Da un articolo apparso sul sito di Repubblica 

"La decisione del Tribunale di Milano nasce dal caso di una donna
licenziata dopo che si era scoperto che aveva anche lavori privati
Privacy, il "capo" puo' leggere l'e-mail del dipendente assente"

Si sono diffuse in Rete false convinzioni sulle possibilita' da parte del datore di lavoro di controllare la corrispondenza privata dei propri dipendenti. Nella mailing list cyber-rights, fortunatamente, un prezioso partecipante ha potuto viceversa chiarire all'interno del dibattito scaturito nella lista che...
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>
R: [cyber~rights] da Repubblica - lecito leggere la posta di un dipendente? Stefano Paloschi

 * From: "Stefano Paloschi" <s_paloschi@sealab.it>
 * To: <cyber-rights@ecn.org>
 * Subject: R: [cyber~rights] da Repubblica - lecito leggere la posta di un dipendente?
 * Date: Thu, 16 May 2002 23:20:48 +0200



> a parte che penso che la tipa possa ricorrere
> in appello

no, perche' quella non e' una sentenza, ma un provvedimento di archiviazione,
che puo' essere opposto entro 10 giorni

> e chiedere una revisione del processo per palese violazione
> dell'art.4 dello statuto dei lavoratori, poiche' questo e' uno strumento
> di controllo e non credo che sia stato concordato con i lavoratori
> ovvero non credo che ne erano a conoscenza....

sono due ambiti diversi
il fatto che un GIP abbia archiviato il procedimento perche' non ritiene
sussitente, nella fattispecie, il reato di "violazione di corrispondenza
aggravata", ossia lo ritiene non rilevabile da un punto di vista penale, non
significa che quel comportamento sia lecito da un punto di vista di diritto
del lavoro.

Stefano

> Ok, ok, lo sappiamo... e sulla questione del principio abbiamo tutti il
> diritto d'indignarci (cio' non toglie che la tipa resta disonesta
> e cretina).
> Pero' davvero, mi sono rotto di continuare a sentire paragonare l'email
> non crittografata alla posta in busta chiusa. Cosa che forse anche le
> varie leggi dovrebbero finalmente recepire;
>
> Faccio un esempio personale, ipotetico ma possibilissimo. Uno dei miei
> collaboratori sta via per un mese. La sua cassetta della posta di carta
> in arrivo trabocca e casca tutto. Nel tirar su da terra il casino, vedo
> un tot di CARTOLINE postali che fanno riferimento a una regolare
> attivita' di suoi lavori per altre testate, fatti da lui da questa
> redazione. Che faccio? Ho violato la sua privacy? Fingo di non aver visto?
> Boh? E se una sentenza cosi' servisse invece per chiarire finalmente la
> differenza anche giuridica tra posta aperta e posta chiusa, ovvero tra
> email normali ed email crittografate? Non sarebbe meglio che
> limitarsi a indignarsi?

Veramente il codice penale distingue gia' tra corrispondenza aperta e chiusa.
Per quella aperta si punisce la distruzione o la distrazione, ma non la
presa di visione (ossia si viola la corrispondenza "aperta" solo se la si
distrugge, intercetta, ma non se la si legge); per quella chiusa si punisce,
oltre all'intercettazione, distruzione, distrazione, anche la presa di
visione (ossia si viola la corrispondenza "chiusa" se, oltre ai
comportamenti detti prima, la si legge).
Dissento dalla tua opinione comunque.
Le e-mail sono comunque da considerarsi corrispondenza "chiusa" e non
aperta.
Con questo non voglio dire che non condivida cio' che dici sull'importanza
della crittografia e dell'adozione di misure di sicurezza per proteggere la
propria corrispondenza, ma da un punto di vista giuridico l'e-mail e'
considerata (e considerabile) come l'invio di una lettera nella busta
normale, sigillata.
Anche quella lettera sarebbe apribile da chiunque e con poco sforzo ed il
contenuto leggibile da chiunque, se non criptato con un qualche codice, ma
cio' non toglie che quella lettera e' comunque attinente ad una comunicazione
che avviene tra due soggetti distinti, la cui segretezza e' tutelata dalla
Costituzione, e nessuno e' legittimato a leggersela.

