Roma - Caldo record, rivolta nelle carceri romane detenuti protestano a Regina Coeli

fonte corriere

A Rebibbia femminile, donne fuori dalle celle contro l'afa
Il cappellano attacca Alfano: «Costruirete nuovi ghetti»

Roma soffoca sotto una cappa di caldo e anche i detenuti soffrono le temperature vicine ai 40 gradi. Così giovedì mattina nel carcere di Regina Coeli è scoppiata la rivolta. Centinaia di uomini hanno iniziato a battere ritmicamente stoviglie e altri oggetti contro le sbarre delle celle. Alcune bomboletta di gas in dotazione ai fornelli da campeggio dei detenuti sono esplose.

IL DIRETTORE MINIMIZZA - La protesta dei detenuti contro il sovraffollamento e il caldo soffocante è cominciata poco dopo l'ora di pranzo nel carcere romano. Nel pomeriggio è proseguita e dalla terza sezione del penitenziario si è allargata anche alla sesta. Ma il direttore dell'istituto di pena, Mauro Mariani, minimizza.
«La protesta è più che altro di adesione e per il gran caldo - dice -: a Regina Coeli in questo momento non siamo in sovraffollamento». Mariani, attualmente è in vacanza, spiega che i detenuti sono meno di 900 e che il sovraffollamento si raggiunge oltre i mille. «Sono stato informato dal vice-direttore del carcere, Rosella Santoro - aggiunge -, che c'è stata una riunione e i detenuti hanno comunicato che la protesta della battitura si ripeterà stanotte dalle 22 alle 23, ma la situazione è abbastanza tranquilla».

ACCESSO LIBERO ALLE DOCCE - Nel frattempo, anche nel carcere femminile di Rebibbia, sempre a Roma, le detenute hanno chiesto e ottenuto - a causa del gran caldo - l'apertura delle celle non solo durante l'«orario della socialità» ma dalla mattina alla sera. Liberalizzato anche l'accesso alle docce.

NOTTE INSONNE - Mercoledì notte le detenute di Rebibbia avevano avuto il permesso di non rientrare in cella dalle 23 alle 3 per «protestare pacificamente contro le gravi condizioni di detenzione dovuto al sovraffollamento». La protesta è un segno della tensione senza precedenti negli ultimi 30 anni di storia delle carceri italiane. I sindacati delle guardie penitenziarie sollecitano «immediati interventi in materia di strutture, risorse ed economia penitenziaria che possano permettere una vivibilità degna di un paese civile». Con una popolazione di detenuti che nel Lazio supera le 5.600 presenze ci sono solo 2 mila agenti, decimati dai turni di ferie.

Già tre settimane fa, Uil Penitenziari, sottolinea il coordinatore regionale Daniele Nicastrini, aveva sollecitato - durante un incontro la Direzione del carcere femminile di Rebibbia - la «necessità di attivarsi per garantire i livelli di sicurezza e di attenzione alle problematiche legate al sovraffollamento del penitenziario che non permette al personale femminile di Polizia penitenziaria di svolgere il proprio servizio in giusta serenità».

DON SPRIANO CONTRO IL MINISTRO - Intanto il cappellano di Rebibbia - che giorni fa aveva scritto al Papa chiedendogli di dire messa nel penitenziario romano - attacca il piano lanciato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano per la costruzione di nuove carceri: «Una misura che non contrasta nulla» dice don Sandro Spriano, ai microfoni della Radio Vaticana, spiegando che non serve costruire nuovi ghetti.
«Per costruire carceri - ricorda il sacerdote - ci vogliono anni e anni; ne abbiamo già costruite e sono lì, come monumenti inutili, perchè poi non ci sono i soldi per attrezzarle e dotarle di personale di custodia, di operatori dei trattamenti». Secondo don Spriano, «se non si mette mano al Codice Penale, alla depenalizzazione dei reati, non immaginando più che tutto debba essere semplicemente punito con il carcere, potremmo costruirne 100 all'anno e non risolveremmo il problema».

MISURE ALTERNATIVE - Il Governo persegue invece la direzione opposta: «sicurezza - lamenta il cappellano di Rebibbia - mi sembra che attualmente significhi mettere il più possibile persone in carcere, tutte quelle che in qualche modo danno fastidio alla società libera. Per cui si sono penalizzate cose che non erano reati prima» e non si applicano le misure alternative già previste.
«A Roma - rileva don Spriano - abbiamo circa 2.500 detenuti e ne abbiamo 50 in semi-libertà; e poi più del 50 per cento dei detenuti non sono ancora condannati in maniera definitiva, non dovrebbero stare nemmeno in carcere», dove regna «la più assoluta apatia». [...]

20 agosto 2009

Ven, 21/08/2009 – 07:45
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