Sulle orme dei Partigiani

data: 
Sabato, Aprile 25, 2015 - 13:06

Un giorno d’estate girovagando per le stradine tortuose che solcano i monti dell’Appennino romagnolo ci imbattiamo in un paesino, una frazione di poche case. L’attrazione per quel luogo si manifesta quasi subito e diventa fervido interesse quando capiamo che è stato teatro di uno degli innumerevoli atrocità compiute dai nazi-fascisti durante l’ultima guerra mondiale. Così la sera ci ritroviamo quasi per caso a chiacchierare con Ferdinando detto “Pasquino” e con sua moglie. Per loro, classe 1930, quei giorni di aprile del 1944 hanno rappresentato un momento chiave della vita, qualcosa che gli è rimasta addosso e i ricordi, seppur lontani, affiorano in fretta.
Ci raccontano di come il 12 aprile 1944 sono piombate sul paese le truppe tedesche affiancate da quelle repubblichine fasciste e di come un gruppo di una dozzina di partigiani abbia cercato di tenere in scacco, con una vecchia mitragliatrice mal funzionante, una forza spropositatamente più grande di loro nel tentativo di far guadagnare tempo al grosso del proprio gruppo, l’8° Brigata Garibaldi. Pasquino, rimarcando il clima di guerra civile in cui si viveva, racconta di come i tedeschi accompagnati da una spia fascista di un paese vicino riuscirono ad aggirare i partigiani, a prenderli alle spalle e a fucilarli tutti. Quei dodici corpi rimasero li in cima alla collina per trenta giorni. Poi il prete del paese si decise a chiedere il permesso di seppellirli, andò a prenderli con un carro trainato da buoi e li portò al cimitero dove vennero sepolti in una fossa comune, tranne due che erano del paese vicino. Il problema è che a quel punto i cadaveri erano irriconoscibili perché decomposti e in parte mangiati dagli animali; uno rimase ignoto, gli altri forse vennero divisi a caso. In quei trenta giorni i nazisti non restarono con le mani in mano ed eseguirono la rappresaglia: 10 morti per ognuno dei loro caduto in combattimento e quando finirono i partigiani da fucilare uccisero persone incontrate per strada, giusto per far tornare i conti… Anche i fascisti si diedero da fare e trovando in giro solo anziani li mandarono a chiamare, li misero in fila e chiesero dove fossero i loro figli. Ma siccome nessuno rispose, i fascisti li portarono prima a Corniolo in una specie di carcere e poi a Forlì. Li i giovani cominciarono a presentarsi per far liberare i genitori che vennero rilasciati, ma loro, quelli che si presentarono, vennero tutti deportati in Germania e non sono molti quelli che riuscirono a tornare a casa.
Il cugino della moglie di “Pasquino”, venne catturato durante il rastrellamento e chiuso in una casa sorvegliata insieme ad altri nel paese di Isola. Alcune ragazze del paese andarono dietro la casa e, in un momento in cui i tedeschi erano a pranzo, riuscirono a farne fuggire un paio che si buttarono da una finestra alta e poi via lungo un fosso fino al bosco.
Su quelle montagne l’unica formazione partigiana attiva era l’8° Brigata Garibaldi e i partigiani, in maggioranza comunisti, erano tutti li e quindi anche i socialisti e i cattolici vi si unirono. Prima dei giorni di aprile del ‘44 arrivarono ad essere fino a 2000, racconta Pasquino, dislocati in molte località della zona. Tuttavia dopo il rastrellamento la Brigata non si ricostituì più forte come prima e rimasero solo dei gruppi più piccoli di partigiani a combattere. In questo periodo arrivarono nella zona diversi stranieri scappati dai campi di prigionia o liberati dai partigiani. Inglesi e americani si nascondevano nell’eremo dei frati e poi venivano aiutati da guide locali ad attraversare le linee. Russi e Jugoslavi restarono sulle montagne per unirsi ai partigiani combattendo i nazifascisti fino alla Liberazione.
Pasquino conclude la piacevole chiacchierata affermando, con critica ironia, di essere sempre stato comunista ma che seguendo sempre la maggioranza del partito (il PCI prima, il PDS-DS-PD poi), si è fatto portare sempre più in la… fino a diventare democristiano, suo malgrado!
M

argomento:

tipo di documento: