Garante per la protezione
 dei dati personali

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 PRIVACY E DATI SANITARI PER INDAGINI GENETICHE

Per tutelare la salute o l'incolumita' psico-fisica di una persona si
possono legittimamente acquisire presso cliniche ed ospedali i dati
sanitari di un parente anche se questi non presti il suo consenso o si
rifiuti di darlo.

Lo ha stabilito l'Autorita' Garante per la protezione dei dati personali in
una pronuncia nella quale e' stato affrontato il significativo caso di una
donna affetta da malattia congenita che, intendendo avere un figlio, si e'
sottoposta ad indagini genetiche.

Per poter formulare il loro giudizio sul rischio che la donna possa
trasmettere, in caso di gravidanza, la sua malattia, gli specialisti hanno
necessita' di acquisire alcuni dati sanitari riportati nelle cartelle
cliniche del padre della donna. A tale acquisizione il padre si e'
dimostrato contrario, mentre i medici dell'ospedale, dove le cartelle sono
conservate, hanno opposto il segreto professionale e il loro avviso che la
legge 675 consente di acquisire senza consenso dati sanitari solo nel caso
in cui l'interessato sia incapace di intendere e di volere.

La donna si e' pertanto rivolta al Garante chiedendo di autorizzare
l'acquisizione delle cartelle cliniche del padre, anche in assenza del suo
consenso.

Esaminando il caso, il Garante ha innanzitutto osservato che la conoscenza
(prima del concepimento o durante la gravidanza) del rischio di insorgenza
di patologie, anche di tipo genetico, sulla persona che si intende
concepire o sul nascituro, puo' certamente contribuire a migliorare le
condizioni di benessere psico-fisico della gestante, nel quadro di una
piena tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo. Nel
caso specifico, l'accesso ad alcuni dati sanitari del padre della paziente
rappresenta un presupposto essenziale per l'accertamento delle modalita' di
trasmissione della malattia e soltanto la disponibilita' di questi dati
consente una scelta riproduttiva consapevole ed informata.

Il Garante ritiene, pertanto, che l'ospedale debba prima chiedere al padre
della donna il consenso scritto all'acquisizione dei dati sanitari
contenuti nella su cartella clinica. Qualora l'interessato non fornisse
risposta o opponesse il suo rifiuto, l'ospedale potra' acquisire i suoi dati
sanitari presso la struttura sanitaria dove sono custoditi anche in assenza
del suo consenso. E questo sulla base della legge n.675 e
dell'autorizzazione n.2/1998 emanata dal Garante (pubblicata sulla G.U. del
1.10.1998).

Gli organismi sanitari pubblici, infatti, possono trattare i dati senza il
consenso dell'interessato qualora si debba tutelare la salute o
l'incolumita' fisica di terzi o della collettivita'. L'esigenza di tutelare
il benessere della gestante puo', nella circostanza in esame, comportare un
ragionevole sacrificio del diritto alla riservatezza dell'interessato.

Anche dal punto di vista del segreto professionale, la tutela
dell'incolumita' psico-fisica di un terzo viene considerata "giusta causa"
dall'art.622 del codice penale che legittima la rivelazione di informazioni
eventualmente coperte da segreto professionale. Lo stesso codice di
deontologia medica, di recente modificato, indica espressamente quale
"giusta causa di rivelazione" sia l'urgenza di salvaguardare la vita o la
salute dell'interessato o di terzi, nel caso in cui l'interessato non sia
in grado di prestare il proprio consenso, sia l'urgenza di salvaguardare la
vita e la salute di terzi, anche nel caso di rifiuto dell'interessato, ma
previa autorizzazione del Garante.

In conclusione, l'ospedale non incontra ostacoli ne' nella legge n.675 del
1996, ne' nelle norme sul segreto professionale e puo' legittimamente
acquisire i dati sulla base della citata autorizzazione del Garante

L'Autorita' ha, comunque, richiamato l'organismo sanitario ad adottare
precise cautele a tutela della riservatezza. L'Autorita' ha indicato
espressamente che i dati sanitari da acquisire siano trasmessi con plico
sigillato, in modo da assicurare la segretezza della cartella clinica nei
confronti di persone estranee, e che il personale dell'ospedale riferisca
personalmente alla sola richiedente il risultato dell'indagine genetica con
informazioni chiare ed esaustive, senza pero' comunicarle i dati sanitari
relativi al padre e di non comunicare a quest'ultimo informazioni relative
agli accertamenti eseguiti, fuori dei casi di diritto di accesso ai dati
che lo riguardano o di necessita' di acquisizione di informazioni necessarie
per la tutela delle propria salute o incolumita' fisica.

Nel caso in cui la cartella clinica del padre della donna contenga dati di
carattere genetico, l'ospedale dove e' conservata la cartella dovra' chiedere
preventivamente l'apposita autorizzazione al Garante, cosi' come previsto
anche dal recente decreto legislativo n.135 dell'11.5.1999, in materia di
trattamento di dati sensibili da parte della pubbliche amministrazioni.

Pur mancando nel nostro ordinamento giuridico una definizione legislativa
di dato genetico, l'ospedale potra' tenere conto della nozione contenuta
nella raccomandazione 97/5 del Consiglio d'Europa, alla quale fa esplicito
riferimento anche la legge sulla protezione dei dati personali, che
ricomprende "tutti i dati, indipendentemente dalla tipologia, che
riguardano i caratteri ereditari di un individuo o le modalita' di
trasmissione di tali caratteri nell'ambito di un gruppo di individui legati
da vincoli di parentela".

Infine, deve essere tenuto presente il documento riguardante le "Linee
guida per i test genetici", approvato il 19 maggio 1998 dall' Istituto
superiore di sanita' e dal Comitato nazionale per la biosicurezza e le
biotecnologie presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha
individuato tra i fattori a rischio che rendono consigliabile il ricorso
all'indagine genetica, la circostanza che uno dei due genitori sia
portatore di una malattia congenita. Lo stesso documento ha stabilito,
inoltre, che il diritto di un familiare a non conoscere o a non rivelare i
suoi dati genetici cede di fronte al diritto della persona che chiede di
sottoporsi ad un test genetico nel caso in cui la rinuncia comporti
"l'omissione di trattamenti che prevengono o curano la malattia o
l'adozione di strategie che prevengono il concepimento o la nascita di
figli ammalati".