Antispecismo - Spunti di riflessione sulla caccia al cinghiale
riceviamo da Liberazione Animale Genova e diffondiamo:
Vi sono diverse forme in cui lo specismo si afferma nella società in cui viviamo, diversi aspetti che ne esplicitano la diffusione. Spesso quando si pensa alle forme di abuso degli animali vengono alla mente macelli, allevamenti e laboratori, giustamente, in quanto forme esplicite e manifeste ( almeno per coloro che scelgono di non volgere lo sguardo altrove) della arroganza umana nei confronti delle altre specie.
Vi sono però numerose altre pratiche umane che generano un forte impatto sulla vita di altri animali e sull’eco sistema, la caccia ( intesa come la pratica “sportiva” tipica delle società civilizzate, che nulla ha a che vedere con la caccia di sussistenza delle popolazioni tribali) e le attività ad essa connesse sono sicuramente una di queste.
Nel particolare ci interessa parlare di caccia del cinghiale, l’odiato animale che distrugge orti ed oliveti, che si riproduce senza sosta, il capro espiatorio responsabile di tante devastazioni e sfaceli.
La prima, fondamentale, precisazione: il cinghiale che conosciamo oggi in Italia, non è originario di questi territori. Viene “importato” proprio con finalità venatorie dall’est Europa negli anni 80, in quanto più tenace e meno spaventato dall’uomo rispetto al cinghiale italiano ( più piccolo e fragile), che sparirà lentamente proprio a causa dell’introduzione forzata del cinghiale est-europeo dai cacciatori.
Ai cacciatori interessava avere molti animali a disposizione, e che fossero resistenti , per poter avere nuovi capi a disposizione di fucile ogni nuova stagione , e così è stato. Volontariamente hanno modificato l’equilibrio di questo ecosistema, introducendovi un animale abituato a climi rigidi, che ha proliferato senza problemi nei boschi mediterranei, e che soprattutto non conosce predatori naturali in questi territori ( considerata la progressiva sparizione dei lupi). Inoltre, la preponderante presenza di questo mammifero nelle campagne italiane (ed i danni provocati alle coltivazioni) ha portato leggi sempre più permissive a favore della caccia, attività praticata da circa 28’000 persone nella sola regione della Liguria, ove esistono nei calendari venatori precisi “piani di abbattimento” al fine di ridurre per quanto possibile il numero di animali presenti, che per altro non diminuisce assolutamente in quanto il cinghiale, che vive abitualmente in grossi gruppi, tende a riprodursi maggiormente nel caso in un certo territorio diminuiscano repentinamente gli individui che lo abitano, una sorta di bilancia biologica per salvaguardare la propria specie ( in quanto in natura esistono meccanismi che, sebbene arduo a credersi, risultano ancora non controllabili dall’uomo).
I cacciatori si organizzano in gruppi e restano in contatto via radio: mentre alcuni spingono vigliaccamente gli animali fuori dal bosco, accerchiandoli, altri li attendono in punti prestabiliti, in prossimità di radure o spazi aperti, dove gli sparano.
Spesso i responsabili locali ATC ( Ambito Territoriale Caccia) sono gli unici incaricati del recupero di animali feriti o di cuccioli abbandonati dalle madri nei territori di riferimento ( in Italia non è permesso detenere un animale selvatico, in quanto considerato “patrimonio dello stato”, ed è un reato perseguibile penalmente). Esistono numerosi centri di recupero per animali selvatici, ma visto lo “status” speciale del cinghiale anche per loro risulta complesso poterli tenere, ed i cacciatori e le loro aziende faunistico-venatorie sono lentamente divenuti responsabili primari della vita (e della morte) di questi animali.
Di norma i cacciatori impiegano gli animali a loro affidati come “allenamento” per i cani, che nel pratico significa una breve vita all’interno di un recinto, continuamente terrorizzati ed attaccati dai segugi, sino alla morte.
