R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

PRETURA CIRCONDARIALE DI R I M I N I

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il PRETORE di RIMINI

Dott. Fortunato Rosario Barone

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

nel processo penale nei confronti di:

1) CERIOLI ITALO, nato a Brescia il 18.10.28, res.te ivi in via Romolo
Romani n.7;

2) SILVESTRI CLAUDIO, nato a Cevo il 5.8.57, res.te in Lovere, Villaggio
Donizetti;

3) GISLIMBERTI GIULIANO, nato a Trento il 4.1.39, ivi res.te, C.so Tre
Novembre n.65;

4) BRUGNA ERMANNO, nato a Trento l'11.9.61, ivi res.te Alle 7 Fontane,
n.13;

5) BALLI SERGIO, nato a Firenze il 14.8.30 con domicilio eletto c/o Enel di
Torino, Via Valfre' n.16;

6) NEGRONI ALBERTO, nato a Roma il 14.1.27, res.te ad Ancona, Via Cadore
n.22;

7) COLUCCI ELIO, nato a Tokio il 12.1.26, res.te a Frascati, Via Sale'
n.48.

tutti liberi presenti

I M P U T A T I

del delitto p. e p. dagli artt.81, co.1°, 113, 590, co. 2°, c.p., per
avere, con

cooperazione colposa, il Negroni quale direttore generale ENEL, il Colucci
quale direttore centrale approvviggionamenti e appalti ENEL, il Cerioli, il
Brugna ed il Silvestri quali capi e assistente capo cantiere, il
Gislimberti quale direttore lavori e il Balli quale responsabile del centro
progettazione - costruzione linee ENEL zona di Firenze, mediante
costruzione di una linea di elettrodotto Forli'-Fano a 380 KV, con
creazione di campo elettromagnetico, cagionato alle persone sotto elencate
le sottospecificate lesioni da cui derivavano malattie per tutti guaribili
in un tempo superiori a gg.40, per colpa consistita in negligenza e
imperizia emersa nel corso di reiterate diffide da parte delle persone
offese, controversie giudiziarie ordinarie ed amministrative, molteplici
incontri per la trattazione dell'argomento, tutte compendiate ed
evidenziate nell'atto di querela del 10.3.93:

1) Giovagnoli Raffaele affetto da crisi di cefalea gravativa e nervosismo
in soggetto con lieve aumento della proteinemia e delle immonoglobuline e
modesta ipertensione arteriosa;

2) Siliquini Luigi affetto da sindrome vertiginosa e cefalea.

In Rimini dal 27.1.91 a tutt'oggi. Querele del 10.3.93

Con la presenza delle parti civili Giovagnoli Raffaele, Siliquini Luigi e
il Comune di Rimini e l'intervento delle Associazioni W.W.F. e Legambiente.

Conclusioni del Pubblico Ministero:

Affermarsi la penale responsabilita' degli imputati Negroni Alberto,
Colucci Elio e Balli Sergio con condanna degli stessi alla pena di mesi
cinque di reclusione ciascuno.

Assoluzione degli imputati Cerioni Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti
Giuliano e Brugna Ermanno dal reato loro ascritto perche' il fatto non
costituisce reato.

Conclusioni per le parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi:

Affermarsi la penale responsabilita' degli imputati Negroni Alberto,
Colucci Elio e Balli Sergio con condanna alle pene di giustizia e,
altresi', in solido tra loro e con il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A.,
al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Giovagnoli e
Siliquini nella misura attuale della somma di L. 10.000.000 ciascuno, di
cui L. 5.000.000 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, oltre
alla rifusione delle spese. Condanna dell'E.N.E.L. a disattivare
l'elettrodotto.

Conclusioni per la parte civile Comune di Rimini:

Affermarsi la penale responsabilita' degli imputati Negroni Alberto,
Colucci Elio e Balli Sergio con condanna alle pene di giustizia e,
altresi', in solido tra loro al risarcimento dei danni in favore del Comune
di Rimini nella misura attuale della somma di L. 50.000.000 ed
all'interramento delle strutture insalubri, oltre alla rifusione delle
spese ed alla pubblicazione della sentenza.

Conclusioni per gli imputati:

Assoluzione degli imputati Negroni Alberto e Colucci Elio per non aver
commesso il fatto; Cerioni Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti Giuliano,
Brugna Ermanno e Balli Sergio perche' il fatto non sussiste e in subordine
perche' il fatto non costituisce reato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di querela sporta in data 10 marzo 1993 da Severi Vincenzo,
Casadei Giulio, Giannini Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna,
Bernabe' Monica, Bianchi Secondo, Amadio Bernardino, Cesarini Claudio,
Pasquinelli Pierina, Cesarini Giulio, Pasquini Angela, Lazzarini Fabio,
Gasparri Fiorella, Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, il Pubblico
Ministero chiedeva al Giudice per le indagini preliminari di procedere con
incidente probatorio a perizia sulle parti offese.

In data 8 luglio 1994, il Giudice richiesto conferiva incarico peritale ad
un collegio composto dai dottori Giovanni Olivieri - medico legale di
Rimini -, Alberto Ravaioli - Primario oncologo in Rimini - e Pietro Comba -
Direttore del Reparto di Epidemiologia Ambientale Istituto Superiore di
Sanita' -, formulando i seguenti quesiti:

"Dicano i periti, tenuto conto dell'aspetto scientifico-bibliografico,
degli accertamenti clinici eseguiti sulle pp.oo., delle considerazioni
medico-legali, esaminati gli atti ed i documenti di causa, visitati i
periziandi ed espletate le indagini specialistiche occorrenti:

1) natura ed entita' delle lesioni e sussistenza di nesso eziologico
rispetto al campo magnetico;

2) durata della malattia prodotta dalle suddette lesioni;

3) durata della incapacita' di attendere alle ordinarie occupazioni;

4) se vi e' pericolo di vita,

5) la sussistenza di postumi di natura permanente ovvero la loro eventuale
futura verificazione, tali da considerare indebolimento permanente di
organi o sensi, nonche' di ogni altro elemento rilevante ai sensi dell'art.
583 c.p.;

6) se, allo stato delle attuali conoscenze, erano prevedibili siffatti
eventi.

All'esito della perizia Cerioni Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti
Giuliano Brugna Ermanno, Balli Sergio, Negroni Alberto e Colucci Elio
venivano tratti a giudizio per rispondere del reato di lesioni colpose
gravi, meglio descritto in rubrica, commesso in danno di Severi Vincenzo,
Casadei Giulio, Giannini Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna,
Bernabe' Monica, Bianchi Secondo, Amadio Bernardino, Cesarini Claudio,
Pasquinelli Pierina, Cesarini Giulio, Pasquini Angela, Giovagnoli Raffaele
e Siliquini Luigi,

Alla prima udienza del 18 ottobre 1996, dichiaravano di costituirsi parte
civile i querelanti, il Comune di Rimini, l'Associazione W.W.F. e
l'Associazione Legambiente.

La difesa degli imputati eccepiva preliminarmente l'irritualita' della
querela in punto all'autentica della firma dei querelanti, ad eccezione di
quelle di Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, e chiedeva la relativa
declaratoria di improcedibilita' dell'azione penale nei confronti dei
prevenuti.

Con sentenza pronunciata il medesimo giorno (all. n. 1), il Pretore, in
accoglimento dell'eccezione, dichiarava non doversi procedere nei confronti
degli imputati in ordine al reato loro ascritto relativamente alle
contestate lesioni in danno di Severi Vincenzo, Casadei Giulio, Giannini
Roberto, Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna, Bernabe' Monica, Bianchi
Secondo, Amadio Bernardino, Cesarini Claudio, Pasquinelli Pierina, Cesarini
Giulio, e Pasquini Angela, perche' l'azione penale non doveva essere
iniziata per difetto di querela e disponeva lo stralcio degli atti e la
prosecuzione del giudizio nei confronti degli odierni imputati
relativamente alle lesioni contestate in danno di Giovagnoli Raffaele e
Siliquini Luigi.

Sulle residue cinque dichiarazioni di costituzione di parte civile
(Giovagnoli, Siliquini, Comune di Rimini, W.W.F. e Legambiente), la difesa
degli imputati sollevava, altresi', sia questione di validita' formale,
comune a tutte e cinque le dichiarazioni (unica firma di autentica del
difensore rispetto a due atti: procura speciale e mandato ad litem), sia
questione di legittimazione alla costituzione di parte civile del Comune di
Rimini, dell'Associazione W.W.F e dell'Associazione Legambiente (portatori
di interessi diffusi e non titolari di diritti soggettivi) - (trascr. ud.
pom. 14.11.1996, pagg. 1-42).

Il Pretore, sciogliendo la riserva sulla decisione, pronunciava la seguente
ordinanza:

"Sulle sollevate eccezioni di invalidita' delle costituzioni di parte
civile, osserva:

L'art. 76, 1° comma, c.p.p., prevede che "l'azione civile nel processo
penale e' esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la
costituzione di parte civile", laddove l'avverbio "anche" non puo' avere
altro significato che "inoltre"-"altresi'".

Ne deriva che spetta al danneggiato la scelta della soluzione di
costituirsi personalmente ovvero a mezzo di procuratore speciale, tenendo
sempre ben presente che in ogni caso la parte civile "sta in giudizio col
ministero di un difensore" (art. 100 c.p.p.) e che la costituzione di parte
civile va distinta dalla rappresentanza processuale della parte civile,
conferita a mezzo di procura speciale, ai sensi dell'art.100 c.p.p. I due
atti, infatti, sono diversi ed autonomi, pur potendosi delegare con la
stessa procura sia la dichiarazione di costituzione che la rappresentanza.

Tale interpretazione trova puntuale riscontro nella disposizione
dell'art.78, ult. comma, che testualmente recita: "La procura conferita
nelle forme previste dall'art.100, 1°comma, e' depositata nella cancelleria
o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione di
parte civile".

