Turchia - Contributi di realtà anarchiche turche su elezioni e stragi

RACCOLTA DI SCRITTI SULLE RECENTI ELEZIONI E LE STRAGI DI STATO IN TURCHIA

Le elezioni sono tirannia

(dal numero 29 di Meydan Gazetesi, rivista del DAF di Istanbul)

Nella costruzione delle teorie sulla nascita dello stato, si è partiti anche da pensieri e previsioni sull’individuo. Tra le più note, ci sono le riflessioni di Thomas Hobbes che esaltano la forma statale. Secondo lui la cattiveria è nella natura umana. Gli esseri umani sono creature che cercano di continuo il proprio vantaggio personale. Considerando che tutte le persone sono individui dotati di questa caratteristica, essi saranno continuamente in lotta tra loro per soddisfare i propri interessi personali. In un simile contesto, basato sulla mancanza di fiducia reciproca e sulla preoccupazione per la propria sicurezza, la vita deve essere regolata dall’autorità. La situazione che Hobbes dipinge in questo modo viene definita come condizione naturale. Dal superamento di questa situazione di insicurezza generale dipende la creazione di un’autorità superiore. L’essere umano che affida tutti i suoi diritti allo stato sarà al sicuro solo per mezzo dello stato.
Nei giorni scorsi, a Diyarbakır, un liceale di 17 anni è stato fermato mentre tornava a casa da scuola con la motivazione che aveva le mani sporche e sudate, ed è stato mandato nella prigione di tipo D di Diyarbakır. In un contesto ‘di insicurezza e allarme’, naturalmente anche questo tipo di interventi dello stato contro i cittadini sono motivati dalla ‘sicurezza’.
Oggi, la necessità naturale dell’esistenza dello stato viene utilizzata abitualmente per giustificare l’esistenza di un’autorità superiore. E ovviamente, in base alla stessa necessità, questa autorità basata sulla violenza si rivolge contro gli oppressi. La strage di Ankara, sopravvenuta alla vigilia delle elezioni, è un pezzo di questo stesso quadro.
Lo stato utilizza il ‘diritto di ricorrere alla violenza’ senza averne un giusto e motivato bisogno. Le stragi perpetrate creando situazioni eccezionali (la sicurezza dei cittadini, il pericolo di terrorismo…) ormai vengono provocate senza cercare un motivo o una legittimazione.
Persino in un contesto che si ritiene essere l’essenza stessa della legittimazione del potere statale, quali sono le elezioni, la violenza contro gli oppressi si realizza nel centro di questa spirale.

Le elezioni sono tirannia!

