nemmeno, né per comportamento, né per problemi di salute».

Il più applaudito è «Mefisto» della Million Marijuana March. Rivendica appieno il diritto all'uso e rifiuta il tentativo di «trasformare un piacere in un problema e in particolare in un problema di sicurezza». Descrive ciò che tutti sanno, che la società italiana si è trasformata e che l'uso degli stupefacenti «è una pratica radicata e diffusa, trasversale a tutti gli ambienti, i ceti, le età e le categorie sociali». «Negli ultimi anni - incalza - 80 mila persone sono comparsi davanti al giudice per sequestri di piccole quantità. Con questa legge andranno tutti in galera». Di un altro aspetto della legge parla invece Loredana Splendori, operatrice Sert: quello della certificazione di tossicodipendenza gestita da privati. «Bisogna usare criteri scientifici, conoscere la differenza tra le sostanze, e poi ci vuole tempo per osservare i comportamenti e stabilire se esiste una dipendenza fisica. Ci vogliono, insomma, soldi». La domanda è: dove prenderanno questi soldi? A chi li sottrarranno e quali tasche andranno a riempire? Stefano Regio del Cnca (le comunità d'accoglienza) ricorda che sono recidivi il 75% di chi sconta la pena in carcere, tra il 15 e il 27% di chi sconta pene alternative. «Quei 4,5 milioni di consumatori perseguiti da questa legge, non finiranno in carcere perché non c'è posto. Saranno allora curati con cure che non servono. Le comunità, in realtà, sono utili solo ad una piccola parte di chi ha seri problemi di tossicodipendenza». E conclude con una perifrasi: «Giusto o sbagliato non può essere curato».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/01-Febbraio-2006/art46.html

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