Posto che il danneggiato e' legittimato a costituirsi personalmente, nel
senso che la domanda giudiziale puo' essere formulata di persona senza
l'obbligo di delegarla ad altri, occorre stabilire, ai fini della
ritualita' della procedura, quali siano le formalita' della costituzione di
parte civile nelle due ipotesi contemplate dall'art. 76, citato.

Le regole sulla formalita' della costituzione di parte civile sono previste
dall'art. 78 c.p.p. che, al primo comma e relativamente al problema di cui
trattasi, stabilisce che la costituzione di parte civile "deve contenere, a
pena di inammissibilita': a) le generalita' della persona fisica o la
denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile
e le generalita' del suo legale rappresentante; c) il nome e cognome del
difensore e l'indicazione della procura; e) la sottoscrizione del
difensore."

Non viola, quindi, la regola di cui all'art.78 (e non puo' essere
dichiarata inammissibile la sua costituzione di parte civile), il
danneggiato dal reato che, formulando personalmente la dichiarazione
traslata nell'atto sottoscritto dal suo difensore, ottemperi alle
disposizioni sopra menzionate.

Meno agevole appare l'interpretazione della normativa allorche' il
danneggiato opti per la soluzione alternativa suggerita dall'art. 76, vale
a dire quando scelga di costituirsi a mezzo di procuratore speciale e piu'
specificamente quando conferisca tale potere al suo difensore sicche'
questi viene ad assumere la doppia veste di procuratore-difensore.

Nel dibattito giurisprudenziale sorto sulla questione, questo pretore
ritiene di dover condividere la tesi secondo cui (cfr., per tutte, Cass.,
Sez. I°, 8 novembre 1993, Visconti, in Mass. Cass. pen., 1994, fasc.2, 72)
e' ammissibile la autenticazione del difensore, ex art.39 disp. att.,
c.p.p., con riferimento alla sottoscrizione apposta in calce alla procura
che, unitamente ai poteri ex art.76 c.p.p., conferisca al medesimo la
delega alla rappresentanza e difesa di cui all'art.100, stesso codice, per
le seguenti ragioni giuridiche:

L'art.100 c.p.p., nel dettare le regole relative alla difesa delle parti
private diverse dall'imputato, evidenzia, in maniera abbastanza chiara,
come il legislatore abbia inteso modellare la disciplina della difesa e
della rappresentanza di quelle parti nel processo penale alla disciplina
prevista nel processo civile.

Come dire che il difensore, nel caso che interessa della parte civile,
agisce nel processo penale con le stesse prerogative e gli stessi poteri
riconosciutigli, qualora avesse adito il giudice civile, nel processo
civile.

L'art.76 c.p.p. ammette che la costituzione di parte civile possa avvenire
anche a mezzo di procuratore speciale.

L'art.122 c.p.p. stabilisce che, in tal caso, la procura deve essere
conferita, a pena di inammissibilita', con atto pubblico o scrittura
privata autenticata.

L'art. 39, disp. att., c.p.p., statuisce, come regola generale, che il
difensore deve ritenersi abilitato, al pari del funzionario di cancelleria,
del notaio, del sindaco etc., all'autenticazione della sottoscrizione di
atti, salvo che speciali disposizioni prevedano diversamente.

I dubbi interpretativi sollevati sull'applicazione del combinato disposto
di cui agli artt. 122 e 39, citati, afferiscono particolarmente, come gia'
rilevato, al caso in cui al difensore sia conferita procura speciale a
costituirsi parte civile nel processo penale.

Leggendo l'art. 122 non possiamo non constatare che esso ripete il
contenuto dell'art. 136 cod. Rocco con due diversita' che non rilevano ai
nostri fini (il primo e' meramente formale e consiste nella sostituzione
del vecchio termine "mandato" con il nuovo e piu' preciso termine "procura"
ed il secondo riguarda i rappresentanti della P.A.) e che farebbero
propendere per una immutata disciplina giuridica.

Prima di affrontare specificamente il problema interpretativo del combinato
disposto degli artt. 122 cod. e 39 att., e' opportuno soffermarsi
brevemente sulla diversa collocazione degli artt. 122 Vassalli e 136 Rocco,
nei rispettivi codici, perche' in essa va individuata la principale ragione
del dibattito giurisprudenziale sul potere certificatorio del difensore.

Mentre l'art. 136 era collocato nel titolo dedicato alle parti e
precisamente nella sezione dei difensori - tant'e' che era intitolato
"procuratori speciali per determinati atti" -, l'art. 122 e' collocato nel
libro dedicato agli atti ed e' intitolato "procura speciale per determinati
atti".

La differente collocazione, si legge nella Relazione al Progetto
preliminare del nuovo codice, trova la propria ragione nel fatto che
"procuratore speciale puo' essere anche un soggetto diverso dal difensore"
e consente di differenziare nettamente l'istituto della rappresentanza per
il compimento di determinati atti (che la parte puo' conferire al suo
difensore, ma anche ad una persona diversa) dalla figura del difensore le
cui funzioni, anche quando implicano l'esercizio dei poteri di
rappresentanza (art. 100), sono svolte da particolari soggetti
professionali e non sono limitate ad atti determinati.

Bisogna quindi tenere ben distinta la figura del difensore "tout court" da
quella del difensore che e' anche procuratore speciale per il compimento di
determinati atti.

La disposizione normativa circa le formalita' di rilascio della procura
speciale per determinati atti e' contenuta nell'art. 122 nel quale si legge
che la procura deve essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata
autenticata. Poiche' nella norma non e' indicato espressamente il soggetto
legittimato all'autentica, occorre stabilire chi deve ritenersi legittimato
per disposizione di legge ad esercitare tale potere certificatorio.

Il codice Vassalli non detta alcuna regola generale sul punto. Lo stesso
art. 110, che tratta in generale delle modalita' di sottoscrizione, nulla
dispone in ordine all'autenticazione.

L'unica norma avente portata generale e' quella dell'art. 39 disp. att.,
che demanda il potere certificatorio ad una serie di soggetti, tra i quali
il difensore, con l'eccezione (a conferma della portata generale dell'art.
39) dei casi in cui disposizioni speciali prevedano diversamente.

Come dire che la regola dell'art. 39 sul potere certificatorio vale per
tutti gli atti processuali salvo che per alcuno la norma di riferimento
espressamente individui in particolari soggetti, e quindi limiti ad essi,
la titolarita' del potere di autentica.

Occorre percio' accertare caso per caso se il legislatore abbia dettato
disposizioni speciali applicabili in deroga alla regola dell'attribuzione
generalizzata del potere di autenticazione di cui all'art. 39 disp. att., e
se, relativamente al caso de quo, sia individuabile nell'art. 122, cosi'
come formulato, una previsione specializzante.

Osserva il giudicante che esistono nel codice vigente disposizioni
normative che, accanto alla previsione dell'autentica della sottoscrizione
di atti, indicano espressamente anche i soggetti a cio' abilitati, come ad
es.: l'impugnazione proposta con atto trasmesso a mezzo raccomandata (art.
583, 3° comma) e la comunicazione del domicilio eletto o dichiarato (art.
162, 1° comma), per le quali le rispettive norme statuiscono che la
sottoscrizione dell'atto deve essere autenticata da un notaio o dal
difensore; la richiesta di applicazione della pena (art. 446, 3° comma) e
la richiesta del giudizio abbreviato (art. 438, 3° comma), per le quali le
rispettive norme statuiscono che "la volonta' dell'imputato e' espressa
personalmente o a mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione e'
autenticata nelle forme previste dall'art. 583, comma 3", vale a dire da un
notaio o dal difensore.

Ma, osserva ancora il giudicante, esistono nel codice altre disposizioni
normative che, pur prevedendo l'obbligo dell'autentica della
sottoscrizione, nulla specificano in ordine ai soggetti a cio' legittimati.

Tra tali disposizioni rientra sicuramente quella di cui al primo comma
dell'art. 122, rilevando, peraltro, che lo stesso articolo nel successivo
comma prevede, ad ulteriore conferma che non e' sfuggita al legislatore la
specifica previsione per l'ipotesi di cui al comma precedente, che "per le
amministrazioni pubbliche e' sufficiente che la procura sia sottoscritta
dal dirigente dell'ufficio".

E tra le disposizioni che non contengono l'indicazione del soggetto
abilitato all'autentica dello specifico atto, rientra sicuramente anche
quella di cui all'art. 337, 1° comma (formalita' della querela).

L'accostamento delle due disposizioni (artt. 122.1 e 337.1) viene qui'
proposto perche' l'esito dell'analisi comparata delle stesse contribuisce a
suggerire la corretta chiave di lettura interpretativa

Infatti, tenuto conto dell'equivalente natura giuridica degli atti oggetto
della sottoscrizione, e ribadito che in entrambe le disposizioni sopra
menzionate e' prescritta l'autentica della sottoscrizione senza l'espressa
previsione in ordine al soggetto legittimato all'autentica, nessun dubbio
ragionevole puo' essere sollevato sul fatto che in entrambe le ipotesi
debba applicarsi la medesima regola giuridica.

Mai dubbi interpretativi sono stati sollevati sulla legittimazione del
difensore ad autenticare la sottoscrizione del cliente apposta in calce
all'atto di querela. Anzi la Suprema Corte ha costantemente affermato sul
punto (cfr. per tutte, Cass. pen., sez. V, 16 aprile 1993, n. 3719, Mancini
ed altro) che "l'espressione sottoscrizione autentica contenuta nel primo
comma dell'art. 337 c.p.p. va intesa nel senso di sottoscrizione
autenticata da un soggetto a cio' legittimato e, quindi, anche dal
difensore, ai sensi dell'art. 39 att., valendo, a tal fine, anche
l'autenticazione effettuata dal difensore che non sia stato espressamente
nominato giacche', in tal caso, proprio sulla base della stessa
autenticazione, e dell'attivita' contestuale alla sottoscrizione dell'atto
di querela (oltre che, eventualmente, della presentazione di quest'ultimo,
da parte del legale, all'autorita' competente), puo' validamente desumersi
l'esistenza di una nomina tacita".

