a una settimana dagli arresti il punto sull’operazione repressiva di Cosenza.
E’ uno slogan vecchio, d’accordo, sa di archeologia. Ma della più macabra archeologia puzza anche tutta l’operazione politico giudiziaria ordita dalla Procura della Repubblica di Cosenza. Operazione che, se non costasse la privazione illegittima della libertà a numerosi attivisti del movimento dei movimenti, potrebbe suonare semplicemente grottesca e ridicola. Proviamo a tracciarne una mappa.
Il Raggruppamento Operativo Speciale dell’arma dei Carabinieri (Ros), dopo essere stato protagonista della componente repressiva più sanguinaria in seno agli scontri di Napoli del 17 marzo 2001 e della mattanza di fine luglio della stesso anno a Genova, culminata con l’assassinio di Carlo Giuliani ad opera di un militare dell’Arma, il 25 gennaio 2002 si vede assegnato un nuovo comandante. Si tratta del generale di brigata Giampaolo Ganzer, già vicecomandante del raggruppamento. Dopo l’esercizio della più dura violenza coordinato da uomini politici di Alleanza Nazionale nelle centrali operative durante quelle giornate è a questo punto che, verosimilmente con il patrocinio della stessa parte politica, inizia a prendere forma l’attività di intelligence di cui Ganzer, già uomo di fiducia del generale Dalla Chiesa nel nord est degli anni ’70,è professionista assai abile. I suoi investigatori intercettano, spiano, osservano, pedinano e in assenza di contraddittorio acconciano come vogliono cose, frasi, dialoghi, eventi, luoghi edificando una coerente cabala induttiva fino a quando non ritengono sostenibile un’accusa di associazione sovversiva. Il loro “prodotto” è un dossier di 980 pagine più 47 di indici e conclusioni. Inizia la vendita porta a porta alla ricerca del miglior offerente. Viene proposto ai giudici delle procure di Genova, Napoli (in osservanza del principio di competenza territoriale) e Torino senza trovare alcun giudice che lo ritenga anche solo in parte utilizzabile. Gli investigatori continuano a filmare, infiltrarsi in riunioni e assemblee, analizzare centinaia di siti Internet, ascoltare nelle case e nelle auto (continueranno a farlo fino alle giornate di Firenze) e finalmente trovano un entusiasta compratore nel pubblico ministero di Cosenza Domenico Fiordalisi che convince facilmente della bontà del prodotto anche il giudice per le indagini preliminari Nadia Plastina. La firma sull’ordinanza di custodia cautelare in carcere è del 6 novembre, da quel giorno si iniziano a sgomberare le celle dei supercarceri di Trani e Latina. All’alba di venerdì 15 novembre vengono eseguiti venti ordini di cattura, notificate quarantadue denunce e portate a termine decine di perquisizioni domiciliari, luoghi di lavoro compresi.
Le accuse fanno parte dei cosiddetti delitti contro la personalità dello Stato e sono il risultato di un’ operazione di archeologia giudiziaria che ha come terreno di estrazione il codice penale fascista Rocco del 1930. Arnesi ammuffiti, ma decisamente offensivi sul piano sanzionatorio. Questi i principali. Associazione sovversiva, art. 270 cp. Introdotto per colpire le opposizioni comuniste, socialiste e anarchiche “punisce con la reclusione da 5 a 12 anni chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato”. Cospirazione politica mediante associazione, art. 305 cp. Prevede la fattispecie associativa al fine di commettere uno dei delitti contro la personalità dello stato e stabilisce che “coloro che promuovono, costruiscono o organizzano l’associazione sono puniti per ciò solo con la reclusione da 5 a12 anni”. Propaganda sovversiva, art.209 cp. Prevede la pena da 1a 5 anni per coloro che si macchino di “propaganda sovversiva e antinazionale per l’instaurazione violenta della dittatura di una classe sociale sulle altre…” Il tema di prova è quello collazionato dai Ros, gli uffici giudiziari di Cosenza lo riorganizzano in un’ordinanza di 359 pagine. Francesco Caruso viene rinchiuso nel supercarcere di Trani perché “ha reso ingestibile l’ordine pubblico a Napoli e a Genova organizzando e provocando scontri, redigendo e diffondendo in concorso con Lidia Azzarita il ‘Manuale di autodifesa’ finalizzato ad istruire i manifestanti in caso di