Agli anarchici, ai libertari, agli antimilitaristi
Con queste note vorremmo sollecitare l'attenzione dei compagni rispetto ad alcune possibilità che si stanno aprendo in Italia per la lotta antimilitarista.
La protesta a Vicenza contro la nuova base USA e per la chiusura della caserma Ederle, quella a Novara contro la costruzione dei cacciabombardieri F-35 ed altre che nasceranno stanno ridando concretezza all'antimilitarismo. Non si tratta più, infatti, di prendere posizione genericamente per la "pace", ma di impedire la costruzione di alcuni strumenti necessari alla prosecuzione e all'ampliamento della guerra. Se queste lotte non hanno ancora raggiunto l'estensione delle mobilitazioni precedenti contro la guerra (pensiamo alle oceaniche manifestazioni del 2003 contro il conflitto in Iraq), esse hanno degli obiettivi ben più concreti.
Non sarà sfuggita, in particolare, la posta in gioco nella situazione vicentina: si tratta di impedire la costruzione della più grande base militare USA fuori dai confini statunitensi, nodo centrale per la futura "esportazione della democrazia" in Africa e, se del caso, in Europa. Fermare la costruzione della nuova base vicentina non significa solo mettere direttamente i bastoni fra le ruote della più grande potenza militare mondiale, ma anche, indirettamente, trovare un punto di contatto – pretendendo il ritiro delle "nostre" truppe da tutti i fronti di guerra – con le varie forme di resistenza che nel mondo si oppongono agli interventi neocoloniali europei e statunitensi. Se la lotta contro la nuova base saprà rafforzare anche quella per la chiusura della caserma Ederle – base logistica per i massacri in Iraq e in Afghanistan –, la prospettiva antimilitarista raggiungerebbe dei livelli assai notevoli.
Non ci facciamo illusioni circa l'attuale autonomia reale di questa lotta rispetto ai gruppi riformisti che la dirigono, ma pensiamo che siano riunite alcune condizioni significative per un intervento antimilitarista conseguente nella scelta degli obiettivi e dei mezzi. In particolare, grazie alla strenue lotta valsusina contro il TAV, sempre più persone sono convinte che bloccare i lavori della base sia possibile. Inoltre le varie esperienze contro le nocività nate in Italia (si tratti di inceneritori, rigassificatori, centrali a turbogas o altre linee ad Alta Velocità) stanno opponendo dei NO precisi a precisi progetti del capitale e dello Stato. Non avendo, cioè, una base rivendicativa di tipo sindacale, queste lotte sono meno aperte al recupero politico e istituzionale. Non esiste, infatti, terreno per la mediazione né per la creazione di strutture permanenti facilmente integrabili: o vincono governo e industriali, o vincono le lotte. Non solo. La resistenza valsusina ha riattualizzato con forza la pratica del blocco e della barricata. Infatti, subito dopo il "Sì" di Prodi alla nuova base vicentina, la stazione ferroviaria è stata bloccata nella città palladiana come in altre. Persino le componenti pacifiste e nonviolente (al momento maggioritarie) sono portate, dalla logica stessa delle cose, ad accettare forme di azione illegali (pena il loro trovarsi immediatamente al di qua delle pratiche valsusine). In varie assemblee nazionali numerosi interventi hanno ribadito che la migliore solidarietà con i vicentini in lotta è quella di bloccare, quando dovranno cominciare i lavori della base, l'intero paese (ferrovie, autostrade, statali, ecc.). Se pensiamo alle potenzialità di una tale paralisi generalizzata della normalità capitalista (e in tal senso è sufficiente riflettere sul caso del recente movimento francese contro il CPE), la posta in gioco risulterà ancora più chiara. Si parte da un buon livello. Più la lotta si generalizzerà e più sarà difficile il suo controllo riformista (non scordiamoci che l’obiettivo della lotta non è raggiungibile parzialmente, pena un palese tradimento di quanto dichiarato fin dall'inizio). Più si indebolirà la cappa del controllo e più l'intervento stesso a Vicenza diventerà libero e autorganizzato. Altra caratteristica importante è la voglia di coordinarsi dal basso (come ben dimostrano la nascita e le caratteristiche del Patto di solidarietà e di mutuo soccorso contro le nocività), la quale ha messo in contatto tra loro individui autonomi dai vari circuiti "militanti". Una simile composizione rende assai difficile l'estromissione dei compagni dalle assemblee e da altre situazione di lotta, dal momento che l'incontro avviene su basi sociali e non politiche.