Nelle riflessioni relative alle elezioni che abbiamo pubblicato sul numero 27 di ‘Meydan Gazetesi’, nel mezzo dell’agenda elettorale, abbiamo cercato di scrivere uno per uno tutti gli strumenti utilizzati dalle elezioni. Abbiamo parlato di una pratica delle elezioni basata su menzogne, fantasia, ipnosi, creazione di illusioni, presa in giro, bugie, manipolazione e psicologia di massa, che non riflette in alcun modo la volontà individuale.
Mentre si avvicinano le elezioni del 1 novembre, occorre fare una critica specifica di una caratteristica delle elezioni che è sfuggita. Le elezioni, oltre ad utilizzare i mezzi che abbiamo appena ricordato, sono una forma di tirannia. In effetti, la tirannia di stato che stiamo vivendo in questo periodo, come una delle caratteristiche più importanti della fase elettorale, ci sta purtroppo di fronte nel modo più concreto e sanguinoso possibile.
Il metodo della tirannia, per quanto si tenti di nasconderlo con cura sotto l’apparenza della democrazia nelle elezioni politiche, si rivela per quello che è particolarmente nelle elezioni locali. A un livello locale, il tentativo di appropriarsi del potere economico e politico si spinge fino al punto che i candidati o i gruppi si eliminano a vicenda. E quello di cui si parla non riguarda solo i partiti politici, ma si spinge fino ad azioni di tipo mafioso che mirano a sottrarre ciò che spetta anche alle più piccole organizzazioni statali locali (per esempio i municipi).
Se lasciamo da parte il metodo tirannico utilizzato apertamente nelle elezioni locali, la tirannia che cerca di camuffarsi soprattutto nelle elezioni generali come gioco alla democrazia, ha continuato a rendersi evidente nel periodo che va dalle elezioni del 7 giugno fino al 1 novembre.
Il partito dell’AKP, che non è riuscito ad ottenere la legittimazione che desiderava nelle elezioni di giugno, dimenticando la sua condizione di governo ‘scelto per volontà popolare’, con la quale si riempiva la bocca prima del 7 giugno, si è comportato come se le elezioni del 7 giugno non ci fossero state, in modo antitetico alla condizione e alla situazione che avevano loro stessi creato con la finzione della democrazia. L’AKP stesso, non potendo ottenere la legittimazione di cui parlava attraverso l’illusione elettorale, ha giudicato senza valore le elezioni. Insomma, hanno creato una situazione del tutto opposta, il contrario della logica che essi stessi avevano adottato.
Con l’esplosione delle bombe a Suruç ha iniziato a concretizzarsi una nuova politica che si basa sulla tirannia, che trae la propria legittimazione dalla tirannia. Dal 22 luglio a oggi, arrivando dai coprifuoco alle stragi, lo stato cerca di proteggere attraverso la tirannia la propria posizione politica attuale con la scusa della ‘lotta al terrorismo’. La condizione di ‘essere scelto’, che Tayyip Erdoğan ricordava in ogni occasione prima del 7 giugno e che consacrava persino i politici a capo delle più piccole municipalità, è diventata oggi una caratteristica dimenticata. E in realtà lo stato è deciso a far dimenticare ai cittadini questa condizione con tutti i suoi mezzi. La nuova situazione in cui, non molto tempo fa, i capi dei municipi che erano stati regolarmente ‘scelti’ sono stati sollevati dal loro incarico su ordine dei governatori ‘appuntati’ dal governo, da questo punto di vista sono un importante esempio per comprendere la finzione di democrazia precedente al 7 giugno.
Con le bombe che sono esplose tra le due elezioni, il numero di persone uccise dallo stato supera le seicento. È stata la mano dello stato ad uccidere, direttamente o nascostamente, 33 persone a Suruç e 106 ad Ankara. Solo a Cizre, nel corso dello stato di emergenza durato una settimana, il numero delle persone ammazzate è di 22. Tra di esse ci sono anche un neonato di 35 giorni e persone di 60 anni. Allora, come bisogna intendere questa situazione?

Dispotismo, totalitarismo, dittatura…


Il potere politico che si trova nelle mani di un governo è stato chiamato in vari modi nel corso del tempo. Dalla dittatura al fascismo, dal totalitarismo alla monarchia, dal governo dei pascià alla presidenza, si è messo in relazione con vari metodi e sistemi politici.
Se consideriamo di essere partiti dalla tirannia, occorre aggiungere che anche questo concetto corrisponde a un sistema politico. Tale sistema politico, che non possiede una costituzione né un sistema legale, a cui si è costretti ad obbedire e che si fonda solo sul volere e sui capricci della persona o del gruppo a capo dello stato, viene definito dispotismo. Il termine, che viene dal greco con il significato di ‘padrone’, era utilizzato per coloro che possedevano schiavi e servitori in casa. Allo stesso modo, occorre riconoscere che il presidente Tayyip Erdoğan ricorre a questo metodo in modo da fare invidia alle decisioni dei capi di stato che possiedono la fama di despota nei vari luoghi e periodi storici, da Bisanzio alla Prussia.
D’altro canto, bisogna rilevare una situazione che forse ci è sfuggita, nel fare tali similitudini.
Come abbiamo cercato di evidenziare all’inizio di questo scritto, non si parla qui di una modalità di discussione, bensì di una caratteristica intrinseca: non si tratta di fare un confronto sottolineando quale delle innumerevoli forme del sistema statale sia meno democratica o democratica. Si intende sottolineare che tale caratteristica è propria dell’essenza dello stato. Nei vari scritti che abbiamo pubblicato nei numeri precedenti, abbiamo commentato tutto ciò con chiarezza, partendo dal fatto che la tirannia dello stato, che si manifesta chiaramente nelle ‘situazioni eccezionali’, in realtà non è un’eccezione.