cariche, fermi e arresti”. Francesco Cirillo è il mittente e il postino di “messaggi che inneggiano alla guerriglia utilizzando siti Internet e sofisticati link”. Anna Curcio è colpevole di aver lavorato a Genova “a un progetto di comunicazione con delle radio indipendenti che trasmetteranno in rete sul sito http://www.radiogap.net”;. Per il giudice delle indagini preliminari Radio Gap (Global Audio Project) è un richiamo alla formazione ideata dall’editore Giangiacomo Feltrinelli “per propagandare in Italia e in Europa i fondamenti strategici e i principi organizzativi della guerriglia urbana”. A pag. 128 dell’ordinanza annota che “il ricorso a tale sigla per denominare la radio operante a Genova durante il G8 non può essere casuale, ma voluto da persone bene informate sui trascorsi eversivi che accarezzano l’idea di sfruttare la forma ‘anomica’ del movimento antiglobalizzazione per riattualizzare la lotta armata storicamente fallita”. La magistratura cosentina fa proprio il teorema elaborato dai Ros secondo le linee guida già sperimentate negli anni ’70, utilizza reati gravissimi che hanno il vantaggio di poter essere contestati senza che un delitto, una violenza, un’aggressione o attentato siano commessi, senza che ne siano dimostrate con qualche sia pur fragile fonte di prova le responsabilità. Ordinando la cattura di soggetti che, oltre a occuparsi di comunicazione e di lotte contro il neoliberismo selvaggio, oltre ad essere protagonisti di reati eversivi come l’invasione di edifici e la resistenza a pubblico ufficiale, forse “accarezzano idee”.
Carcere quindi, e carcere speciale. Di concerto con i vertici del Ros (ma il Viminale non ne sa davvero niente?) gli arresti vengono spettacolarizzati così che i media possano rimandare al paese le immagini di agenti che li eseguono in condizioni di alta pericolosità, costringendosi ad operare a volto coperto. Leggasi: perché se riconosciuti dai catturandi o dai loro accoliti la loro incolumità sarebbe in pericolo. Idem per la scelta dei carceri speciali, adeguati a sorvegliare pericolosi terroristi e a esercitare forte pressione psicologica sugli inquisiti. I giudici di Cosenza sembrano deliberatamente ignorare i principi fondamentali che costringono alla grave decisione di disporre la custodia cautelare in carcere: sostanzialmente tre. Interdire la reiterazione del reato. Ma quale reato? Quello fatto di volantini, di interventi in assemblea, di elaborazione di siti Internet, di impegno nel sociale o di idee “accarezzate”. Interdire l’eventualità di fuga. Ma quale fuga? Neanche un pazzo davanti ad accuse di tale inconsistenza prenderebbe la decisione di consegnarsi alla latitanza. Interdire l’inquinamento delle prove. Ma quali prove? L’inconsistenza del teorema cosentino è tale da aver messo tutta la stampa liberal in condizione di dover scrivere a chiare lettere che nell’ordinanza non è possibile identificare nemmeno l’ombra di una prova. E’ di tutta evidenza che la magistratura calabrese avrebbe potuto dar corso alla propria iniziativa senza ricorrere al carcere, ma così facendo avrebbe ridotto la portata politica e simbolica dell’operazione. Soprattutto dopo che era venuto meno il fondale di Firenze messa a ferro e fuoco. Il pm aveva infatti pronta la richiesta degli ordini di cattura in agosto, ma gli scenari in ordine alle giornate del Social Forum fiorentino suggeriti dal presidente del Consiglio (“ci saranno sicuramente devastazioni”) e dal ministro dell’Interno (“garantiremo l’ordine, ma non sappiamo a quale prezzo”) offrivano un contesto troppo appetitoso per non dare in pasto all’opinione pubblica la cattura di pericolosi sovversivi dopo aver proposto le immagini di Firenze “devastata”. Non a caso gli uomini dei Ros hanno continuato ad indagare, ossia a spiare e a intercettare non si sa in forza di quale legittimità formale, fino alla conclusione del Forum. La maturità e determinazione dimostrate da tutte le componenti del movimento dei movimenti ha viceversa vanificato questo stratagemma. Sui Ros e sul loro comandante, il citato generale Ganzer, è d’obbligo una sottolineatura. L’allora capitano Ganzer è stato l’uomo di punta del generale Dalla Chiesa nel nord est nel periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, epoca in cui prioritaria era per la squadra del generale la lotta all’eversione, anche a costo di una notevole spregiudicatezza nel modus operandi. E’ del capitano Ganzer infatti la firma in calce ad un voluminoso dossier che l’Arma consegna nel 1980 alla Procura della Repubblica di Padova, volto ad ottenere la cattura di decine di militanti del movimento in ragione dell’accusa di costituzione e partecipazione ad associazione sovversiva. Il tema di prova è del tutto simile a quello fatto proprio dai giudici cosentini. Giornali, volantini, documenti, intercettazioni coniugati e saccheggiati di singole frasi che, estrapolate dal contesto complessivo, venivano riunite in un mosaico dalla significazione a senso unico. Ma anche manipolazione di personaggi equivoci: un tossicodipendente spacciatore e un delinquente comune come protagonisti del ruolo inedito di “pentiti” in ragione di una legge in vigore da un paio di mesi. L’inchiesta organizzata da Ganzer si inscrisse così in quel complesso meccanismo politico giudiziario ricordato come “processo 7 aprile” che costò fino a cinque anni di detenzione illegittima a molti imputati che poi furono riconosciuti innocenti. Ganzer fu grande manovratore di documenti e pentiti (e relativi sostegni finanziari) anche in seno alle inchieste sulla colonna veneta delle Brigate Rosse prima di occuparsi della malavita organizzata del nord est. La sua spregiudicatezza lo portò a trovarsi spesso in posizioni scabrose, come quando risultò che il suo uomo più affidabile era in busta paga del bandito Felice Maniero. Si trovò a essere indagato per false dichiarazioni rese al pm di Verona o a rispondere di ingenti quantità di cocaina utilizzata per infiltrazioni o provocazioni senza consenso della magistratura. Al punto che la procura di Brescia, dopo la scoperta di una raffineria di cocaina gestita dal Ros, ipotizzò alla fine degli anni ‘90 una sorta di associazione a delinquere all’interno della sezione antidroga del Ros, finalizzata a fare del traffico di stupefacenti non il mezzo di indagine, ma il fine della propria attività. All’interrogatorio il colonnello Ganzer si presentò con un microfono sotto il bavero della giacca, registrò le invettive fuori verbale del magistrato contro di lui, chiese ed ottenne il trasferimento di un’inchiesta ormai destinata a morire. Nel frattempo i suoi uomini provvidero a sgominare una banda di giostrai che imperversava per le strade del Friuli organizzando, tramite le consuete infiltrazioni, un agguato armato che si concluse con il loro annientamento fisico.
Durante le giornate di Napoli e Genova dello scorso anno il colonnello Ganzer, uomo intelligente e pericoloso, certamente determinato nell’edificazione della propria carriera, ricopriva il ruolo di vicecomandante del Ros. Il suo posto era nelle centrali operative da cui sono partite le disposizioni non solo relative alla gestione dei disordini di piazza, ma anche quelle che hanno dato vita a torture, vessazioni fisiche e psicologiche di ogni tipo nei confronti di decine e decine di fermati. Il suo posto era vicino a uomini della destra del calibro del vicepresidente del Consiglio Fini e del deputato già carabiniere Ascierto, unica personalità pubblica che, dopo gli arresti di Cosenza, si augura che “tutte le procure italiane procedano nei confronti dei Disobbedienti”. C’è un filo nero, neanche tanto sottile, che parte dai teoremi giudiziari degli anni ’70, attraversa le giornate più sanguinarie che l’Europa abbia mai vissuto in tema di repressione di manifestazioni pubbliche, approda a vecchi/nuovi teoremi strutturati ancora nell’intento di reprimere il dissenso criminalizzandolo. Il comandante del Ros, il generale di brigata Giampaolo Ganzer, questo filo non lo ha mai mollato. Accusa (ci accusa tutti) di “voler riattualizzare la lotta armata storicamente esaurita”. Non ci accontenteremo di avere velocemente tutti i compagni sequestrati in libertà e di ridere sulla demenzialità provocatoria di questa inchiesta. E’ tempo che il Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri venga sciolto. Per il bene del Paese.
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