Stefano

> Cosi' come e' lecito aspettarsi che l'azienda possa eventualmente
> controllare i
> tabulati dei telefoni a fronte di bollette eccessivamente alte, e
> verificare
> se le chiamate fatte erano effettivamente chiamate di lavoro e non verso
> numeri quali 166 e compagnia bella (e' successo anche questo ad
> alcuni miei
> conoscenti, sono stati licenziati e secondo me giustamente, perche' chi si
> mette a telefonare all'166 dal telefono del suo ufficio e' secondo me
> un'emerito coglione), e' lecito anche aspettarsi che possano effettuare un
> qualche tipo di controllo a fronte di un eccessivo utilizzo di
> banda o di uno
> scarso rendimento nel lavoro da parte del dipendente.
> Personalmente la trovo
> una cosa abbastanza logica, mi stupirei del contrario. D'altronde, nella
> nostra intranet aziendale e nella nota informativa consegnata ai
> neo-assunti,
> c'e' un documento sull "etica comportamentale" da seguire, che dice
> testualmente:

Tutto quel che dici e' giustissimo, ma cosi' come il lavoratore deve pensare
che se usa le risorse aziendali per scopi personali corre il rischio di
essere beccato, allo stesso modo le aziende che intendono effettuare
controlli come quelli del tipo che dici tu (ad es. controllare i tabulati
telefonici) non possono farlo come cazzo gli pare a loro ma DEVONO
*preventivamente* concordare le modalita' di controllo con le Rappresentanze
Sindacali Aziendali o, in alternativa, con la Commissione Interna.
Questo non solo per aride questioni di principio, ma per motivi che, a mio
avviso, sono molto sostanziali e di garanzia del lavoratore.
Faccio un banale esempio: sono costretto un giorno, per motivi assolutamente
giustificatissimi a fare una lunga telefonata personale; il fatto mi e'
contestato dopo 2 mesi al momento dell'arrivo della bolletta con relativo
tabulato.
Passati i due mesi io posso essermi anche dimenticato il motivo per cui feci
quella telefonata, oppure, pur ricordandomene, sono in difficolta' perche' il
tempo trascorso mi impedisce di dimostrare quanto affermo a mia discolpa.
C'e' un'enorme differenza tra una contestazione nell'immediatezza dei fatti e
di persona, in cui sono messo in condizione di discolparmi e di reperire
prove a mio favore, ed una a distanza di tempo (e/o di luogo).
Un previo accordo tra RSA e datore di lavoro dovrebbe stabilire le modalita'
di raccolta di questi dati di controllo proprio prendendo in considerazione
QUESTE esigenze, oltre alla tutela della riservatezza e della dignita' del
lavoratore.
Purtroppo devo dire, e parlo per esperienza diretta, che tutti o quasi i
datori di lavoro soffrono molto di "delirio d'onnipotenza" su questo punto,
e poco ci manca che mettano le telecamere anche nei cessi...
Stefano

> ecco, hai perfettamente ragione. In effetti se si e' andati off topic e'
> soprattutto colpa mia, chiedo venia. Questo comunque e' il punto
> fondamentale.
> L'azienda PUO o NON PUO, dal punto di vista formale, controllare
> cose come i
> log delle connessioni internet, le mailbox degli utenti, e cose simili?

In parte ho appena risposto nella mail inviata prima.
Il controllo remoto dei lavoratori e' VIETATO.
Qualora esigenze tecnico-produttive (vedi log di internet) o di tutela di
beni aziendali (vedi tebulati telefonici) lo richiedano necessariamente,
tali controlli sono consentiti A CONDIZIONE che le modalita' siano
preventivamente concordate tra datore di lavoro e RSA o, in mancanza,
Commissione Interna.
In caso non si raggiunga un accordo, il datore puo' rivolgersi
all'Ispettorato del Lavoro.

In molte aziende cui ho spiegato questa storiella, non appena pronunciavo la
parola "Rappresentanze Sindacali" sgranavano tutti gli occhi, spiegandomi
che non solo non le avevano, ma non sapevano neppure se erano un tipo di
toast o un ballo.
Non vi dico quando parlavo di "Commissione Interna" o di "Ispettorato del
Lavoro" (questo sconosciuto)...
Stefano

> E penso anche alle telefonate in un call center, che (si spera
> previo accordo sindacale o comunque preavviso degli operatori)
> possono essere monitorate in real time.
>

Questa forma di controllo particolarmente penetrante, detto appunto
"intrusivo", e' consentito negli U.S.A., ma vietatissimo in Italia.


