Le macchine della verità? Mentono. Però spaventano
fonte adnkronos.it
E attacca il sistema italiano: ''Bassi salari e poca indipendenza nella ricercqa''
Parla a Ign Emilio Bizzi, docente al MIT: strumenti come il poligrafo vengono oggi utilizzati anche in campo aziendale per 'testare' onestà e affidabilità dei dirigenti. ''In modo eticamente discutibile''
Roma, 9 mag. (Ign) - Le macchine della verità? Sono scientificamente inaffidabili, ma possono essere un efficace spauracchio contro la tendenza a mentire. Grandi multinazionali, operanti anche nel nostro Paese, fanno ampio uso di strumenti come il poligrafo per 'testare' la correttezza e l'onestà dei loro dirigenti. E' anche se questo utilizzo è dicutibile sul piano etico, può a volte rivelarsi valido sul piano pratico.
"E' vero. Può accadere quello che succedde ad alcuni ingenui criminali che pensano che la macchina della verità sia veramente tale, e finiscono col confessare prima di essere testati", ammette a Ign, testata on line del Gruppo Adnkronos il professor Emilio Bizzi, docente e ricercatore del McGovern Institute for Brain Research del Mit, il noto istituto del Massachusetts di tecnologia applicata alla scienza. Ma l'uso di strumenti come il poligrafo, secondo l'esperto, va criticato sotto vari punti di vista: "In America, per esempio, c'è il Quinto emendamento, che riconosce il diritto a non vedersi obbligati a testimoniare contro sé stessi. Eppoi, in generale - osserva Bizzi - c'è il problema della privacy, e la domanda se sia lecito guardare dentro il cervello di un individuo, ammesso che sia possibile farlo".
Ma è possibile farlo? "L'efficacia di strumenti come il poligrafo è stata da tempo sbugiardata, in primis dall'americana National Academy of Sciences - ricorda il professor Bizzi - e anche le nuove sperimentazioni in materia, come la Risonanza magnetica funzionale per immagini (Fmri), non sembrano affidabili sul piano scientifico, anche se già qualche azienda americana ha già pensato di lanciare sul mercato una macchina che si basa su questa nuova tecnologia".
Di studi sul cervello il professor Bizzi, certo, se ne intende. Ha lasciato l'Italia 40 anni fa per andare a lavorare negli States. Motivi? "Gli stessi che spingono i ricercatori di oggi a lasciare il nostro Paese per andare a lavorare all'estero: bassi salari e poca indipendenza nella ricerca. Sostanzialmente nulla è cambiato. Per di più, rimane in vigore nelle università italiane - denuncia Bizzi - quel micidiale meccanismo dei concorsi, che altro non è che un modo per favorire gli interni e penalizzare i giovani che vorrebbero fare un lavoro indipendente".
L'ambiente dell'Massachusetts Institute of Technology, ci racconta Bizzi, "è il migliore al mondo per chi fa un lavoro come il mio in cui è ricorrente la combinazione tra biologia, tecnologia, ingegneria e scienze materiali. E' facile l'interscambio con i colleghi di altre discipline ed è quindi più facile sviluppare nuovi metodi di ricerca". Il Mit "è un posto meraviglioso", assicura.
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