E allora, se la regola da applicarsi e' la stessa perche' gli atti sono
equipollenti e le situazioni giuridiche simili, non si comprende perche' al
difensore non debba essere riconosciuto il potere di autentica della
scrittura privata di cui all'art. 122 quando unanimemente tale potere gli
e' riconosciuto in ordine alla sottoscrizione dell'atto di querela.

Deve, quindi, ritenersi corretta l'interpretazione che individua nel
difensore un soggetto abilitato, in linea di principio giuridico generale,
all'autenticazione della sottoscrizione degli atti, tra i quali rientrano
le scritture private del cliente come quelle di cui si discute.

Ne deriva che quando la costituzione di parte civile avviene a mezzo del
difensore quale procuratore speciale e la procura e' conferita con
scrittura privata autenticata dal difensore stesso, come nei casi de
quibus, non deve ritenersi violata la disposizione dell'art.122 citato in
quanto tale disposizione non restringe espressamente l'ambito di
applicazione del potere certificatorio agli esercenti della specifica
pubblica funzione.

Anzi, proprio dal combinato disposto degli artt.122 e 39, citati, si evince
che, rispetto agli atti indicati nella normativa sul processo penale, il
novero dei pubblici ufficiali abilitati ad autenticare la sottoscrizione
delle scritture private e' stato ampliato.

Ne consegue che il potere di autentica del difensore e' correttamente
esercitato sempre che, ovviamente, al momento dell'esercizio concreto di
tale potere il legale abbia gia' assunto la veste di difensore, non senza
rimarcare che la Suprema Corte, a proposito dell'analoga fattispecie ex
art. 337.1 (formalita' della querela), si e' spinta oltre riconoscendo,
come sopra riportato, il potere di autentica anche al difensore non ancora
espressamente nominato.

E tale condizione puo' dirsi soddisfatta anche quando la procura speciale,
ex art.76 c.p.p., sia conferita unitamente alla procura alle liti, cosi'
che le due procure vengano autenticate dal difensore contestualmente
nominato.

Appare, pertanto, condivisibile il principio secondo cui la procura
speciale debba essere conferita, a pena di inammissibilita', con atto
pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da altro pubblico
ufficiale a cio' autorizzato (artt. 2699, 2703 tra i quali non compare il
difensore), ma solo limitatamente ai casi in cui le due procure siano state
conferite separatamente e quella ad litem sia stata conferita
successivamente e non precedentemente ovvero contestualmente alla procura
speciale ex artt.76 e 122 c.p.p.

P. Q. M.

respinge le eccezioni di invalidita' sollevate dalla difesa degli imputati
relativamente alle costituzioni di parte civile di Giovagnoli Raffaele,
Siliquini Luigi, il Comune di Rimini, L'Associazione W.W.F. e
L'Associazione Legambiente.

Sulle eccezioni relative alla legittimazione del Comune di Rimini,
dell'Associazione W.W.F. e dell'Associazione Legambiente a costituirsi
parte civile nel presente processo penale, osserva:

L'art.185 c.p. prevede che "ogni reato, che abbia cagionato un danno
patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole..."

L'art.74 c.p.p. individua specificamente nel soggetto danneggiato dal reato
(e non anche il soggetto passivo o la persona offesa) il legittimato ad
esperire l'azione civile nel processo penale.

In tema di tutela ambientale, la Legge 8 luglio 1986, n°349, riserva la
costituzione di parte civile "allo Stato, nonche' agli altri enti
territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo (art.18,
3°comma), mentre alle associazioni individuate in base all'art.13, stessa
legge, attribuisce solo il potere di "intervenire" (art.18, 5° comma).

Premessi tali principi generali, la risposta alle questioni sollevate,
circa la legittimazione a costituirsi parte civile, nel presente processo,
del Comune di Rimini, dell'Associazione W.W.F. e dell'Associazione
Legambiente, non puo' essere formulata prima di avere risolto il seguente
quesito: se il fatto cosi' come contestato in rubrica rientri nel tema
della tutela ambientale e, quindi, possano trovare applicazione le
disposizioni di cui alla Legge 8 luglio 1986, N°349.

Occorre, ancora una volta, premettere che il contestato reato di lesioni
colpose rientra, come correttamente ha evidenziato la difesa degli
imputati, tra i delitti contro l'incolumita' individuale e, quindi,
l'interesse tutelato e' il bene giuridico dell'incolumita' delle persone;
ma anche, aggiunge il giudicante, l'interesse dello Stato all'integrita'
dei consociati.

Ne deriva che potenziale danneggiato dal reato di lesioni colpose in danno
dei propri cittadini e' anche lo Stato il quale, quindi, ove dimostri di
avere subito un danno risarcibile, puo' legittimamente costituirsi parte
civile nel processo penale.

E cio' indipendentemente che si versi o meno in tema di tutela ambientale.

Nel caso di specie, il rimprovero penalmente perseguibile che viene mosso
agli imputati, nelle loro specifiche qualita', e' di avere costruito e
attivato un elettrodotto sul territorio del Comune di Rimini che, a dire
dell'accusa, ha cagionato malattie derivanti da lesioni alle persone
abitanti nei pressi.

Si rimprovera, cioe', agli imputati di avere realizzato un'opera
concretamente, e non solo in linea di teoria, idonea a cagionare malattie
derivanti da lesioni, seppure solo a una parte territorialmente
circoscritta della collettivita' riminese.

Non pare dubitabile che una tale impostazione implichi un potenziale
attacco all'ambiente, inteso quest'ultimo, come attacco alla qualita' della
vita dei cittadini e, quindi, possano trovare applicazione le disposizioni
della Legge 8 luglio 1986, N°349.

Tuttavia, tra i diversi indirizzi giurisprudenziali questo giudice ritiene
di condividere la tesi secondo cui anche la materia relativa alla tutela
ambientale non sia sottratta al rispetto del principio generale desumibile
dal combinato disposto di cui agli artt.185 c.p. e 74 c.p.p. e, quindi, che
non siano azionabili nel processo penale pretese, dipendenti da reato, che
non siano esperibili anche davanti al giudice civile.

Invero, la terminologia usata dal legislatore del 1986 (ambigua all'epoca
dell'entrata in vigore della legge citata perche' l'allora codice di
procedura penale non prevedeva forme di partecipazione al processo della
persona offesa e delle associazioni portatrici di interessi diffusi diverse
dalla costituzione di parte civile) assume, con l'entrata in vigore del
nuovo codice di procedura penale, un preciso significato tecnico-giuridico
atteso che tale nuovo codice riconosce anche agli enti territoriali e ai
cosiddetti enti esponenziali di "esercitare... i diritti e le facolta'
attribuiti alla persona offesa", mediante l'intervento (cfr.artt. 91 e
segg. c.p.p.; 212 disp. att., stesso codice, il quale statuisce che "quando
leggi o decreti consentono la costituzione di parte civile o l'intervento
nel processo penale al di fuori delle ipotesi indicate nell'art.74 del
codice, e' consentito solo l'intervento nei limiti e alle condizioni degli
artt.91, 92, 93 e 94 del codice").

Come dire che, eccezion fatta per lo Stato al quale, come vedremo nel
prosieguo e' riconosciuto sempre il diritto al risarcimento del danno,
anche gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal
reato devono ritenersi, a norma dell'art.74 c.p.p., legittimati a
costituirsi parte civile nel processo penale solo ove abbiano subito un
danno risarcibile ai sensi dell'art.185 c.p.; e che fuori da tali ipotesi
hanno solo facolta' di "intervenire".

Nel caso di specie, nella prospettazione delle dichiarazioni di parte
civile, nessun danno diretto appare ipotizzabile nei confronti
dell'Associazione Italiana per il W.W.F. e dell'Associazione Legambiente
Emilia Romagna per cui tali enti vanno esclusi dal processo come parti
civili e la loro dichiarazione di costituzione di parte civile vale, per il
principio di conservazione, come dichiarazione d'intervento.

Diversa e' la posizione del Comune di Rimini, ente pubblico territoriale,
sul cui territorio incide la linea di elettrodotto di cui trattasi.

Il 1° comma del citato art.18, sancisce che "qualunque fatto doloso o
colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati
in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno,
alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga
l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato."

La previsione legislativa riconosce, quindi, allo Stato un diritto
soggettivo azionabile nel processo penale a norma dell'art.74 c.p.p.

La difesa del Comune di Rimini ha prodotto l'ordinanza, datata 15 giugno
1991 (all. n. 2), con la quale il Sindaco, dopo aver preso atto, sia da
specifiche ricerche scientifiche sia del parere del Servizio di Igiene
Pubblica, del pericolo "di conseguenze dannose per la pubblica salute
derivanti dall'attivazione e dal funzionamento dell'elettrodotto in
questione", e "visto il disposto della Legge 9.01.1991, n°9, che assoggetta
gli elettrodotti ad alta tensione (quale e' quello in parola) alla
disciplina per la valutazione di impatto ambientale, riconoscendoli cioe'
opere capaci di indurre importanti effetti sull'ambiente (e sulla salute
della popolazione)", ordinava all'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica
(ENEL) la sospensione cautelativa dell'attivazione dell'elettrodotto sul
territorio del Comune di Rimini "nella attesa di una valutazione piu'
approfondita sia del tracciato che delle influenze dei campi
elettromagnetici da esso prodotti sulle persone abitanti nelle aree
interessate".

L'elettrodotto, quindi, e' stato attivato in violazione dell'ordinanza di
sospensione del Sindaco di Rimini emessa per prevenire un "evidenziato
scientificamente" rischio di lesione della salubrita' dell'ambiente
comunale.