Stefano

> No. Le lettere private devi fartele mandare a casa tua.
> Quello che ti arriva in azienda si da' per scontato che sia
> inerente al tuo lavoro, quindi l'azienda ha il diritto di
> leggerlo.

No.
Non discuto che il lavoratore che sfrutta le risorse aziendali per spedire
una lettera personale commetta una scorrettezza, ma cio' non toglie che
quella lettera non possa essere letta-aperta-intercettata se non da
detinatario/mittente, oppure dall'Autorita' Giudiziaria dopo la presentazione
di una regolare denuncia.
Altrimenti non solo si commmette reato di violazione di corrispondenza, ma
anche di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.


> >comunque nessuno mi ha risposto alla mia domanda e cioe' se
> >sia lecito o meno che l'azienda per verificare le attivita'
> >dei lavoratori si metta a sbirciare la posta elettronica o
> >i file contenuti sul PC messo a disposizione per questioni
> >lavorative...
>
> Secondo me si'. Quello e' il tuo lavoro, che deve sempre
> essere accessibile.

Con le dovute modalita'.
Stefano

> di secondaria importanza, non credo che esista UNA SOLA azienda
> che non controlla i tabulati telefonici solo perche' non ha raggiunto
> i dovuti accordi sindacali.

Le aziende che lo fanno - e non metto in dubbio che siano molte - violano
l'art. 4 dello statuto dei lavoratori, e sono peraltro sanzionabili
penalmente.
Inoltre, eventuali sanzioni comminate irrogate in violazione di tale norma
(ossia sulla base del controllo di un tabulato telefonico controllato senza
il previo accordo con le RSA) sono impugnabili di fronte al Giudice del
Lavoro.

> E quando le aziende diramano le classiche
> e frequenti note interne che invitano a un uso piu' accorto del telefono,
> in seguito a osservazioni fatte sui tabulati (e lo dicono), non mi
> risulta che le Rsa si stupiscano mai.

E con cio'?
Io non mi stupisco quando un detenuto mi dice che in carcere e' stato
picchiato da un poliziotto, ma cio' non lo rende giusto.

> Siamo seri: se devi fare una lunga telefonata personale,
> l'azienda non e' affatto obbligata a fartela fare, e non
> da un telefono dell'azienda.

Questo lo dici tu.
Mai sentito parlare di esimenti quali lo "stato di necessita'" o la "forza
maggiore"?

> Anzi, non credo che i diritti
> sindacali prevedano le telefonate personali in orario di
> lavoro, se non in caso di emergenza e passando per una
> segreteria.

Anche questo lo dici tu.
E, se permetti, sbagli.
Io ho citato semplicemente cio' che la legge prevederebbe in astratto.
Che poi nella realta' essa sia disapplicata o ignorata, ne sono perfettamente
cosciente.

>
> O chiedi supplicando che te la lascino fare, oppure dovresti
> ottenere un permesso e andare a farla fuori, o usi uno dei telefoni
> a pagamento presenti in azienda. Se c'e', e cercando di essere breve
> perche' sei in orario di lavoro.

Indicami la norma che hai consultato per arrivare a questa conclusione.

> Il fatto che in molte aziende
> tutti abbiano i telefoni abilitati alle chiamate esterne e sia
> consentito usarli anche per telefonare al cane, non significa
> che questo sia un diritto sindacale.

Non ho mai parlato di telefonate al cane.
Ho parlato di un uso delle risorse aziendali per scopi personali che, se di
norma non e' consentito previo accordo con l'azienda, diviene assolutamente
legittimo, consentito e non sanzionabile in casi di forza maggiore o di
stato di necessita'
E nella mia precedente mail ho quindi spiegato che mentre una contestazione
immediata mi permetterebbe di giustificare subito l'uso del bene aziendale
per scopi personali, una contestazione troppo in la' nel tempo potrebbe
mettermi in difficolta' e fare apparire come illecito un mio comportamento
che in realta' non lo e'.

