Anche di fronte a vignette infelici che si possono o non si possono pubblicare senza bisogno di inquadrarci in una falange compatta, senza bisogno di schierare lo stesso giorno sulla stessa linea tutti i giornali europei, come proposto dai miei amici Adriano Sofri e Sergio Staino.
La Repubblica
UNA REAZIONE A OROLOGERIA GAD LERNER 04-02-2006
Mi dispiace ma non ci credo. Guardo la foto Ansa della donna velata che calpesta una bandiera danese, all´uscita da chissà quale bottega di Palestina, e non ci credo esprima alcuna sincera vibrazione di fede o di protesta geopolitica. Semmai quella bandiera "nemica" gliela avrà infilata sotto i piedi un reporter furbo come gli altri suoi colleghi che le forniscono – pronto uso con tanica di benzina e accendino – a branchi di ragazzini già addestrati a recitare la parte incendiaria. Merce che si vende bene sul mercato all´ingrosso della paura occidentale.Tremate, l´Islam in fiamme per via di dodici vignette irridenti Maometto pubblicate – si badi – cinque mesi fa su un giornale di Copenaghen! E giù pagliacciate mediatiche. Proclami di leader politici arabi che si fingono indignati, figuriamoci, alla disperata ricerca di consenso. O peggio azioni squadristiche freddamente programmate, da Giacarta a Gaza, per alimentare il mito di una Fratellanza globale in grado di tenerci tutti quanti sotto scacco. Siamo noi i destinatari di questa suggestiva rappresentazione identitaria. Del resto, c´è forse delitto più grave al giorno d´oggi che una ferita inferta all´altrui identità? La sequenza reattiva prevede una vasta mobilitazione popolare, la denuncia di un´offesa perpetrata ai danni dell´immensa comunità dei credenti, e infine il dispiegarsi di una furia religiosa, di un artefatto sussulto di fanatismo. Per favore, non caschiamoci. Questa non è la fotografia veritiera dell´Islam contemporaneo, è solo la grottesca messinscena del mistero della fede musulmana, un´energia di cui compartecipano un miliardo e duecento milioni di umani nostri confratelli. Semmai è un incubo, uno psicodramma scoppiato nelle redazioni dei giornali e nelle cancellerie diplomatiche per poi di lì penetrare le nostre coscienze intimorite. Neanche il fatto che gli integralisti islamici riescano a mostrarsi ben saldi alla testa del moto anti-vignette, così come egemonizzano purtroppo le università coraniche e i mass media in lingua araba, può giustificare una simile mostruosa caricatura. Ancor più pericolosa di quelle malauguratamente pubblicate dal Jyllands-Posten. Lungi da me irridere la fede e le sensibilità altrui. Sono convinto che la satira non dovrebbe mai prendere di mira i simboli religiosi. Anche a me è capitato di protestare per iscritto di fronte a un candelabro ebraico trasformato in lanciamissili. Deve esistere un limite, un rispetto dovuto alle religioni. Ma non credo sia questo il punto dolente, nella vicenda delle vignette sataniche. E sarebbe bene che anche le autorità cattoliche, rabbiniche e islamiche si sforzassero di andare oltre la denuncia di una società secolarizzata incapace di misurarsi col sentimento e il credo religioso. Il punto dolente è l´abuso identitario, la strumentalizzazione del sentimento religioso ad opera degli integralisti, cioè degli imprenditori politici del conflitto di civiltà. Non mi accontentano allora le reazioni condiscendenti di persone che pure stimo, di fronte all´ondata di violenze e minacce. Il rabbino Benedetto Carucci: «E´ legittimo reagire, quelle vignette feriscono la sensibilità dei musulmani». Il monaco Enzo Bianchi: «Ma come si può sorridere nel ferire un proprio simile in quanto ha di più caro?». Lo stesso Romano Prodi: «Quelle caricature erano del tutto inappropriate e certamente irrispettose, poi possiamo discutere anche sulla portata delle reazioni». Condivido ma abbiamo il dovere di rovesciare, letteralmente rovesciare, le priorità del nostro ragionamento. Le manifestazioni a scoppio ritardato contro le vignette su Maometto, tutto appaiono tranne che una spontanea espressione di fede religiosa o di rabbia popolare. Certo se chiediamo a un credente cosa pensi di Maometto disegnato con una bomba al posto di un turbante; o se agitiamo quei disegni in faccia allo sceicco Al Qaradawi come un drappo rosso in faccia a un toro, compiamo opera di provocazione. Ma è pur vero che la reazione a orologeria – dispiegata cinque mesi dopo – dal ceto politico integralista, richiede da parte nostra una reazione ferma proprio a tutela dell´autentico spirito religioso. Qui lo scontro non è fra credenti e bestemmiatori. Neppure fra religiosi e atei. Lo scontro è tra fanatici spacciatori d´identità e difensori di uno spazio pubblico necessario anche al libero manifestarsi della fede. Sia lode dunque alla saggezza dell´ayatollah iracheno Ali Al Sistani che ha condannato la pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto; ma sottolineando come le azioni di segmenti «malguidati e autoritari» della comunità islamica abbiano «proiettato un´immagine distorta e fosca della fede di giustizia, amore e fratellanza». Abbiamo peraltro tutto il diritto di contestare, come ci ricordava ieri Khaled Fouad Allam, il dogma della non riproducibilità del volto di Maometto, difficilmente rintracciabile nel testo coranico. È un´interferenza? Certo, la convivenza amichevole implica per essere efficace la reciproca interferenza, e magari fossimo capaci di condizionare di più il dibattito interno al mondo islamico per sconfiggere infine le posizioni retrive e letteraliste che lo affliggono. La moderna iconoclastia di questi sequestratori della fede islamica non deve farci mai dimenticare l´esito blasfemo al quale li conduce: l´idolatria di un passato storico deificato (l´età dell´oro dell´Islam), innalzato a miraggio trascendente. Altro che spirito religioso! La precettistica islamista è non solo reazionaria ma pagana esattamente come il progetto ideologico di ri-cristianizzazione dell´occidente tanto caro agli atei devoti. E allora per favore non facciamo nostra l´ingenua sopravvalutazione ammirata dei teocon che di fronte alla furia integralista sospirano invidiosi: «Quelli sì che sanno farsi rispettare, quelli sì che credono in qualcosa!». Come se l´Islam derelitto che brucia le bandiere danesi trasmettesse un´identità forte, molto più forte della nostra. Macché. È vero l´esatto contrario. Il nostro multiculturalismo sarà faticoso, potrà incorrere in vari incidenti di percorso, darà luogo a un´identità meticcia apparentemente più fragile, ma è forte proprio perché in grado di correggersi con lo strumento prezioso dello spirito critico.
Anche di fronte a vignette infelici che si possono o non si possono pubblicare senza bisogno di inquadrarci in una falange compatta, senza bisogno di schierare lo stesso giorno sulla stessa linea tutti i giornali europei, come proposto dai miei amici Adriano Sofri e Sergio Staino.
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