Non v'e' dubbio che il fatto (l'art.18, cit., si riferisce a fatto e non a
reato doloso o colposo) cosi' come contestato in rubrica implica
un'attitudine lesiva della salute dei cittadini che obbliga, se in concreto
acclarata, l'autore del fatto stesso al risarcimento in favore dello Stato.

Da una prima lettura del 1° comma dell'art.18, cit., sembrerebbe che il
legislatore abbia voluto riservare solo allo Stato il diritto all'azione
del risarcimento del danno anche perche' tale interpretazione letterale
trova riscontro nella disposizione del 3° comma, prima parte ("l'azione di
risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, e'
promossa dallo Stato"), e nella disposizione del 9° comma ("per la
riscossione dei crediti in favore dello Stato...").

Tale interpretazione pero' non trova conforto (sorgono anzi dubbi
interpretativi sul punto), nella previsione legislativa contenuta nella
seconda parte del citato comma 3° che, dopo avere fatto pensare ad un
monopolio dell'esercizio dell'azione in favore dello Stato, consente la
costituzione di parte civile anche "agli enti territoriali sui quali
incidano i beni oggetto del fatto lesivo".

Com'e' conciliabile, dal punto di vista tecnico-giuridico, tale ultima
previsione con la previsione indiscutibile che eslusivo titolare del
diritto al risarcimento e' lo Stato?

Non ignora il giudicante, anche perche' in precedenza integralmente
riportata, la disposizione dell'art. 212 disp. att., c.p.p., con la quale
il legislatore del nuovo codice ha chiarito che unici soggetti legittimati
a costituirsi parte civile nel processo penale sono quelli indicati
nell'art.74 del codice e che a tutti gli altri, che pur vantano un
interesse, e' riconosciuta solo la facolta' di intervenire, pur tuttavia,
nel caso di specie e allo stato degli atti, non puo' non riconoscersi al
Comune di Rimini il potere-dovere di costituirsi parte civile.

Escluso che nei processi penali ove gli imputati sono chiamati a rispondere
di fatti aggressivi dell'ambiente si possa riconoscere, in linea di
principio generale, agli enti territoriali la legittimazione a costituirsi
parte civile per ottenere a proprio favore il risarcimento di un danno
dovuto solo allo Stato (salvi ovviamente i casi di concreta sussistenza di
danno diretto), il disposto di cui alla seconda parte del 3° comma
dell'art.18, trova una spiegazione logico-giuridica se lo si esamina in un
contesto piu' ampio che tenga conto dell'istituto della sostituzione
processuale disciplinato dal codice di procedura civile, alle cui norme
legittimamente si puo' far ricorso nel caso de quo.

L'ente pubblico territoriale sul quale incide il bene oggetto del fatto
lesivo, e cioe' il Comune di Rimini, ha, quindi, il potere-dovere di
costituirsi parte civile per far valere in nome proprio un diritto dello
Stato.

La legittimazione a costituirsi parte civile del Comune di Rimini, sul cui
territorio incide l'elettrodotto ritenuto dall'accusa causa delle
contestate lesioni, deriva anche dal fatto che il suo interesse
all'esercizio dell'azione e' equivalente al diritto all'esercizio
dell'azione che vanta lo Stato, particolarmente in relazione agli effetti
della sentenza.

Il Comune di Rimini, quindi, puo' legittimamente costituirsi parte civile
nel presente processo (in nome proprio ma per conto dello Stato) sia
perche' le ragioni esposte a giustificazione della domanda sono
sostanzialmente quelle che avrebbe esposte lo Stato, del quale il Comune
deve ritenersi ex lege sostituto processuale, sia perche' gli effetti
sperati di un'eventuale sentenza di condanna si estenderebbero al suo
diritto alla protezione nei confronti dell'illecito.

P.Q.M.

respinge le eccezioni sollevate dalla difesa degli imputati relativamente
alla legittimazione a costituirsi parte civile del Comune di Rimini e, in
accoglimento delle medesime eccezioni, esclude L'associazione W.W.F. e
L'Associazione Legambiente Emilia Romagna dal presente processo quali parti
civili e riconosce alle dichiarazioni delle associazioni medesime, per il
principio di conservazione, la valenza di dichiarazioni di intervento".

L'istruttoria dibattimentale proseguiva con l'acquisizione delle prove
documentali e l'espletamento delle prove per testi ammesse come dedotte, ed
all'occorrenza ai sensi dell'art. 507 c.p.p.

Tutti gli imputati contestavano l'addebito e in particolare:

* Balli Sergio, pur ammettendo di essere il responsabile della
progettazione e della costruzione dell'elettrodotto Forli'-Fano, assumeva
di essersi scrupolosamente attenuto alla normativa vigente e di avere
utilizzato le migliori tecniche di costruzione avendo cura di creare il
minor danno possibile alle popolazioni;

* Negroni Alberto e Colucci Elio si dichiaravano estranei al fatto
assumendo di essersi limitati rispettivamente ad autorizzare e
sottoscrivere il contratto d'appalto senza avere interferito, per difetto
di potere, nella progettazione e realizzazione dell'opera;

* Cerioli Italo, Silvestri Claudio, Gislimberti Giuliano e Brugna Ermanno
dichiaravano di essere stati dei meri esecutori avendo realizzato l'opera,
interamente progettata dall'E.N.E.L., nel pieno rispetto del progetto e
delle direttive dell'azienda committente.

Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, all'udienza di discussione
del 16 e 17 maggio 1999 le parti concludevano come in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Una pur breve ricostruzione storica dei fatti ed alcune riflessioni etiche
appaiono necessarie per un corretto approccio all'analisi giuridica degli
elementi costitutivi del delitto per il quale si procede, che e' reato
contro la persona e non, come gia' rilevato, reato ambientale.

Nell'anno 1990 l'E.N.E.L., dopo una variazione di percorso il cui progetto
iniziale vedeva interessata la zona del Colle di Covignano di Rimini,
realizza una linea elettrica con imponenti tralicci di ferro che da Forli'
a Fano attraversa terreni agricoli ed insediamenti civili gia' all'epoca
rispettivamente coltivati ed abitati.

Durante la costruzione dei tralicci, le popolazioni penalizzate dal
passaggio della linea, verosimilmente anche per il disappunto sulla scelta
di un tracciato che svilisce le loro proprieta', ma soprattutto perche'
allarmati dalle notizie dei media che riferiscono di indagini scientifiche
con esiti contrastanti sugli effetti dannosi per la salute dell'esposizione
ai campi elettromagnetici, si attivano con varie manifestazioni di protesta
cui fanno seguito tavole rotonde con partecipazione di tecnici e politici
locali.

Il coinvolgimento dei politici, in particolare, porta il Circondario di
Rimini ad affidare ad una Commissione di lavoro, composta da tecnici e
medici, lo studio dell'impatto dell'elettrodotto sotto gli aspetti
sanitario, tecnico e normativo. La Commissione inizia i lavori in data 3
agosto 1990 con scadenza dicembre 1990 (cfr. relazione conclusiva di
sintesi, all. n. 3).

Nel frattempo i lavori proseguono senza soluzione di continuita',
nonostante le manifestazioni di protesta assumano toni elevatissimi tanto
da indurre l'E.N.E.L. ad invocare l'intervento della forza pubblica.

Nel settembre 1990, e cioe' quando i lavori di costruzione non sono ancora
terminati, alcuni cittadini direttamente interessati al problema presentano
al Pretore civile di Rimini ricorso ex art. 700 c.p.c., prospettando il
rischio di danno alla salute, ma quel giudice dichiara inammissibile il
ricorso perche' non essendo stato ancora attivato l'elettrodotto il
pericolo per la salute non e' attuale.

In data 15 giugno 1991 il Sindaco del Comune di Rimini emette ordinanza di
sospensione dei lavori (all. n. 2) che il T.A.R., su ricorso dell'E.N.E.L.,
annulla (all. n. 4), dando cosi' via libera alla ricorrente di attivare, in
data 27 luglio 1991, l'elettrodotto con una tensione di 380 KV.

Vari cittadini, che per ragioni di lavoro e -o- di abitazione stazionano
sotto o comunque nei pressi della linea elettrica, cominciano ad avvertire
malesseri di varia natura e presentano denuncia querela.

Il seguito e' storia di questo processo.

Gli elettrodotti sono le grandi linee di trasmissione e di distribuzione di
energia elettrica.

La corrente elettrica genera campi elettrici e campi magnetici.

I campi elettrici (E) sono prodotti dalle cariche elettriche. Essi
governano il moto di altre cariche elettriche che vi sono immesse. La loro
intensita' viene misurata in volt al metro (V/m) o in chilovolt al metro
(KV/m).

Il campo elettrico, che dipende dalla tensione in genere costante, non
varia ma e' a sua volta costante nel tempo.

L'intensita' dei campi elettrici e' massima vicino alla sorgente e
diminuisce con la distanza. Molti materiali come legno e metallo
costituiscono schermo per il campo elettrico.

Quindi all'interno di un'abitazione vicina ad una linea elettrica, anche ad
altissima tensione come quella Forli'-Fano, il campo elettrico e'
irrilevante perche' ridotto dall'effetto schermante delle pareti e del
tetto.

I campi magnetici sono prodotti dal moto delle cariche elettriche, cioe'
dalla corrente. Ogni volta che una corrente elettrica percorre un
conduttore, quindi, genera un campo magnetico.

I campi magnetici non subiscono l'effetto schermante e quindi, a differenza
dei campi elettrici, penetrano anche nelle case determinando un'esposizione
effettiva della popolazione residente in prossimita' di una linea elettrica
confrontabile con quella esterna.

L'intensita' del campo magnetico non e' costante, come nel caso del campo
elettrico, ma e' proporzionale all'intensita' della corrente che lo genera.