> >Purtroppo devo dire, e parlo per esperienza diretta, che tutti o quasi i
> >datori di lavoro soffrono molto di "delirio d'onnipotenza" su
> questo punto,
> >e poco ci manca che mettano le telecamere anche nei cessi...
>
> No, secondo me non e' delirio di onnipotenza. Forse la
> normativa e' meno restrittiva per l'azienda di come la
> interpreti tu.

Questo lo dici nuovamente tu.
E forse la normativa e' piu' restrittiva verso le aziende di come la pensi tu.
Solo che molte aziende se ne fregano, e creano consuetudini che vengono
scambiate da molte persone che le vivono, tra cui mi sembri essere tu, come
legge.

> Veramente, si parlava di lettere ricevute. E' ovvio che NON
> puoi spedire lettere dall'azienda se non sei autorizzato a
> farlo o se non hai sottoposto il testo a chi e' autorizzato
> a farlo.
>
> Lo spedire senza autorizzazione una lettera a nome dell'azienda,
> sospetto proprio che sia una giusta causa per il licenziamento.

No, no, no!
Non ho mai parlato di spedire una lettera *A NOME* dell'azienda, bensi' di
usare le risorse dell'azienda (busta, foglio di carta - entrambi non
intestati - francobollo) per spedire una lettera.

> >cio' non toglie che quella lettera e' comunque attinente ad una
> comunicazione
> >che avviene tra due soggetti distinti, la cui segretezza e' tutelata dalla
> >Costituzione, e nessuno e' legittimato a leggersela.
>
> Mah... quale sarebbe il soggetto che comunica, in caso di
> corrispondenza aziendale? La singola persona o piuttosto
> la funzione aziendale, cioe' l'azienda stessa? La Costituzione
> tutela una persona quando opera come funzione aziendale?

Mi sa che ci sia un fraintendimento.
Non parlo di una lettera scritta in nome o per conto dell'azienda, ma di una
lettera personale spedita sfruttando risorse dell'azienda.

> Io non credo. E se il dipendente non e' autorizzato a ricevere
> o spedire posta personale in azienda, quando lo fa, come puo'
> l'azienda sapere che aprendo la lettera, con una pratica abituale
> e nota a tutti, sta violando i suoi diritti?

Ecco: se il dipendente non e' autorizzato a ricevere o spedire posta
personale in azienda e lo fa comunque, commette una scorrettezza, ma cio' non
autorizza l'azienda ad aprire una lettera da lui spedita o a lui
indirizzata, anche se presso l'azienda. Che piaccia o no.
Se l'azienda sospetta che il lavoratore violi gli accordi presi, puo' fare
una denuncia e provvedera' l'autorita' giudiziaria a sequestrargli la
corrispondenza ed aprirla.

> >Questa forma di controllo particolarmente penetrante, detto appunto
> >"intrusivo", e' consentito negli U.S.A., ma vietatissimo in Italia.
>
> Anche sui call center.... in questo caso non dubito che sia vietato,
> ma ho dei seri dubbi che non esistano ascolti a campione delle
> telefonate.

Su questo sono d'accordo.

>
> Non so... viviamo in un paese dove la realta' aziendale
> travalica costantamente cio' che e' consentito dalla legislazione?

Molto spesso si'. Il piu' delle volte solamente per ignoranza, e non proprio
per malafede. Togli anche l'aggettivo "aziendale"

> Secondo me molto di rado, altrimenti di cause (vincenti) per
> questi motivi ce ne sarebbero in continuazione.

Torno a ripeterti che molto spesso il lavoratore non e' cosciente dei propri
diritti o il datore dei propri obblighi.
E poi, come tu stesso hai detto, su molte cose si chiude un occhio.

Stefano.

> Per il resto, l'azienda non e' tenuta a garantirti la
> possibilita' di utilizzare un suo telefono, perche'
> non e' un tuo diritto sindacale.

Non e' un diritto sindacale, e' un diritto di portata piu' ampia e generale.
E guarda che non me lo sto affatto inventando.
Leggiti gli articoli da 49 a 51 del codice penale.

> Mah... gli avvocati e i sindacalisti.... Non so, ma
> sono convinto che se venissi da te con un problema
> concreto, mi diresti che da un punto di vista strettamente
> legale ho ragione, ma che di fatto la cosa e' difficilmente
> sostenibile in sede giudiziaria e che e' meglio abbozzare
> e scendere a patti con l'azienda. Un discorso molto frequente,
> nell'ambito delle "teoricamente possibili e giuste" cause
> per lavoro.
>
> E allora, della normativa non me ne faccio molto, no?