La paura che tentano di diffondere

Con l’avvicinarsi delle elezioni del 1 novembre, lo stato utilizza la guerra da un lato come propaganda elettorale per poter essere il potere ‘scelto’, ovvero per conquistare il potere democratico; dall’altro, senza farsi sfuggire la possibilità di non riuscire ad ottenere la condizione di ‘essere scelto’, vi ricorre come metodo per dare seguito al proprio potere politico con la forza.
I provvedimenti presi soprattutto nella regione del Kurdistan come propaganda elettorale non sono utilizzati solo con lo scopo di distruggere attraverso le stragi, le operazioni di polizia, la pressione e la violenza: anche dal punto di vista tecnico, la situazione può spingersi oltre e comportare lo spostamento delle urne fino all’annullamento delle elezioni in alcune zone delle città, come tentativo per eliminare qualsiasi situazione che possa mettere a rischio il potere.
Tutti i partiti al di fuori di quello al potere sottolineano con insistenza che in effetti il governo attuale è transitorio. Naturalmente questo aggettivo non riduce in nulla la capacità di azione del governo. Gli obiettivi che vanno oltre la propaganda elettorale, con i provvedimenti tirannici, sono importanti per prevedere il periodo successivo al 1 novembre.
Si cerca di inscrivere nella normalità l’utilizzo della violenza perché lo stato protegga il proprio potere, creando situazioni ‘eccezionali’ come accaduto dopo le elezioni del 7 giugno.
Il potere, che ha appeso al chiodo il suo proprio diritto e le sue proprie leggi tra le due elezioni, ha messo da parte anche il gioco democratico su cui basava la propria legittimità. Ecco, in queste situazioni lo stato torna indietro alla propria natura: utilizza la violenza, a cui deve la propria esistenza, per far accettare il proprio ordine. Il compimento di quest’accettazione si basa sulla paura creata attraverso la violenza.
C’è una cosa che viene nascosta sotto questa strategia di politica interna ed estera, basata sulla violenza che va dal presidente della repubblica al governo transitorio, dalle forze di sicurezza ai media: la paura di perdere, nel futuro, i vantaggi economici e politici posseduti da chi è al potere… Questa paura spinge lo stato ad aggredire utilizzando tutti i suoi mezzi ed istituzioni. Come ha detto un compagno anarchico: è la paura che ‘il loro mondo vada in frantumi prima di congedarsi dal palcoscenico della storia’. Perché loro sanno cosa li aspetta quando le loro paure diventeranno realtà. Ancora, come ha detto lo stesso compagno anarchico: ‘Siamo pronti a distruggere il fascismo fino alla fine, anzi nonostante il governo repubblicano’.
Hüseyin Civan




Per la popolazione il nemico è lo stato

(dal numero 29 della rivista Meydan Gazetesi del DAF di Istanbul)