Percio', sotto una linea elettrica ad altissima tensione, come ad esempio
quella dell'elettrodotto Forli'-Fano, il campo magnetico e' decisamente
elevato.

Ma anche il campo magnetico come il campo elettrico e' un campo di forze la
cui intensita' diminuisce all'aumentare della distanza dalla sorgente.

L'intensita' del campo magnetico e' generalmente indicata con la lettera H
ed espressa in ampere al metro (A/m), ma e' spesso espressa in termini di
una grandezza corrispondente (l'induzione magnetica) che si misura in tesla
(T).

La concatenazione di campi elettrici e campi magnetici determinano nello
spazio la propagazione di campi elettromagnetici (C.E.M.).

Il sole e la terra sono fonti naturali di campi elettromagnetici ma
l'induzione e' innocua anche perche' vicinissa a zero microtesla.

Le sorgenti artificiali esterne di campi elettromagnetici si distinguono in
sorgenti ad alta frequenza (ripetitori radio-televisivi, ponti radio,
antenne per telefonia cellulare, radar ecc.) e sorgenti a bassa frequenza
legate all'elettricita' (impianti elettrici, centrali elettriche ecc.).

Sono campi a frequenza industriale quei campi elettrici e magnetici,
generati dagli impianti per il trasporto e la distribuzione dell'energia
elettrica e dai relativi usi industriali e civili, caratterizzati da
frequenza inferiore a 300 hertz (Hz = unita' di misura della frequenza). La
frequenza adottata e' di 50 Hz in Italia e 60 Hz nelle Americhe.

Il termine piu' utilizzato per indicare tali campi e' E.L.F. (Extremely Low
Frequencies: frequenza estremamente bassa).

Fin dal 1979 si e' via via andata diffondendo la consapevolezza delle
turbative ambientali e del rischio per la salute derivanti dall'esposizione
a campi E.L.F.

Il vertiginoso aumento di domanda di energia elettrica nei paesi ad alto
grado di industrializzazione, tra cui l'Italia, ha determinato
un'inevitabile lievitazione della produzione e della distribuzione di
energia, che avviene quasi esclusivamente attraverso linee di trasmissione
aeree, con conseguente incremento del predetto rischio.

La costruzione di nuovi e sempre piu' potenti elettrodotti come quello
Forli'-Fano troverebbe motivazione, quindi, nel fatto che nessuno riesce
piu' a fare a meno degli apparati elettrici ed elettronici. Come dire che
l'esposizione ai campi elettromagnetici e' il prezzo del progresso; e' il
corrispettivo del benessere che il cittadino deve pagare.

Viene allora spontaneo chiedersi se sia piu' giusto favorire le tecniche di
costruzione delle linee elettriche, e piu' precisamente le scelte di
tracciati ispirate a meri criteri economici di risparmio per rendere
competitivo lo sviluppo tecnologico, rispetto a scelte che, nel
procedimento di valutazione della convenienza, collocano il criterio etico
in posizione di privilegio; e se sia corretto e lecito far pagare il prezzo
del generale benessere solo a quei pochi che vivono o lavorano, e non per
scelta, in prossimita' degli elettrodotti, o non sia piu' giusto porlo a
carico di tutti i consociati in proporzione alla fruizione mediante scelte,
magari anche piu' costose come ad es. quelle dell'interramento dei cavi, ma
meno onerose per la salute.

Il giudice, invero, e' chiamato a dare solo risposte giuridiche e la sua
pronuncia deve essere il piu' possibile asettica nel senso che il suo
convincimento non deve essere contagiato dalle suggestive prospettazioni
dirette o indirette dei media, che, particolarmente in occasione del vivace
dibattito sul problema degli effetti sanitari dell'esposizione ai campi
elettromagnetici, hanno pubblicizzato soluzioni diverse non sempre
affrancate dalle esigenze dello sponsor del momento e, quindi, non sempre
imparziali.

Tuttavia se si vogliono fornire risposte giuridiche adeguate e corrette non
e' dato prescindere dall'aspetto etico del problema.

Sull'argomento appare di notevole pregio Il documento congiunto
dell'Istituto Superiore di Sanita' e dell'Istituto Superiore per la
Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro del 1998 (all. n. 5), sulla
problematica della protezione dei lavoratori e della popolazione dalle
esposizioni a campi elettromagnetici, perche' contiene una sintesi delle
conoscenze scientifiche e delle valutazioni di sanita' pubblica in
proiezione anche politica visto che e' stato richiesto dai competenti
ministeri per elaborare la premessa della legge quadro attualmente in
discussione in Parlamento.

Oltre che per le conclusioni scientifiche, il documento appare meritevole
per il rimprovero verso chi, scienziati e non, ha riservato all'aspetto
morale del problema un posto marginale, e per l'invito ai politici a non
perseverare nell'errore.

La strategia suggerita dai due istituti e' fondata saggiamente sul
principio cautelativo che impone l'allontanamento della fonte di
distribuzione dei campi E.L.F., specialmente dalle fasce piu' vulnerabili
della popolazione e cioe' quelle di eta' infantile.

E' ovvio che se si sceglie la politica utilitaristica che punta alla
massimizzazione del bene e alla minimizzazione dei danni certamente
l'incidenza del numero dei bambini morti per leucemia o quello delle
persone che soffrono di cefalea e', in termini assoluti, minima.

Non e' di certo etico, pero', affermare che la minima incidenza statistica
e' bastevole per far ritenere risolto il problema e giustificare
l'abbandono della ricerca scientifica.

E' evidente che con le sole riflessioni etiche si puo' pretendere di dare
risposta al problema ma e' indubitabile che esse hanno il potere di
abbattere le barriere che si interpongono fra gli interessi e gli
interventi cautelativi.

Ed e' ovvio che il giudice nel valutare le diverse posizioni scientifiche
non puo' e non deve essere condizionato dalla componente etica ma e'
altrettanto ovvio che se questa componente, in termini di inviti alla
ricerca finalizzata a vincere le incertezze su cause pregiudizievoli per la
salute, viene considerata importante da una parte consistente della
scienza, come nel caso di cui trattasi, il giudice non puo' e non deve
ignorarla e soprattutto non puo' ignorare nell'iter del suo convincimento
il pensiero scientifico di chi la difende.

E' stato da piu' parti obiettato che anche in ambiente domestico si trovano
numerose sorgenti magnetiche quali rasoi elettrici, asciugacapelli, lampade
da tavolo, cucine elettriche, cellulari ecc., che danno origine a campi
piu' elevati di quelli determinati da linee e stazioni elettriche.

Osserva in proposito il giudicante che, pur prescindendo dall'irrilevanza
giuridica dell'obiezione in questa sede (si dira' ad ogni modo piu' avanti
dell'esposizione acuta e cronica), il problema di cui trattasi inerisce non
tanto all'esigenza di tutelare la salute del singolo fruitore, che e'
libero di impiegare lo strumento produttivo del campo elettromagnetico e lo
utilizza, come si dice comunemente, a suo rischio e pericolo, quanto
piuttosto all'esigenza di tutela di quella parte della collettivita' che e'
costretta a subire passivamente onde elettromagnetiche sfruttate da altri.

Normativa

La tipologia degli interventi legislativi in materia di tutela della salute
pubblica dal rischio derivante da fonti sospette e' inevitabilmente legata
ai risultati delle ricerche scientifiche.

Di conseguenza deve ritenersi pienamente giustificata l'assenza di
interventi, e non puo' invocarsi vuoto legislativo, qualora la scienza
riesca ad affermare con assoluta certezza l'assenza del rischio per
l'accertata insussistenza di indizi sulla nocivita' degli effetti della
fonte sospetta.

Ma quando le conclusioni scientifiche sono di assenza di certezze negative,
quando cioe' si afferma che gli indizi esistono ma non v'e' sicurezza che
essi siano dannosi per la salute, la linea del non intervento e' opinabile
atteso che nella quasi totalita' dei casi l'indifferenza risponde ad una
logica economica, oltre che pericolosa, indiscutibilmente secondaria
rispetto al dovere costituzionale di tutela della salute pubblica.

Non appare, percio, condivisibile la linea dell'abbandono ancorche' un
illustre autore (Edward W. Campion, Deputy Editor della rivista "The New
England Journal of Medicine", 3 luglio 1997) - (all. n. 6), si rammarichi
per gli sprechi economici cosi' riflettendo: "E' triste che centinaia di
milioni di dollari siano stati sprecati in studi che non hanno mai lasciato
intravedere alcuna possibilita' di scoprire un modo per prevenire la
tragedia del cancro nei bambini. Molti studi, inconsistenti ed
incongruenti, hanno generato preoccupazione e paura e non hanno messo il
cuore in pace a nessuno. I 18 anni di ricerca hanno causato solo paranoia".

Parlare di paranoia per affermare con forza che nessun danno per la salute
puo' derivare dall'esposizione a campi magnetici non evidenzia
coscienziosita' atteso che, ad esempio, quando ci sottoponiamo anche ad una
semplice risonanza magnetica ci isolano come degli appestati; a meno di
volere affermare che sono fissati e maniaci anche i medici radiologi.

Non e' condivisa, fortunatamente, la riflessione di Edwuard dalla
Commissione per la protezione dell'ambiente, la sanita' pubblica e la
tutela dei consumatori del Parlamento Europeo che, nella gia' riunione del
5 maggio 1994 (all. n. 7), aveva approvato all'unanimita' la risoluzione di
una proposta del 1992 in cui (lett. H.3) si "sollecitavano ricerche
supplementari in ambito comunitario sulle incidenze sanitarie risultanti
dai campi elettromagnetici".