Non e' proprio cosi'.
Anche io ammetto che nella realta', non solo in ambito aziendale, la legge
viene ignorata, aggirata, molto spesso piu' per ignoranza che per malafede.
Cio' non toglie che il comportamento realmente posto in essere sia e rimanga
illegale, anche se diffuso.

> Oh, be', ma allora... In pratica, citi il caso di chi
> frega in azienda un foglio di carta bianca, una busta
> bianca (che spesso non c'e'; molte aziende hanno solo
> quelle intestate) e un francobollo? E chi vuoi che ci
> faccia caso?

Forse.
Cio' non toglie che il fatto, in se' e per se', non sia corretto, se non e'
stato autorizzato dalla direzione dell'azienda, e crea un danno economico,
seppure di minima entita'.


> Tornando alla posta elettronica, l'uso di un indirizzo
> con dominio aziendale, non sarebbe assimilabile all'uso
> di carta intestata?

Questa e' senza dubbio una domanda acuta, e non parlo ironicamente.

> >Ecco: se il dipendente non e' autorizzato a ricevere o spedire posta
> >personale in azienda e lo fa comunque, commette una
> scorrettezza, ma cio' non
> >autorizza l'azienda ad aprire una lettera da lui spedita o a lui
> >indirizzata, anche se presso l'azienda. Che piaccia o no.
>
> Primo: togli il "se". O dimmi quale azienda autorizza
> ufficialmente (quindi per scritto) i dipendenti a spedire
> o a ricevere posta personale in azienda.

Dove lavoro, se arriva una lettera indirizzata a Stefano Paloschi c/o... me
la mettono sulla scrivania e nessuno si puo' azzardare ad aprirla senza il
mio consenso.
Lo sai che il luogo di lavoro, per espressa disposizione di legge, e'
considerato luogo in cui possono anche essere notificati gli atti
giudiziari?
Se una persona mi fa causa, o mi cita in giudizio come testimone, o non ho
pagato una cambiale, la notifica del relativo atto puo' essermi notificata a
casa o, laddove non fossi reperibile li', l'Ufficiale Giudiziario e' tenuto a
venire a cercarmi e a recapitare l'atto nel luogo in cui lavoro.
La busta con l'atto, che puo' anche essre consegnato alla segretaria o al
portinaio, puo' pero' essere aperta solo da me.
Se non credi a quello che dico, leggiti il codice di procedura penale,
articoli da 157 in poi (mi pare di ricordare, vado a memoria).
Dimenticavo: la segretaria o il portinaio, o + in generale l'azienda in cui
lavoro non puo' rifiutarsi di ricevere l'atto.

>
> Secondo: si da' per scontato che la corrispondenza sia
> solo aziendale e quindi l'apertura della posta e' pratica
> diffusa, comune e dichiarata.

Quel "si da' per scontato" e' un vizio logico della tua argomentazione.

> Dunque non mi hai risposto:
> come fa l'azienda a sapere che una lettera e' personale e
> che non dovrebbe essere aperta, ma contestata tramite
> l'autorita' giudiziaria?

Mi rendo conto che la realta' sia molto + complessa della teoria.
Cmq se la lettera e' indirizzata a me, non sarebbe da aprire senza il mio
consenso, anche se e' recapitata presso il luogo di lavoro.

> Va abolita la pratica dell'apertura
> della posta? E se il dipendente e' in ferie e la lettera
> potrebbe essere urgente per la normale e regolare attivita'
> dell'azienda? E' lecito aprirla? E se il dipendente e' assente
> quel giorno?

Se la lettera riveste le caratteristiche che dici tu, dovrebbe essere
indirizzata all'AZIENDA, e magari solo nell'oggetto essere posta
all'attenzione del singolo dipendente.
Cmq mi rendo conto che la realta' sia molto + complessa della teoria (scusa
se lo ripeto) e che la tua critica non e' peregrina: bisognerebbe valutare
caso per caso.
Certo, si taglierebbe la testa al toro chiedendo il consenso del dipendente
all'apertura della busta, per telefono, oppure preventivamente prima che lui
si assenti.

Stefano