Lo stato, come aveva fatto ad Amed e Suruç stavolta ha fatto improvvisamente esplodere in successione due bombe il 10 ottobre ad Ankara. Le bombe, esplose tra migliaia di persone riunite per far sentire le loro richieste di pace e libertà, hanno provocato la morte di più di cento persone e il ferimento di altre centinaia. La polizia che è arrivata sul posto prima delle ambulanze, assalendo i feriti con lacrimogeni e manganelli, ha messo alla strage la firma dello stato.
E non ha stupito nessuno che questi ‘attentatori suicidi’ membri dell’ISIS, in teoria sotto controllo da tempo, essendo tra i numerosi nomi sulle numerose liste dello stato, abbiano realizzato in tutta tranquillità l’esplosione, cosa che ha reso evidente la relazione tra lo stato e l’ISIS e tra l’ISIS e le bombe.
Il terrorismo è una caratteristica intrinseca dell’essenza dello stato.
Lo stato, per esserci, ha bisogno dell’obbedienza, e l’obbedienza ha bisogno della paura.
Sia il terrorismo che era stato alimentato prima degli attentati, sia l’ondata di terrore che è stata creata utilizzando le esplosioni come scusa, hanno come scopo quello di creare paura e panico nella popolazione. È naturale che la popolazione spaventata, in preda al panico a causa della paura, obbedisca passivamente.
L’obbedienza allo stato è obbedienza al governo dello stato. I governi vanno e vengono con le elezioni. Ma anche quando c’è un governo di opposizione niente cambia. Quelli che sono al governo, per non perdere e per proteggere la loro posizione di comando alle elezioni, ricorrono a ogni sorta di bugia e inganno, come pure al furto e alla violenza.
Le bombe esplose a Suruç, Amed, Ankara sono lo sforzo del partito politico al governo di non perdere il governo, di conquistare di nuovo l’obbedienza della maggioranza.
Si è voluto spaventare e assimilare la società sulla pelle dei giovani che si opponevano alle bombe e al terrorismo a cui la popolazione curda è sottoposta in Siria a causa della collaborazione dello stato con l’ISIS. Lo stato, che non è riuscito a piegare il coraggio di un gruppo di giovani, ha calcolato che avrebbe spezzato quel coraggio generando il panico con le bombe e così ha massacrato 34 giovani a Suruç.
Dopo l’esplosione di Suruç, invece, lo stato, utilizzando la scusa dell’esplosione, ha ulteriormente aumentato la repressione contro l’opposizione.
Perquisizioni, custodie cautelari e arresti avevano lo scopo di far tacere quelli che li avevano smascherati e di dare seguito al clima di paura. Le forze dell’ordine che aggredivano con i manganelli e i lacrimogeni tutti coloro che si riunivano nelle strade, nei quartieri, nelle scuole, nelle università, nelle piazze, hanno aumentato la dose di terrore generato per l’obbedienza al governo.
D’altro lato, lo stato ha continuato ad alimentare il terrore in Kurdistan. Per prendere posizione contro questo terrore provocato dallo stato con le operazioni e i coprifuoco, in migliaia, decine di migliaia, milioni, hanno deciso di incontrarsi ad Ankara. Le bombe esplose ad Amed e Suruç, la guerra e i massacri condotti in Kurdistan, qualsiasi cosa lo stato facesse non riusciva a spaventare la popolazione, la gente si rafforzava e acquistava coraggio trasformando il dolore in rabbia.
Per lo stato la ruota ha iniziato a girare al contrario: quelli che dovevano avere paura hanno acquistato coraggio, e lui invece aveva iniziato a spaventarsi. Lo stato ha fatto ad Ankara quello che si attendeva. Con la bomba sono morte 106 persone.
Lo stato ha continuato la guerra alla popolazione che negli ultimi cinque mesi è costata la vita a migliaia di persone.
Noi, che siamo i nemici dello stato in questa guerra, non dimentichiamoci che per tutte le popolazioni il nemico è lo stato. In questo momento, Hasan Nerse a Cizre, Ekin Wan a Varto, Lokman Birlik a Şırnak, il curdo Alan che annega tra le onde, Muhammed che muore a un mese dalla nascita [sono i nomi di alcune delle vittime curde di questi mesi], le donne molestate e minacciate con lo stupro, le ambulanze che non vengono fatte lavorare, gli ospedali che vengono chiusi, i giornali che vengono sequestrati, le case che vengono perquisite, le piazze e i quartieri bombardati, sono le realizzazioni dell’esistenza dello stato. Perché lo stato è terrorismo, è guerra contro la popolazione.
La guerra tra le popolazioni e lo stato non è iniziata ora e non finirà ora. La guerra continuerà fino a che ci sarà un mondo senza stati. Questa è la nostra lotta e il nostro nemico è lo stato.

Comunicato sulla strage di Ankara pubblicato dall’Iniziativa Anarchica Rivoluzionaria DAF




Il terrorismo di stato e la psicologia del panico

(dal numero 29 della rivista Meydan Gazetesi del DAF di Istanbul)