Forse la tristezza dell'illustre autore per lo spreco dei denari e'
condivisa da altrettanto illustri scienziati; resta il fatto pero' che,
grazie alla tenacia di quelli che credono nella ricerca come strumento
indispensabile per vincere l'incertezza, l'incertezza stessa e' andata
gradatamente scemando fino a consentire diagnosi attuali, come si vedra'
piu' avanti, di sussistenza di nesso di causalita' in termini non piu' di
possibilita' ma di probabilita'.

Purtroppo gli interventi legislativi cautelari non sono frequenti perche'
quasi tutti i Paesi applicano all'incertezza scientifica sulla nocivita' di
una sostanza il principio penalistico in dubbio pro reo, quando la ratio
dell'intervento cautelare fonda, viceversa, semplicemente sul fumus boni
iuris.

La prova di quanto sia nociva questa filosofia, forse a lungo termine piu'
nociva degli stessi effetti della sostanza, e' fornita dalla vicenda
economico-legislativa legata all'amianto. E' notorio come l'utilizzo
dell'amianto, nonostante gli allarmanti appelli di alcuni studiosi, si sia
rapidamente diffuso per gli innegabili vantaggi economici immediati del suo
impiego, e come solo a distanza di quasi sessant'anni dalle prime diagnosi
di carcinoma compatibile con il prodotto, il legislatore italiano sia
intervenuto mettendo al bando la fibra con la Legge 27 marzo 1992, n. 257.

A tali principi fatuamente economici (notoriamente il costo del risanamento
e' sempre elevato) e poco etico-giuridici (a volte i danni sono
irreversibili quando non letali) e' legata anche la questione relativa ai
potenziali rischi sanitari dell'esposizione ai campi elettromagnetici a
frequenza industriale (50/60 Hz), verosimilmente sottostimati dai
legislatori della maggior parte dei Paesi, Italia compresa.

Sul punto appare interessante la riflessione ed il suggerimento del
Parlamento Europeo che, nella motivazione della sopra citata risoluzione
(all. n. 7), afferma: "Pur non essendo chiaramente delucidati, i meccanismi
d'induzione dei danni biologici, si dispone oggigiorno di un numero
sufficiente di elementi per adattare le norme e le regolamentazioni
muovendo da due principi direttori:

* il primo e' quello della precauzione: in caso di dubbio sul livello del
rischio, si tratta di adottare l'impostazione piu' conservativa consistente
nel minimizzare detto rischio, ricorrendo, eventualmente, all'opzione zero;

* il secondo e' il cosiddetto principio A.L.A.R.A. secondo cui una volta
fatta la scelta della tecnologica, l'esposizione alle radiazioni dev'essere
la piu' debole possibile".

Indubbiamente il principio che attribuisce all'incertezza di tali effetti
sanitari la giusta ponderazione e' il principio A.L.A.R.A. (As Low
Reasonable Avoidable), fatto proprio anche dall'O.M.S. (Organizzazione
Mondiale della Sanita'), nel quale si consiglia di diminuire al minimo
ragionevolmente possibile l'esposizione ad una fonte sospetta.

Un importante punto di riferimento normativo sulla protezione dai campi
elettromagnetici a bassa frequenza e' costituito dai documenti
I.N.I.R.C./I.R.P.A. (Internazional Non Ionizing Radiation
Committee/Internazional Radiaton Protection Agency), risalenti ai primi
anni ottanta, in cui viene riconosciuta per la prima volta la necessita' di
stabilire dei limiti di esposizione acuta dei lavoratori e della
popolazione e viene fissato il limite prudenziale di 100 microtesla.

E', infatti, a tali documenti che la maggior parte dei Paesi, tra i quali
l'Italia, ha fatto fino ad oggi riferimento per legiferare in materia di
esposizione a campi E.L.F., con la conseguenza che tutte le normative
disciplinano esclusivamente gli effetti sanitari immediati ed ignorano, o
disciplinano in maniera incoerente, gli effetti dell'esposizione a lungo
termine.

Sino alla fine degli anni 80 i provvedimenti legislativi nazionali relativi
alla progettazione, costruzione ed esercizio delle linee elettriche nelle
aree esterne sono essenzialmente norme di natura tecnica e i piu' rilevanti
sono la Legge 28 giugno 1986 (che prevede anche l'adeguamento alla
normativa sismica) e il D.M. Lavori Pubblici 21 marzo 1988 (disposizioni in
materia di altezze e distanze dei conduttori ove e' stabilito, peraltro,
che "nessuna distanza e' richiesta per i cavi aerei").

Sono norme essenzialmente tecniche anche la legge 9 gennaio 1991, n. 9, in
materia di impatto ambientale, e il D.M. Lavori Pubblici 16 gennaio 1991
(aggiornamento delle norme tecniche), pur se nella premessa di quest'ultimo
si fa un generico cenno al problema sanitario nel senso che si riconosce la
possibilita' che gli effetti derivanti dai campi elettromagnetici prodotti
dalle linee elettriche aeree incidano sulla salute.

La premessa, tuttavia, non influisce sullo spirito del decreto visto che
nello stesso vengono confermate sia la precedente statuizione che nessuna
distanza e' richiesta per i cavi aerei sia quella che consente il
posizionamento dei conduttori sopra i terrazzi e sopra i tetti.

La prima ed unica norma, tuttora in vigore, che disciplina gli effetti
sanitari dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, e'
il D.P.C.M. 23 aprile 1992, che si applica a tutti gli elettrodotti a
tensioni superiori a 132 KV a frequenza di 50 Hz e in cui per la prima
volta e' prevista un'esplicita prescrizione di protezione e, quindi, di
prevenzione.

L'art. 4 della legge 23.12.1978, n. 833 (istitutiva del Servizio Sanitario
Nazionale) e l'art. 2, comma 14, della legge 8.07.1986, n. 349 (istitutiva
del Ministero dell'Ambiente), attribuiscono al Ministro dell'Ambiente, di
concerto con quello della Sanita', il compito di proporre al Presidente del
Consiglio dei Ministri, competente ad emanare eventuali provvedimenti, dei
"limiti massimi di accettabilita' delle concentrazioni e dei limiti massimi
di esposizione relativi a inquinamenti di natura chimica, fisica e
biologica e delle emissioni sonore negli ambienti abitativi e nell'ambiente
esterno".

Tali limiti risultano fissati, per quanto riguarda la massima esposizione
ai campi elettrici e magnetici generati alla frequenza industriale nominale
di 50 Hz negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno, dall'art. 4 del
citato D.P.C.M. aprile 92 in:

* KV/m e 0,1 millitesla (cento microtesla), rispettivamente per
l'intensita' di campo elettrico e di induzione magnetica, in aree o
ambienti in cui si possa ragionevolmente attendere che individui della
popolazione trascorrano una parte significativa della giornata;

* KV/m e 1 millitesla (mille microtesla), rispettivamente per l'intensita'
di campo elettrico e di induzione magnetica, nel caso in cui l'esposizione
sia ragionevolmente limitata a poche ore al giorno.

Dalla semplice lettura della norma, emerge come anche il Legislatore
Italiano, ispirandosi ai documenti I.N.R.I.C./I.R.P.A., abbia definito i
limiti di esposizione con riferimento esclusivo agli effetti sanitari acuti
o immediati, ignorando gli effetti dell'esposizione a lungo termine ossia
cronici.

La tutela rispetto a tali ultimi effetti dovrebbe essere garantita dal
successivo art. 5 (distanze di rispetto dagli elettrodotti) il quale
stabilisce che, rispetto ai fabbricati adibiti ad abitazione o di altra
attivita' che comporta tempi di permanenza prolungati, la distanza da
qualunque conduttore di linea a 132, 220 e 380 KV deve essere uguale o
superiore rispettivamente a 10, 18 e 28 metri.

Per la tutela dall'esposizione a lungo termine, dunque, non sono previsti
limiti-soglia ma solo distanze di sicurezza che non sono, come dovrebbero
essere se fossero motivate da ragioni sanitarie, la conseguenza logica dei
primi. Se, infatti la ratio della previsione fosse la tutela della salute
della collettivita', le distanze dovrebbero trovare coerenza con i
limiti-soglia ed, anzi, dovrebbero offrire, rispetto a questi, maggiori
garanzie.

La verita' e' che anche il D.P.C.M. aprile 1992, sbandierato come legge a
tutela della salute della collettivita', altro non e' che un aggiornamento
della normativa a tutela del danno ambientale.

L'art. 7 (risanamenti) sancisce l'individuazione di azioni di risanamento,
nei tratti di linee esistenti dove non risultano rispettati i limiti di cui
all'art. 4 e le condizioni di cui all'art. 5, mentre l'art 8 prevede
l'istituzione di una commissione tecnico-scientifica per l'approfondimento
delle tematiche relative ai problemi igienico-sanitario e l'aggiornamento
normativo.

Le norme tecniche procedurali di attuazione del D.P.C.M. 23.04.1992 sono
contenute nel D.P.C.M. 28 settembre 1995 che, nel fissare i criteri di
scelta delle azioni di risanamento, modifica il disposto di cui all'art. 7
del D.P.C.M. aprile 92 prevedendo una prima fase in cui per il risanamento
del precedente non si debba piu' fare riferimento all'art. 5 (distanze) ma
solo ai valori-soglia di cui all'art. 4.

Tale ultima disposizione, che solo nominalmente e' norma di attuazione
mentre in realta' e' norma sostanziale nuova visto che incide, ed anche in
maniera grave sui criteri di risanamento, offre ampia motivazione sul
perche' dell'uso del condizionale a proposito delle garanzie di cui
all'art. 5 ed evidenzia come ancora una volta la politica del risparmio
abbia prevalso sull'esigenza di tutela della salute.

