Aggiornamenti sul processo ai prigionieri comunisti arrestati il 10 giugno 2009

da Assemblea contro Carcere e Repressione

Report 11 novembre 2010


Nella prima parte di questa sesta udienza, sono stati ascoltati due tecnici sulla dinamica esplosiva del mortaio rudimentale della Vannucci.
L’interrogatorio dei pm Erminio Amelio e Luca Tescaroli ha voluto sottolineare la pericolosità della carica esplosiva, soprattutto se contestualizzata rispetto al luogo, ribadendo la tesi emersa durante il precedente esame di uno dei due parà: l’ordigno sarebbe stato posizionato per colpire la mensa dei sottufficiali o comunque un posto affollato, nel tentativo quindi di avallare l’imputazione di tentata strage. Nonostante la descrizione accurata da parte dei testi sia rispetto alla dinamica presunta dell’esplosione, sia rispetto ad eventuali danni che avrebbe potuto provocare una deflagrazione che comunque non è avvenuta, mancano elementi concreti per accertare gli avvenimenti di quel giorno. Non si capisce quale tipo di polvere incendiaria avrebbe causato l’innesco; non c’era il collegamento fra miccia e innesco, cosa di cui peraltro lo stesso teste si stupisce e che inficia l’elevata pericolosità dell’ordigno dal momento che, come ha sottolineato un avvocato difensore, il materiale ritrovato di per sé non era esplodente; non si conosce la reale quantità di esplosivo utilizzato e tutte le ricostruzioni effettuate si basano su ipotesi a posteriori e perciò non verificabili.
Nella seconda parte dell’udienza è proseguito il controinterrogatorio del primo dirigente della digos di Roma, Lamberto Giannini.
In questa seduta sono intervenuti gli avvocati di Costantino Virgilio, Bruno Bellomonte e Bernardino Vincenzi. Le linee difensive di ognuno sono focalizzate sulle azioni individuali e specifiche, tralasciando i comportamenti dei coimputati.
L’avvocato di Costantino Virgilio ha cercato di far puntualizzare quali tecniche di spedinamento, contropedinamento e altre simili condotte, definite dal teste come patrimonio di organizzazione, fossero state messe in pratica dal suo assistito nei casi specifici precedentemente indicati. Come era già successo nelle precedenti audizioni, si è evidenziata la necessità da parte del capo della digos romana di piegare la condotta dei singoli imputati alla coerenza della sua tesi accusatoria, con uno scarto logico che nega il valore del dato empirico; inoltre il teste ha dovuto più volte ribadire che le indagini non sono state effettuate direttamente da lui e che quindi una sua riposta a domande specifiche sarebbe stata incompleta o imprecisa, a differenza di quanto aveva testimoniato durante l’interrogatorio dei pm in cui le sue affermazioni apparivano salde e costituivano precise ed indiscutibili parti dell’indagine.
Gli avvocati di Bruno Bellomonte si sono concentrati nell’appurare alcune precedenti affermazioni del digos, importanti per la tesi accusatoria. Di fronte alle contestazioni, Lamberto Giannini ha ammesso che gli accertamenti, quando si sono svolti, non hanno dato riscontro, mentre in altre occasioni non si sono svolti, rivelando ancora l’inconsistenza di alcune sue deduzioni.
Continuando nel controinterrogatorio, il teste ha poi dovuto dichiarare che i rilievi informatici hanno dato esisto negativo e che i rapporti con alcuni personaggi noti del movimento rivoluzionario erano o inesistenti o interrotti da tempo.
È indimostrabile persino l’internità di Gigi Fallico alle BR-PCC che, sempre secondo il digos, sarebbe incerta ed indefinita, ma che era uno dei capisaldi dell’inchiesta.
Non sono mancati, infine, riferimenti a vecchissime informative, irrilevanti ai fini del processo, ma utili a dipingere il quadretto del perfetto sovversivo.
In pratica la testimonianza di Lamberto Giannini, se analizzata con puntualità, risulta avere molte falle, tanto che ha dovuto ricorre in più occasioni a battute di spirito rispetto ai loro metodi di indagine (abbiamo pensato di non chiedere direttamente a Fallico e Bellomonte che cosa stessero architettando), come se in questo modo la grossolanità delle sue affermazioni potesse passare simpaticamente inosservata, in contrasto con la serietà a cui i pm richiamano con ossessione durante i controinterrogatori della difesa e con quella verità che credono di avere in mano, incuranti della vita delle persone sotto processo.
La fragilità dell’impianto della procura è però sostenuta e puntellata dalle scelte della corte presieduta da Anna Argento che consente ampi margini di manovra all’accusa e li nega agli avvocati difensori; si direbbe che il processo è diretto dai pubblici ministeri sempre pronti a imbeccare il teste di turno o a opporsi in modo censorio alle domande della difesa, mentre il giudice annuisce.
E difficilmente potrebbe essere altrimenti perché la tesi accusatoria, se osservata in modo non parziale, mostra la sua inconsistenza e la sua natura di pregiudizio.
Il senso e il tono nelle parole dei pm è che, rispetto a quello per cui gli imputati vengono processati, poco conta la concretezza della prove, quasi dimentichi delle regole del gioco che loro hanno scelto di giocare, immedesimati nel ruolo di paladini dell’ordine democratico.