La storia è come un libro dalla copertina rossa per il sangue delle ‘stragi di stato’. Da ogni pagina che viene girata scorrono sangue e ferocia, scorrono le vite che si sono sprecate a causa dell’‘immortalità dello stato’. Gli stati sono le organizzazioni terroristiche più grandi ed efficienti sulla terra. Nonostante questo, lo stato stesso, i suoi accademici e cosiddetti esperti del terrorismo, tenendo con insistenza ben lontano il termine ‘terrorista’, lo hanno invece affibbiato la maggior parte delle volte ai rivoluzionari. Il terrorismo è una strategia di guerra fisica e psicologica che è stata attuata da sempre da parte degli stati. Coloro che combattono per la libertà e la pace sono quelli che restano maggiormente vittime del terrorismo di stato.
Il terrorismo è un concetto talmente legato a quello di stato che persino l’organizzazione terroristica dell’ISIS, spesso nominata di recente e che sta insanguinando i territori in cui viviamo e il Medioriente, attribuisce ai proprio capi la qualifica di stato. È un fatto estremamente significativo.
È evidente che le bombe che sono esplose prima ad Amed, poi a Suruç e adesso ad Ankara ci hanno fatto del male: abbiamo perso molti amici e molti compagni in questo attentato che lo stato stesso ha organizzato.
Con questo attentato terroristico lo stato non ha soltanto voluto strapparci i nostri cari: ha cercato anche di ferire, di indebolire alcune potenzialità della società. Forse la bomba è esplosa ad Ankara, ma la sofferenza che ha provocato si è ripercossa in tutti gli angoli di questo paese insieme alla paura e al panico, e da questo punto di vista lo stato ha ottenuto quello che si proponeva.
Ne abbiamo visto un segnale due giorni dopo l’esplosione, con il ‘panico dell’attentatore suicida’ che si è vissuto nella metro di Ankara. Nella metro piena di gente, una donna con voce piena di agitazione e paura ha urlato: ‘Quest’uomo è un attentatore!’. Quel che è accaduto in seguito Il resto sono scene che ben conosciamo.