Che tale apprezzamento non sia una semplice illazione si ricava dalla
deposizione del presidente dell'E.N.E.L. dott. Enrico Testa il quale,
rispondendo alle parti civili che chiedevano lumi sulle azioni di
risanamento, cosi' afferma: "Le linee aeree preesistenti sono piuttosto
fastidiose dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Non saremmo
obbligati a farlo, lo vorremmo fare se riusciamo anche a trovare un accordo
per quanto riguarda gli aspetti tariffari, perche' purtroppo demolire una
linea costa quasi come costruirla (trascr. ud. 3.10.1997, pag. 62-63) e i
costi per l'interramento dei cavi si stima che siano 30 - 40 volte
superiori ai costi che servono per le linee aeree" (pag. 66-67).

E per comprendere la portata della modifica normativa basta considerare che
il valore-soglia stabilito per legge e' di 100 microtesla mentre sotto una
linea a 380 KV, in corrispondenza della massima altezza da terra dei
conduttori, stabilita dal D.M. 16.01.1991 in 11,34 metri, si misura un
campo magnetico da 20 a 22 microtesla.

Come dire che, siccome il valore-soglia stabilito per legge non si
riscontra neppure in coincidenza del punto di massima produzione del campo,
gli elettrodotti come quello Forli'-Fano per il momento non meritano
l'attenzione delle azioni di risanamento perche' non turbano l'ambiente; e
cio' non perche' non sono perniciosi per la salute umana, ma unicamente
perche' i costi sarebbero elevatissimi.

Pur prescindendo dall'inidoneita' cautelare delle distanze previste
dall'art 5, di cui meglio si dira' piu' avanti, infatti, non si intravede
nel provvedimento legislativo una ragione, diversa dalla gestione dei costi
compatibile con l'impatto ambientale, che giustifichi la differente
disciplina delle linee nuove rispetto a quelle da risanare, senza ignorare
il palese contrasto tra la riconosciuta "necessita' di fissare limiti per
l'esposizione della popolazione ai campi elettrici e magnetici generati
dagli elettrodotti" (cosi' si legge in premessa) e il successivo distinguo
che nega ad alcuni di quella stessa popolazione, gia' penalizzata dalla
preesistenza dell'elettrodotto, il diritto alla tutela della salute
derivante dall'eventuale parziale risanamento.

La conferma che la ratio della norma non e' la tutela della salute dei
cittadini bensi' la tutela dell'ambiente, si evince anche dalla palese
incongruenza del combinato disposto degli artt. 4 e 5. Premesso, infatti,
che il criterio guida dovrebbe essere quello del valore-soglia perche' di
maggiore protezione, e non viceversa, non si comprende come possano essere
definite di sicurezza delle distanze quando a priori si sa per certo che
all'interno di esse e' sempre riscontrabile un valore altamente superiore a
quello soglia.

Un problema che si sono evidentemente posto ed hanno cercato di risolvere
le Regioni Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Sicilia e
Basilicata. La prima, infatti, ha approvato una legge, poi sospesa, e le
altre hanno presentato proposte di legge, in cui sono previste, in
relazione all'esposizione cronica, distanze non inferiori a 150 metri da
linee a 380 KV e comunque fissato un valore-soglia di 0,2 microtesla oltre
il quale studi epidemiologici avevano riscontrato un rischio di leucemia
infantile.

Ma prima ancora il problema se l'era posto l'attuale presidente
dell'E.N.E.L., dott. Enrico Testa, in data 28 settembre 1993, quando cioe'
ebbe a presentare, quale Deputato della Repubblica Italiana, unitamente
agli Onorevoli colleghi Scalia, Mattioli, Turroni, Ronchi, Giuliari, Grassi
e Strada, (tutti Verdi e Ronchi anche attuale Ministro dell'Ambiente), una
proposta di legge dal seguente titolo: "Nuove norme in materia di
elettrodotti a tutela dell'igiene e della sicurezza negli ambienti di vita
e di lavoro" (all. n. 8).

La proposta, proprio in ragione dell'incoerenza e delle lacune del D.P.C.M.
aprile 92, da' risalto all'inefficacia, ai fini della prevenzione dagli
effetti a lungo termine, dei limiti previsti espressamente per gli effetti
a breve termine, e prospetta la riduzione del limite-soglia da 100
microtesla (limite come gia' rilevato assurdo perche' mai raggiungibile
all'interno delle distanze cosiddette di sicurezza) a 0,2 microtesla come
consigliato da molti ricercatori.

E' auspicabile, quindi, la rapida approvazione del disegno di legge quadro
sull'inquinamento elettromagnetico, AC 4816 (all. n. 9), tra i cui scopi e'
indicato come precipuo (art. 1) quello della "tutela della salute dei
lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dall'esposizione a campi
elettromagnetici" in armonia con il principio costituzionale di cui art. 32
della Costituzione.

Preliminare all'analisi di ciascuno degli elementi costitutivi del reato e'
anche l'esame della posizione degli imputati Negroni Alberto e Colucci
Elio, rispettivamente direttore generale e direttore centrale
approvvigionamenti dell'E.N.E.L., quale e' emersa dall'istruttoria
dibattimentale.

Il primo ha dato l'autorizzazione a firmare e il secondo ha materialmente
firmato il contratto d'appalto senza partecipare o interferire sulla
progettazione e realizzazione dell'elettrodotto Forli'-Fano, ne' avrebbero
potuto con la interposizione della loro volonta', per regole statutarie,
impedire la costruzione ovvero incidere sulla scelta del tracciato.

Consegue che gli stessi vanno mandati assolti dal reato loro ascritto per
non aver commesso il fatto.

Condotta

I primi sospetti di nocivita' per la salute associata all'esposizione a
campi E.L.F., generati da linee elettriche ad alta tensione, risalgono ad
oltre trent'anni fa e negli ultimi venti hanno formato oggetto di numerosi
studi a livello nazionale ed internazionale.

Proprio vent'anni fa l'Istituto Superiore di Sanita' ebbe a mettere a punto
una prima normativa nazionale sull'esposizione a campi magnetici, e nel
1994 il Parlamento Europeo evidenziava come da oltre un ventennio si era
andata diffondendo la consapevolezza delle loro turbative a livello
sanitario (all. n.7, pag.7).

Agli inizi degli anni novanta, epoca di costruzione dell'elettrodotto
Forli'-Fano, Il quadro della letteratura scientifica sugli effetti
dell'esposizione a campi elettromagnetici era, come meglio si chiarira'
piu' avanti, un quadro di incertezza che comunque suscitava allarme,
tant'e' che i piu' importanti organismi internazionali invitavano alla
cautela e consigliavano distanze prudenziali nella costruzione delle linee
elettriche.

Ragioni di prudenza, quindi, richiedevano ancor prima dell'epoca dei fatti
"de quibus" che nei progetti di costruzione degli elettrodotti, e in
particolare nella scelta dei tracciati, si tenesse conto soprattutto della
presenza, come nel caso di specie, di insediamenti civili e produttivi.

Sostiene l'imputato Balli che "la linea era essenziale; ce n'era un'altra
che aveva dato pessimi risultati, era franata piu' volte a monte. Quindi la
linea doveva essere fatta".

Anche senza alternativa di tracciato? E' lecito sostenere che una linea
essenziale (per chi?) deve essere realizzata persino facendola passare
sulle abitazioni in presenza anche di semplici sospetti sugli effetti
nocivi dell'esposizione ai campi magnetici? E' legittimo, oltre che morale,
sostenere che gli elevati costi dell'interramento dei cavi a fronte
dell'incertezza sugli effetti dannosi dell'esposizione non giustificano
tale scelta?

L'imputato Balli, confortato, a suo dire, dalla documentazione prodotta,
asserisce:

* il progetto, improntato alla massima correttezza, e' stato realizzato
utilizzando tutta la documentazione disponibile ed in particolare carte
geografiche, piani regolatori, vedute aero fotogrammetriche, dati sulla
staticita' dei terreni e, componente non trascurabile, il consenso delle
amministrazioni comunali;

* nella costruzione dell'elettrodotto e' stata utilizzata la migliore
tecnica disponibile e che un altro tracciato non era possibile cosi' come
non era possibile, anche in ragione della sovra popolazione della zona,
realizzare la linea senza danneggiare qualcuno. Come dire che un danno, pur
se preventivato, era inevitabile.

Ben si intuisce che l'imputato Balli quando parla di danno preventivato non
si riferisce a danni per la salute, che egli escludeva allora ed esclude
oggi, come si dira' piu' avanti, perche' altrimenti diversa sarebbe stata
la qualificazione giuridica del fatto contestato. Tant'e' che all'udienza
del 6.06.1997 (trascr., pag. 21) dichiara testualmente: "La legge
fondamentale per le linee dice che si devono fare i tracciati nel modo meno
pregiudizievole possibile della proprieta' servente, ma certamente
permette, in caso di necessita', di passare sopra le case".

In tale affermazione c'e' la chiave di lettura dell'atteggiamento
dell'E.N.E.L., il cui approccio al problema appare palesemente viziato
dall'erronea prospettazione della direzione dei preventivati danni, per
cui, prima di valutare le dichiarazioni del Balli afferenti alla
progettazione, costruzione ed attivazione dell'elettrodotto, appaiono
opportune due precisazioni:

a) il diritto alla tutela della salute sancito dall'art. 32 della
Costituzione costituisce un limite invalicabile anche per l'invocata
facolta' per legge di passare sopra le case (che comunque non va confusa
con l'arbitrio);

b) il rimprovero mosso agli imputati nel caso di specie non e' quello di
avere sconvolto con il loro comportamento negligente ed imprudente
l'aspetto territoriale della zona o di avere determinato il deprezzamento
degli immobili di Siliquini e Giovagnoli bensi' quello di avere per colpa
cagionato ai medesimi lesioni personali.

Ritornando alle affermazioni del Balli si osserva che esse non trovano
riscontro nelle prove documentali e testimoniali fornite dall'accusa le
quali, anzi, in buona parte le smentiscono.