Precedenti comunicati dell'Assemblea Contro il Carcere e la Repressione sull'argomento, tratti da carmillaonline.com


Si può fare solo una cosa cioè far valere e sostenere con tutte le forze

quello che nelle concrete situazioni sociali e politiche
può condurre ad una società di uomini liberi.
Se non si fa questo vuol dire che ci si rassegna
a che l’uomo sia solo un pezzo di fango.
J.P. Sartre

La sequela di inchieste che si stanno succedendo in Italia con una scadenza ormai semestrale testimonia la volontà dello Stato di sconfiggere l’opposizione manifesta a un sistema sociale ed economico che ormai non ha da offrire che razzismo, sottomissione e disgregazione, andando a punire condotte reali o potenziali in qualche modo lesive dello stato di cose presenti.
L’inchiesta del 10 Giugno perfettamente si inserisce in questo panorama come tutte le altre che vedono coinvolti rivoluzionari sia anarchici che comunisti.
Quello che vogliamo ribadire è la nostra solidarietà ai compagni prigionieri in un percorso che, al di là delle sterili differenziazioni, senza vittimismo e commiserazione, sia capace di continuare e rafforzare le lotte nelle loro molteplici espressioni e modalità, e di sostenere quel filo che ci unisce ai compagni reclusi, che è lo stesso filo che unisce i compagni più esperti con quelli più giovani e volenterosi, tramandando la rivoluzione. Crediamo infatti che le lotte di questi compagni vadano tutte nel senso del rovesciamento di un dominio, di un intero sistema sociale, politico ed economico che ben conosciamo e tutto questo ci pone, noi e loro, dalla stessa parte della barricata.
In questo scenario l’unica solidarietà possibile è quella che si esprime come azione politica militante, è quella che dice agli arrestati che non sono dentro per nulla, che fuori non c’è il vuoto pneumatico, ma ci siamo noi che continuiamo la loro e la nostra lotta, consapevoli del prezzo che viene e verrà fatto pagare ogniqualvolta qualcuno alzi la testa.
È possibile sostenere i compagni prigionieri e dare prospettive alla nostra opposizione, arricchendola della coerenza, determinazione, dignità e coraggio di coloro che vengono colpiti dallo Stato, impedendo che spiragli di pratiche rivoluzionarie siano messi al bando.
E se la politica e la lotta entrano nel carcere allora la reclusione, che ha il solo obiettivo di isolare e disgregare, è resa inutile.
Solo affrontando la prigione da un punto di vista politico, e non con il codice di procedura penale in mano, le si dà la sua giusta dimensione, evitandoci anche di lottare inutilmente contro l’obiettivo sbagliato, come succede a garantisti e democratici.
Consideriamo quindi i nostri compagni semplicemente trasferiti in un altro settore di intervento.
E se è vero che il carcere è funzionale al mantenimento dell’ordine dato, allontanando dalla vista le contraddizioni del sistema e imprigionando i rivoluzionari, sappiamo che esso, al pari di qualsiasi altro luogo di aggregazione e segregazione, può trasformarsi nel suo contrario e produrre rivoluzionari e liberazione, da George Jackson a tutte quelle forme di organizzazione politica e di rivolte che hanno attraversato l’Italia dagli anni Settanta in poi.

Assemblea contro il carcere e la repressione
assembleacontrolarepressione@gmail.com

Per chi volesse scrivere ai prigionieri rivoluzionari detenuti nel carcere-confino di Catanzaro, l’indirizzo è questo: Casa Circondariale
Via Tre fontane 28
88100 Siano (CT)

Rinvio a giudizio per gli imputati del 10 giugno

Il 27 maggio 2010 si è svolta l’udienza preliminare che vede alla sbarra gli imputati dell’inchiesta del 10 giugno.
Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ha ottenuto il rinvio a giudizio per tutti gli otto compagni per partecipazione ad associazione terroristico-eversiva costituita in una banda armata denominata Per il comunismo – Brigate Rosse; alcuni sono anche accusati di atto di terrorismo con ordigno esplosivo e micidiale alla caserma Vannucci della Folgore, a Livorno; detenzione e porto di un mortaio artigianale e di candelotti di esplosivo al fine di sovvertire l’ordinamento dello Stato; detenzione di armi. Le persone considerate offese nella richiesta del pm sono il presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della Difesa.
Il processo inizierà il 16 settembre 2010, presso il tribunale di Roma.
Non ci stupisce questo esito che era scritto, come noto era già il fatto che la fermezza rivoluzionaria nel ventre della bestia si scontra inevitabilmente con il carcere.
Non ci preme sapere se i nostri compagni abbiano fatto ciò che viene loro contestato perché sappiamo bene da che parte stare e siamo consapevoli che ribellarsi a questo sistema di sfruttamento significa scontrarsi con chi lavora unicamente per annientarci, nelle galere come nelle strade, il che fa scattare la logica intimidatoria e punitiva delle istituzioni democratiche.
Ma la loro prigionia non induce a piegarci ed a rinunciare alla nostra identità politica autonoma rispetto ai modelli borghesi.
Se lo Stato democratico pensa di difendersi a colpi di sentenze, è destinato a un’amara delusione, perché la rivoluzione dice: io ero, io sono e io sarò.
Non ci sfuggono certo le difficoltà: oggettive, quelle dovute all’attuale condizione politico-economica e alle violenze che la democrazia parlamentare si concede con il plauso dell’opinione pubblica; e soprattutto soggettive, quelle legate all’espressione del pensiero e della pratica rivoluzionari.
I nostri attrezzi sono l’unione, la determinazione e la lotta, gli unici di cui disponiamo, ma che sono anche più che sufficienti per ribaltare un meccanismo globale strutturalmente in agonia, perciò non ci lamentiamo.
I ribelli di ieri e di oggi, e ovunque nel mondo, hanno affrontato condizioni ben peggiori per giungere infine alla vittoria.

LA RIVOLUZIONE E' UN FIORE CHE NON MUORE

Assemblea Contro il Carcere e la Repressione

Ven, 19/11/2010 – 12:02
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