Genova - Loro Parlavano di azzerare il debito

COME COSTRINGERLI AD AZZERARE TUTTE LE CONDANNE?

Sarebbe bello non dover perdere tempo a scrivere e dire nulla sulla manifestazione indetta il giorno 17 a Genova. Non perché questo vorrebbe dire che la manifestazione non ci sarebbe e con lei tutti i disobbedienti e compagnia cantante, ma perché saremmo occupati in qualcosa di più significativo, con disobba, pacifisti e partiti della sinistra radicale (radicale???!!!) relegati nell’angolo che a loro competerebbe: oggetto di discussione per governi sicuritari ed opposizioni altrettanto, specchietti per le allodole per stolti.
Sapremmo infatti, come in effetti dovremmo sapere, che per questi figuri era scontata la mossa della manifestazione (soprattutto in questo periodo in cui essi stessi hanno in ballo altre incombenze politiche da supportare), che nessun compagno rivoluzionario si sarebbe in qualche modo sentito di “doverci” essere, che avevamo costruito percorsi credibili e che altre iniziative, lotte vere ed una gestione collettiva e di classe delle giornate del G8, portata avanti in questi anni, ci avrebbero permesso di dare segnali forti rispetto alla prossima sentenza.
Non è così, ma non ci piace fare finta di niente, metterci quindi nel calderone e ricominciare a dire che opportunisti, cogestori della repressione (anche a costo di far andare in galera qualcuno di loro in buona fede), concertatori su tutto, ancora una volta abbiano tentato di passare sulle nostre teste e su quelle di quanti e quante hanno determinato un’oggettiva rottura degli schemi dei “diritti” concesso da stato e capitale nei giorni del G8 di Genova.
Fanno il loro lavoro, ricoprono il ruolo scelto, non si vede perché dovrebbero fare altro. E non si vede perché si debba scendere su questo terreno, che, tra l’altro, non ci appartiene e quindi ci risulta ancor più spinoso rispetto alla pratica dei nostri reali bisogni.

Partiamo dal 2001, velocemente, per carità, dal fatto che in molti avevamo deciso di non contrattare con le istituzioni né le strade da calpestare, né i luoghi dove dormire e dal dato di fatto che altri e altre, sia per merito della nostra caparbietà che per naturale inclinazione umana, abbiano manifestato lì per lì, in piazza, rabbia, ribellione, dignità. Continuamo col dire che per mesi, prima e dopo il G8, ci siamo incontrati e confrontati dentro paletti dati solo dall’antiistituzionalità, l’internazionalismo, l’astensionismo, la guerra al sessismo, la riappropriazione, l’azione diretta e siamo riusciti a costruire un ambito che, ancora un anno dopo quel luglio, ci ha visti in affollate assemblee, buone iniziative di piazza, raccordati sul territorio, interni alle lotte assieme a quanti, come noi, tutti i giorni vanno a muso duro davanti al padrone pubblico o privato, i suoi servi in divisa o con la celtica al collo.
Ma non abbiamo saputo far tesoro di tutto ciò. Che siano state le riesumate logiche “gruppettare”, anche per chi non si definisce militante, piuttosto che la fatica o la sopravalutazione di noi stessi che ci abbiano portato a non coniugare più l’analisi e la critica del presente con l’azione conseguente, il fatto è che lotte si sono parcellizzate, la discussione si infogna ambito per ambito e troppo spesso si fa occhiolino a qualsiasi istanza appaia dura e pura relegando al dopo i distinguo.

Tutto questo non vuole gettare discredito su alcune lotte reali, che ci sono state ovviamente e che hanno anche portato conseguente repressione (benchè non sempre questo tipo di conseguenze siano effettivamente frutto di azioni incisive, anzi troppo spesso vogliamo credere di venire colpiti perché diamo molto fastidio ed in realtà ci disintegrano proprio perché fastidio ne diamo poco, e ci vanno pesantissimi in quanto sanno che non ci sarà risposta adeguata), ma vuole sollecitare la ricomposizione di un tessuto, ricomposizione che non passerà certamente attraverso la partecipazione ad una manifestazione. E non tanto perché si tratta di QUESTA manifestazione ( anche!), ma dovremmo dircelo di fronte a qualsiasi manifestazione che ambisca a non essere mera testimonianza di quel che fu e momento di solidarietà, anche quando per solidarietà si intenda una cosa seria e non quella pelosa di facciata.
Vorrebbe anche far riflettere sul fatto che l’appello ad essere in piazza tutti assieme sembra abbia fatto tirare un respiro di sollievo: se lo dicono loro perché non andare, senza nemmeno spendersi a parlare, a motivare. C’e qualcosa…si va! Poi si vedrà.