Aggiungiamo che, se ogni lotta è spesso più importante per i rapporti che sa creare che per gli obiettivi che si prefigge, l'antimilitarismo può infondere al movimento uno slancio tutto particolare. E questo non solo perché la controparte è immediatamente il governo, ma anche per il forte contenuto ideale di una mobilitazione contro la guerra e ciò che la produce.
Un'attenzione particolare merita anche il fatto che l'attuale compagine governativa rende più difficile il recupero dei conflitti, dal momento che partiti e sindacati di sinistra vengono sempre più smascherati come complici e collaborazionisti.
Alla luce di queste rapide considerazioni ci sembra davvero importante che i compagni che si richiamano all'antimilitarismo rivoluzionario si organizzino e si impegnino al massimo per dare il proprio contenuto d'idee e di azione.
L'antimilitarismo in Italia, dopo le importanti lotte di inizio anni Ottanta e la mobilitazione a sostegno dei non sottomessi agli obblighi di leva, è entrato in una lunga fase di riflusso, sia per la professionalizzazione delle forze armate sia per un atteggiamento codino e compromissorio nei confronti della galassia pacifista. Oggi qualcosa sta cambiando. Si può uscire dall'imbroglio e dall'isolamento con una presenza qualitativa costante, caparbia, audace.
Sta ai compagni ragionare su come legare la questione di Vicenza o di Cameri a lotte locali in grado di dare al militarismo nome e indirizzo (fabbriche di armi, basi, centri universitari di ricerca bellica, ecc.). Se le forze lo consentono, proponendo assemblee orizzontali su obiettivi specifici, altrimenti tenendosi pronti per allargare la pratica del blocco ovunque possibile.
Tanto più che la questione della guerra si intreccia sempre di più con quella del razzismo e dei vari piani securitari contro i poveri, nonché con il deterioramento delle condizioni di vita (pensiamo al raddoppio delle spese militari previsto dalla nuova finanziaria). Insomma, la guerra è ormai al centro dei progetti statali, come dimostra il fatto che il governo italiano non è mai stato così presente sui fronti bellici. Per noi, al contrario, si tratta di rendere effettivi valori come l'internazionalismo, la solidarietà dal basso, la rivolta comune contro gli Stati e il loro braccio armato: l'esercito.
La ricca tradizione dell'antimilitarismo sovversivo (dal blocco allo sciopero, dal sabotaggio all'occupazione insurrezionale dei luoghi deputati alla guerra e al genocidio) va tolta dalle soffitte della Storia e ritrasformata in armamentario teorico e pratico.
Siamo convinti che nei momenti di risacca nascono polemiche e contrapposizioni sterili. Rimboccandosi le maniche e contribuendo, senza spocchia né ansia di risultati immediati, ad un vasto movimento antimilitarista, si vedrà in modo più chiaro chi è davvero disponibile al conflitto, e su che basi. Poi, come si dice, "da cosa nasce cosa".
Abbiamo dalla nostra una qualità fondamentale: solo chi non insegue logiche di adesione politica potrà assumersi fino in fondo rischi e responsabilità. Non possiamo rifiutare la nostra parte.
P.S. Ci piacerebbe conoscere il parere dei compagni, di modo da pensare eventualmente ad un incontro tra tutti gli interessati per scambiarsi informazioni e ipotesi.
Scriveteci all'indirizzo: antimilitarista@gmail.com
compagne e compagni di Torino, Bologna, Lecce, Rovereto, La Spezia, Varese, Milano
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