La città dei disperati

fonte lastampa.it

Nuovi europei, dalla cittadinanza alla baraccopoli
LODOVICO POLETTO
TORINO
"Area sotto sequestro" c’è scritto sui fogli appesi alle pareti delle baracche di cartone e lamiera. Sequestro finalizzato alla demolizione, strada aperta alle grosse benne delle ruspe che, tra breve, spianeranno il più grande accampamento rom di Torino: ingresso da strada Arrivore e dentro almeno 500 persone. Uomini, donne, e una quantità di bambini. Li hanno allontanati perché quell’area deve diventare parco. E gli invisibili sono spariti senza tante storie. Li ha inghiottiti la città. Se oggi li cerchi non li trovi da nessuna parte. Ma chi li conosce sa che gli invisibili ricompariranno tra poco in una spianata, sotto un cavalcavia, sulla sponda di un fiume. Disperati. Sporchi e affamati.

Come quelli che hanno colonizzato cinquecento metri lungo strada del Portone, proprio dietro il cimitero Sud. Baracche e roulottes di fortuna. Niente acqua potabile, montagne di immondizia. E povertà. Lì ne vivono circa 200. Se parli con loro dicono che sono molti di più «Almeno 800» spiegano. Arrivano quasi tutti da Timisoara. La legge li ha resi cittadini europei, ma campano come fanno tutti i disperati del mondo: di niente. Qualcuno anche di furti, è certo. Altri fanno gli operai in nero in qualche cantiere. Qualche donna lavora: pulizie delle scale e in qualche appartamento.

In corso Romania, invece, hanno colonizzato una fabbrica abbandonata. In strada Druento hanno costruito baracche appoggiate alla cinta di un’azienda. Dalla strada non li vede nessuno. Da una discarica abusiva di inerti hanno preso assi per fabbricare le loro case. Identiche a quelle ormai mezze sventrate della zona sgomberata da poco, a ridosso di strada Arrivore.

In via Paolo Veronese, dove c’era la vecchia acciaieria Ferrero, un esercito di ruspe ha spianato ogni costruzione. Qui, due inverni fa, l’esplosione di una bombola del gas uccise una mamma con la sua bambina. Arrivavano da Bacau. Ora quella casa e capannoni che sorgevano tutt'intorno non ci sono più. Chi li abitava è andato via. Ma, se alzi gli occhi, sulla destra, ecco l’ultimo accampamento. Si entra da via Reiss Romoli. Dietro le siepi che proteggono un’area a ridosso di un’altra azienda dismessa, ecco la baraccopoli. Ci saranno trenta o quaranta case, se così si possono chiamare. Dentro ci sono fornellini a gas recuperati in discarica, letti con materassi sfondati, tavoli costruiti inchiodando quattro assi. Ma ci sono anche poster alle pareti, crocefissi, giocattoli di bambini.

«Il nostro problema sono i marocchini: arrivano la sera. Ci danno fastidio» si sfoga Aniel, originario di Bacau. «Passano là dietro e vanno a spacciare» indica. Qui, chi ancora non ha una baracca s’è montato una tenda. Chi non ha la tenda si sta costruendo il rifugio. Lo intuisci dagli scheletri di baracche in divenire. Ecco, qui sta sorgendo una nuova città dei disperati. C’è da giurarci: tra un paio di mesi sarà enorme. Ci saranno automobili, cortili cintati e generatori di corrente. Magari riapparirà anche Miha. Romeno pure lui. Nel campo ormai smantellato al fondo di strada Arrivore faceva il commerciante di automobili. Le comperava qui, e le spediva in Romania. Adesso è sparito.

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su:
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info e altro sulla condizione dei Rom rumeni
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Gio, 10/05/2007 – 14:40
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