Dovremmo invece ragionare su altro, che coniughi finalmente di nuovo quelle giornate di luglio alla realtà.
Ripartire da noi, soprattutto dagli errori, da quanto ci ha portato ad atomizzare quei percorsi di compartecipazione che qualcuno definisce psichica.

Come compagni e compagne di Genova che a sei anni di distanza da quel G8 non esprimiamo più nulla di quanto avevamo voluto mettere in campo allora, sia dal punto di vista delle aggregazioni (completamente modificate) che dei luoghi utilizzati per incontrarci, ma soprattutto dei contenuti che espriamo, affatto unitari, spesso in contraddizione con quelli di allora, siamo sufficientemente esemplificativi. Qualcuno potrebbe credere di essere capitato in una città diversa.
Iniziamo quindi a chiederci: cosa abbiamo sotto questo cielo?

Troppo, attualmente, è il divario tra lotte di rottura e lotte resistenziali.
Troppo poco spesso si esce da una visione meramente economicista o, per controaltare, ci si perde in fumosa precognizioni di vita altra scaturente di per sé da qualsiasi forma di ribellismo.
Ma ancor più, arroccati sulla presunzione di incontrovertibilità di meriti e metodi, si cercano forme di coalizione momentanea, che nulla mettano in discussione dei propri credo, ma producano altrettanto momentanei cicli di iniziative dai quali poi ripartire da zero.
Sei anni abbiamo iniziato assieme una critica a tutto questo e secondo noi il vicolo stretto dal quale dobbiamo passare è sempre quello sottolineando le contraddizioni andando oltre la negazione rabbiosa, tenendo sempre presente che il problema reale è cambiare i rapporti di forza.
Per questo, ad esempio, incentrare battaglie su temi specifici fa rimanere queste battaglie in un’ottica resistenziale.
Così è per l’antifascismo che aggrega sui ricordi di una Resistenza e non sulle condizioni economiche che spingono i proletari, senza più la pur minima coscienza di sé, ad una richiesta di fascistizzazione della società nell’illusione indotta che “rimettendo ordine” la vita migliori in qualità.
Così è ancora quando si apre uno sportello di assistenza legale per gli immigrati o si fa un presidio al CPT senza badare a sottolineare il fatto che la pompata ”percezione di insicurezza”, funzionale solo alla sicurezza delle merci e quindi all’aumento del loro valore non intrinseco, svilisce la forza lavoro e l’essere umano costretto a venderla.
Gli esempi si sprecano, le rimpatriate sono deleterie senza sciogliere i nodi.

Ovviamente speriamo comunque che la manifestazione incida positivamente sulla situazione processuale delle compagne e dei compagni rispetto ai quali condanniamo ogni distinguo.
Ripetitivo sarebbe dire che tali distinguo sono stati devastanti (quelli sì) quanto gli sbirri per le strade, prima, i tribunali e le carceri dopo.
Scontato è il nostro ricordo di Carlo, il nostro odio per i suoi assassini, ci importa poco sapere la verità rispetto al nome di chi l’ha ammazzato e di chi ha preordinato maggiormente di altri la mattanza di Genova: anche una loro condanna da parte di qualche giudice non produrrebbe nemmeno un filo di giustizia. Non vogliamo più essere importunati da discorsi su ridicole commissioni di inchiesta come se lo stato potesse denunciare le proprie responsabilità e decretare di estinguersi visto che questa sarebbe l’unica applicazione di reale giustizia.
Far sì che il ricordo di Carlo non venga travisato, continuare, ampliandole e affinandole, le lotte con i contenuti e le modalità che hanno portato 300.000 persone in piazza è l’unico modo per liberare i compagni processati e non ammantare una morte di inutilità.
In queste giornate di mobilitazione, quindi, ci pare opportuno ricordare che quelle 300.000 persone erano indignate dal fatto che i potenti della terra si riunissero per concertare le articolazioni dello sfruttamento nascondendosi dietro al dito degli aiuti ai paesi poveri (spendendo, tra l’altro, per il loro incontro la stessa cifra destinata a nazioni intere). Quanto accaduto per le strade di Genova è solo in parte illuminante su quanto la misura fosse e sia colma.

Chiediamo agli interessati ed alle interessate di intervenire sui temi di queste pagine messe in rete o di utilizzare l’indirizzo di posta indicato sotto. Riprendere un confronto è possibile?

DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

Per info: doecg@libero.it

Ven, 16/11/2007 – 19:31
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