In una mattina di aprile, percorrendo una strada montana nel nord ovest, ci siamo imbattuti in un piccolo gruppo di persone, a bordo strada si trovavano due piccoli di cinghiale appena partoriti, con ancora il cordone ombelicale attaccato. Mentre alcune persone più ragionevoli tentavano di portarli via dalla strada e spingerli a lato accompagnandoli con dei bastoni ( il contatto con l’uomo impedisce ad un cucciolo di animale selvatico di essere ri-accettato dalla propria madre), altre molto meno rispettose hanno iniziato a toccare i due cinghialotti, altre ancora a fotografarli mentre tremavano chiaramente impauriti, suggerendo di portarli al ristorante di selvaggina poco più sotto. Questo genera una prima e riteniamo piuttosto aberrante riflessione: l’animale per molti (quasi tutti) gli esseri umani, non esiste come soggetto la cui funzione si esaurisce nella sua esistenza stessa, che dovrebbe essere pienamente vissuta in libertà, ma esclusivamente nell’essere funzionale ad uno specifico uso umano, la mucca è funzionale al macellaio e a colui che ne mangia le carni, il visone è funzionale all’allevatore che lo tortura o al pellicciaio che ne vende la pelle, il cane beagle è funzionale allo scienziato che lo sevizia, ed il cinghiale è funzionale al cacciatore ed al ristoratore che lo cucina come prelibata “selvaggina”. Questi animali non vengono identificati come null’altro che “oggetti funzionali ad una attività umana”, se non ci servono sono inutili, non esistono.
Consci della responsabilità che deriva dal prelevare un animale selvaggio dal proprio ambiente naturale ed abituarlo al pericoloso contatto con l’uomo, non abbiamo avuto in quella particolare situazione molte altre possibilità se non prelevare i due cinghialotti. Al di là dei curiosi che avevano toccato i piccoli, la conformazione della strada ( a valle, sotto un dirupo roccioso) rendeva impossibile per loro muoversi tanto a destra quanto a sinistra, avevano a disposizione solo il bordo della strada e l’asfalto. Va poi precisato che, se nel caso di un cucciolo abbandonato o di un animale ferito per cause “naturali” ( ad esempio nel mezzo di un bosco, o su un prato) pensiamo sia doveroso chiedersi se sia davvero giusto soccorrerlo o se si debba semplicemente farsi da parte e lasciare che le cose avvengano senza il nostro intervento; quando un animale si trova in difficoltà per causa umana ( in questo caso chi lo ha toccato, e chi ha costruito quella strada, che di naturale non ha nulla) sia comprensibile tentare di porre rimedio.
In quel momento non sapevamo che i due nuovi arrivati ci avrebbero riempito ogni singolo giorno ( e notte) per i due mesi a venire. Purtroppo una dei due cuccioli non ce l’ha fatta. L’altro invece ha resistito sino al momento in cui, finalmente, ha trovato posto in un luogo dove non verrà infastidito dai sadici della domenica, e potrà vivere, sebbene addomesticato, con dei suoi simili il resto della sua esistenza.
Il cinghiale è, come il maiale d’altronde, un animale dalla intelligenza sorprendente , dopo soli 15 giorni i due piccoli erano interessati da qualsiasi cosa vedessero o annusassero, poco dopo già riuscivano a trovare autonomamente il cibo, scavando con il naso nel terreno alla ricerca di radici o lombrichi. Si tratta di individui che vivono in gruppi sociali complessi in cui, per esempio, i cuccioli sono allattati da tutte le femmine del gruppo, per facilitarne la sopravvivenza, e solo nell’ultimo periodo dello svezzamento sono seguiti solo dalla madre.
Scriviamo questo non perché ci interessi offrire una immagine che susciti simpatia o tenerezza, in quanto il rispetto che dobbiamo alle popolazioni animali dovrebbe prescindere dal fatto che li riteniamo carini o meno, ma semplicemente per mostrare, ancora una volta, che quelli che macelliamo, scuoiamo, vivisezioniamo o cacciamo non sono oggetti, sono esseri viventi che come noi tutti amano giocare in un campo sotto il sole o dormire sereni nel proprio rifugio. E che quelli che ogni settimana tra ottobre e gennaio vengono inseguiti e brutalmente uccisi nei nostri boschi sono individui, con le loro peculiarità e differenze.
Quello che i cacciatori “sportivi” portano avanti è un massacro, uno dei tanti che la specie umana, organizza ed amministra su questo martoriato pianeta, e non ci interessano le loro ragioni, l’aver conosciuto così da vicino due di loro rafforza la nostra consapevolezza di essere , e voler restare, dalla parte dei cacciati.
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