Paura, panico, folla…

Anche se il fatto non era reale e in quel momento chi era lì si è tranquillizzato, è significativo per farci capire in che stato di tensione viva la società oggi, quanto il trauma vissuto dopo l’esplosione sia serio. In più, questo è un solo esempio: dopo la diretta, si sono alternate notizie di bombe fatte brillare e di bombe finte. Nelle piazze delle città, nelle stazioni della metro, i controlli e le perquisizioni da parte della polizia sono aumentati. Poliziotti e militari armati hanno iniziato a girare indisturbati per ‘proteggere i cittadini’.
Lo stato, che ha ‘terrorizzato’ i luoghi in cui viviamo con le bombe che ha fatto esplodere ad Amed, Suruç e Ankara, ha cercato, sta cercando di catturare un nuovo effetto con il trauma collettivo (l’onda d’urto) che è una conseguenza naturale della bomba. Il regno del panico e della paura!
Una bomba, non è mai solo una bomba!
Sì, una bomba non è mai solo una bomba. Se in un posto esplode una bomba nucleare, l’onda d’urto si diffonde a chilometri di distanza per effetto della violenza dell’esplosione. Se lanciate una pietra nel mezzo di un lago, vedrete che il suo effetto cresce e si allarga fino a raggiungere la riva. Se lanciate una bomba su un posto, non uccidete solo le persone che sono lì, ma uccidete anche qualcosa in tutti quelli che sono testimoni diretti e indiretti al fatto. Insomma, la bomba esplosa ad Ankara continua ad esplodere in ogni luogo in cui in qualsiasi modo il fatto si è ripercosso!
Le occhiate tese, i comportamenti irrequieti, i corpi tesi si influenzano a vicenda e il panico e la paura aumentano. Sì, la bomba continua ad esplodere: la bomba continua ad uccidere: ferisce il nostro coraggio, la nostra dignità, la nostra solidarietà! La bomba fa a pezzi innanzitutto i corpi ma soprattutto l’integrità fisica e interiore. Ebbene, la casta del terrore dello stato terrorista è proprio questo. Riempire la vita con un panico e una paura tali da renderla invivibile!
Dunque, cosa c’è dentro gli anelli di quest’onda d’urto che si allargano?
Naturalmente trauma, paura, panico e agitazione.
Anzi, un trauma che si diffonde in modo tale che nessun individuo della società può trovare una controparte. Coloro che sono rimasti feriti nel luogo dell’esplosione, quelli che hanno appreso l’accaduto dai social network di fronte al computer, quelli che hanno guardato la televisione, quelli che lo hanno sentito da qualcun altro, i bambini che si sono spaventati senza aver ben capito cosa fosse successo, a causa della paura e della preoccupazione sui volti dei loro genitori, e naturalmente le persone vicine a chi ha perso la vita nell’esplosione… Anzi, forse persino quelli che si sono in parte rallegrati per chi si era salvato e non hanno dato importanza alla strage sono nel pieno dell’onda d’urto…
In psichiatria, questa condizione viene definita stress da disturbo post-traumatico. L’effetto del trauma si manifesta in modo diverso a seconda della distanza fisica ed emotiva dal fatto: chi è stato direttamente investito dal trauma, chi si trova nel perimetro di quelle onde che abbiamo appena ricordato, sperimenta situazioni e sensazioni di rabbia, insicurezza, paura, agitazione, interrogativi sul senso della vita. Dall’altro lato, avvicinandosi al centro delle onde d’urto il trauma si fa più profondo. Shock, paura, rabbia, senso di colpa, preoccupazione angoscia, disperazione. Tensione, stanchezza, problemi del sonno, alterazioni nel senso di fame, irregolarità del battito cardiaco e timori improvvisi. Tristezza, insicurezza, sensazione di rifiuto verso se stessi o di solitudine, atteggiamento eccessivamente severo o colpevolizzante, volontà di tenere tutto sotto controllo, perdita di interesse verso l’ambiente e i fatti circostanti. Possono inoltre manifestarsi continui flashback delle scene riguardanti il fatto, il ricordo dei minimi dettagli può coinvolgere interamente la persona e provocare problemi di concertazione.
Dall’altro lato, un altro effetto che fa da sfondo al trauma che hanno vissuto queste persone è la preoccupazione che il gruppo politico o etnico già in precedenza obiettivo dell’attentato possa essere vittima di un nuovo attacco.
Per quanto la stessa psichiatria possa identificare con esattezza i problemi delle vittime su questo punto, le soluzioni che essa propone sono decisamente insufficienti. La ricerca attuale di soluzioni come terapie, incontri, centri collettivi, resta una cosa piuttosto individuale per un fatto che invece è collettivo. La psichiatria, cadendo nel solito errore, cerca la soluzione a un problema collettivo nei piccoli cambiamenti che possono avvenire nella vita dei singoli individui.
Sì, può essere un fatto personale il modo diverso in cui viviamo il nostro dolore, la paura e il trauma. Ma questo evento è senza dubbio un fatto collettivo.
Questo attentato è stato organizzato per mano dello stato, pianificato in tutti i dettagli, pensando al modo e all’intensità con cui le persone morte e il resto della società sarebbero state influenzate dalle loro idee politiche e da questo evento; è stato previsto che il trauma che si è creato nella società avrebbe facilitato il controllo dello stato, tenuto le persone lontane dalla strada, danneggiato la vita sociale quotidiana, minato la comunicazione sociale e per questo le relazioni e la fiducia tra le persone; anzi, è stato finemente calcolato che avrebbe provocato un’ ‘insana’ realtà in cui le persone si aspettano di doversi proteggere dagli assassini.
Naturalmente, né questo panico e questa paura sono particolarmente anormali, né bisogna considerare come unico il trauma stesso in cui la società si trova. Non deve stupirci che coloro che hanno perso gli amici, i cari, i compagni e tutti altri che sono rimasti in qualsiasi modo vittime di questo evento si relazionino all’ambiente in cui vivono e al futuro con un ‘forse...’.
Ma non dobbiamo dimenticare che, per non restare bisognosi della protezione dei nostri assassini, per non incorrere nuovamente in simili vili attacchi, oltre che per rivendicare i desideri e i valori dei nostri amici che abbiamo perso, dobbiamo trasformare la paura in coraggio, il panico in sangue freddo. Contro i centri di questo potere che vuole seppellirci nell’oscurità, nella solitudine e nell’isolamento, dobbiamo far aumentare la condivisione e la solidarietà, dobbiamo continuare a lottare mescolando alla nostra lotta il dolore che viviamo, la rabbia che proviamo. Perché ciò che calmerà la nostra sofferenza, che placherà la nostra rabbia, che farà uscire la società da questo trauma e farà vivere il ricordo dei nostri amici e le loro idee è la lotta stessa!

Mar, 17/11/2015 – 14:51
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