L'arch. Domenico Elena, responsabile del settore programmazione e
pianificazione del Comune di Rimini e componente, unitamente all'ing.
Ariano Mantuano, dott. Paolo Bevitori e dott. Mauro Stambazzi, della citata
Commissione istituita dal Circondario di Rimini con compiti ricognitivi sul
tracciato dell'elettrodotto, infatti, dopo aver rilevato che il tracciato
stesso era stato realizzato fondando le scelte su una vecchia carta
militare del 1948, osserva che (all. n.10), sulla base della documentazione
acquisita e dei rilievi effettuati dalla Commissione, era possibile la
scelta di un percorso alternativo e in alcuni casi, in particolare, era
possibile con modesti spostamenti far passare la linea anziche' agli
attuali 20 30 metri anche oltre i 100 metri dai fabbricati esistenti (cfr.
anche trasc. ud. 11.04.97, pagg. 31 e segg.).

Tali osservazioni trovano parziale riscontro nella deposizione del teste
indotto dalla difesa Vladimiro Marano, dipendente dell'E.N.E.L. con la
qualifica di capo sezione di istruttorie ed espropri, dalla quale si ricava
anche la conferma della citata erronea prospettazione da parte
dell'E.N.E.L. della direzione dei danni.

Il teste Marano, infatti, riferisce che l'E.N.E.L. aveva recepito e
risposto positivamente alle lamentele di una parte della popolazione
(quelli, per intenderci, residenti nella zona di Covignano) apportando, per
ragioni ambientali, la modifica del tracciato nella sua attuale
realizzazione (trascr. ud. 3.10.1997, pagg. 29 e segg.).

La scelta dei tracciati, dunque, non e' sempre improntata, come vuol far
credere l'imputato Balli, a criteri d'indagine scientifica e obiettiva, se
e' vero come e' vero che in quel caso per l'originario tracciato e' stata
trovata l'alternativa per ragioni ambientali mentre nel caso di specie,
ignorando totalmente le doglianze connesse al rischio per la salute, no.

Dobbiamo dedurre, quindi, che nel caso di specie la scelta e' caduta
sull'attuale tracciato privilegiando la questione ambientale alla questione
salute.

E non va ignorato che le varie manifestazioni di protesta della popolazione
hanno sortito il solo effetto di fare intervenire la polizia per imporre la
prosecuzione dei lavori, e che neppure l'intervento coercitivo del Sindaco
del Comune di Rimini, in difesa del diritto alla salute dei cittadini, e'
riuscito ad arrestare il fermo proposito dell'E.N.E.L.

Non pare, quindi, sorretto da verita' storica l'assunto dell'imputato Balli
circa la correttezza e la ragionevolezza usate verso i cittadini e la
collaborazione cercata con il Comune di Rimini nella scelta del tracciato.

Cosi' come appare superflua ogni valutazione sull'asserito consenso delle
amministrazioni comunali, ed in particolare del Comune di Rimini, se solo
si pone mente alla citata ordinanza di sospensione dei lavori proprio del
Sindaco di quel Comune (all. n. 2) e se ne riscontra la presenza in questo
processo come parte civile.

Ne' puo' ritenersi giuridicamente rilevante, ai fini del presente processo,
l'assunto che i lavori sono stati licenziati con decreti del Ministro dei
Lavori Pubblici (all. n.ri 11 e 12) perche' negli stessi mai si fa
riferimento a criteri di salvaguardia della salute ed anzi le
autorizzazioni risultano rilasciate con l'espressa previsione della
"salvezza dei diritti dei terzi e dell'assunzione di responsabilita' da
parte dell'E.N.E.L. in ordine ad eventuali danni comunque cagionati alle
persone" (art. 5 di entrambi i decreti).

Nella nota 30 ottobre 1992, accluso all'incidente probatorio (all. n. 13),
l'ing. Ariano Mantuano riferisce che il tracciato dell'elettrodotto
Forli'-Fano e' stato costruito a pochi metri dalle abitazioni disattendendo
le direttive dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' che, in via
prudenziale, consigliava di applicare il citato principio A.L.A.R.A. e
cioe' di costruire linnee elettriche della potenza come quella "de qua" il
piu' lontano possibile dalle case e comunque ad una distanza minima di 100
200 metri per assumere il minor rischio possibile.

I risultati delle misurazioni fatte da Stambazzi e Bevitori (tecnici della
citata commissione del Circondario di Rimini) evidenziano, nella loro
relazione acquisita in sede di incidente probatorio, come la linea sia
stata fatta passare a distanza non superiore ai 50 metri dalle gia'
esistenti abitazioni facenti parte del campione rappresentativo utilizzato
per l'indagine e, in particolare, rispettivamente a 18 e 30 metri dalle
abitazioni delle parti civili Siliquini Luigi e Giovagnoli Raffaele.

Non va ignorato in proposito che gia' nel rapporto I.S.T.I.S.A.N. 89
(Istituto Superiore di Sanita' - Lineee ad alta tensione: modalita' di
esposizione e valutazione del rischio sanitario - all. n. 14, pag. 23),
dopo avere dato atto del collegamento diretto tra la rapida diminuzione
dell'andamento dei campi elettrici e magnetici e la distanza laterale dei
conduttori, si affermava testualmente: "Questo comporta che la zona
rilevante ai fini dell'esposizione e' limitata ad una fascia che si
estende, su entrambi i lati dal centro della linea, solo fino a distanze
pari a due o tre volte l'altezza dei conduttori".

L'altezza dei conduttori dell'elettrodotto a 380 KV Forli'-Fano e' di metri
11,50, quindi, anche solo seguendo le raccomandazioni I.S.T.I.S.A.N. la
linea doveva passare ad una distanza superiore ai 30 metri.

All'udienza dell'11 aprile 1997 (trascriz., pagg. 14 e segg.) i tecnici
Stambazzi e Bevitori confermano le indagini, durate circa un anno, eseguite
su incarico dell'allora P.M.P., oggi A.R.P.A., di cui e' nota anche in
campo nazionale la perizia dei componenti il servizio, ed evidenziano come
nelle quindici abitazioni di proprieta' degli originari querelanti, tra le
quali quelle delle attuali parti civili Siliquini e Giovagnoli, i valori
medi di induzione magnetica nelle 24 ore fossero compresi tra un minimo di
1,5 e un massimo di 2 microtesla.

A pag. 4 della citata relazione conclusiva di sintesi della commissione del
Circondario di Rimini del 22 aprile 1991 (all. n. 3), si legge
testualmente: "Emerge la necessita' di adottare i livelli limite di
esposizione inferiori ai valori indicati dalle ricerche scientifiche come
rischiosi nei casi di popolazioni che siano in permanenza continuativa
esposte ai campi come nei casi esaminati".

Giova ricordare che i limiti di valore-soglia indicati dalla maggior parte
delle ricerche nazionali ed internazionali erano gia' fissati all'epoca in
0,2 microtesla, e che cosi' l'attuale presidente dell'E.N.E.L. li proponeva
nel citato suo disegno di legge del 1993.

L'evidente disinteresse personale e l'acclarata competenza dei componenti
della Commissione istituita dal Circondario di Rimini escludono ogni
ragionevole dubbio sull'obiettivita' nella raccolta ed elaborazione dei
dati e sull'autorevolezza dei pareri espressi.

Quindi, quando nel luglio 1991 viene attivato l'elettrodotto, l'E.N.E.L.
conosce tali risultati che evidenziano valori medi superiori a quelli che,
come si dimostrera' piu' avanti, anche l'informazione scientifica
disponibile indica come rischiosi per patologie che risentono
dell'esposizione prolungata anche a piccole dosi.

Ammesso che sia provato, sostiene la difesa del Balli, Il rischio per la
salute sussisterebbe egualmente, ed anzi probabilmente sarebbe anche
maggiore, se i cavi venissero interrati perche' comunque non si potrebbe
andare in profondita' tali da scongiurare il pericolo.

Non la pensa cosi', anzi piu' precisamente cosi' non la pensava l'attuale
presidente dell'E.N.E.L. dott. Enrico Testa in data 28 settembre 1993,
quando cioe' ebbe a sottoscrivere il gia' citato disegno di legge (all. n.
8).

La circostanza impone un anticipo di quanto si dira' trattando del nesso di
causalita' sotto l'aspetto scientifico.

Nel presentare la proposta alla Camera dei Deputati il presidente Testa
cosi' letteralmente scriveva:

"Onorevoli Colleghi! In tutta Europa e nel mondo si va sempre piu'
diffondendo - non solo nell'opinione pubblica ma anche negli ambienti
scientifici - un vivo allarme per i pericoli che possono derivare alla
salute delle persone dall'esposizione ai campi elettrici e magnetici
diffusi nell'ambiente. Una delle fonti di tali campi e' la tecnologia
impiegata per il trasporto della corrente elettrica. I campi
elettromagnetici (C.E.M.) generati dalla trasmissione di corrente elettrica
alternata a bassa frequenza (Extremely Low Frequency, E.L.F.), infatti,
presentano livelli di intensita' e caratteristiche tali da interferire nei
piu' delicati meccanismi della vita cellulare.

In materia di elettrodotti ad alta ed altissima tensione va ricordato - per
dare un'idea della rilevanza della questione - il progetto, concordato tra
le compagnie elettriche europee, di una rete continentale ad altissimo
voltaggio (Extremely Higth Voltage, E.H.V.), che consentira' la
trasmissione per cavi aerei della corrente elettrica alternata, con
frequenza di 50 Hz con differenza di potenziale intorno ai 400 mila volt.

Un ormai cospicuo numero di lavori scientifici, basati sia su indagini
epidemiologiche che su ricerche di laboratorio, fanno ritenere fondata
l'ipotesi della mutagenicita' dei campi elettromagnetici generati da
elettrodotti, con rischi conseguenti per la salute di quanti a tali campi
sono inconsapevolmente esposti per la localizzazione di abitazioni, scuole,
luoghi di lavoro e simili, prossimi alle linee elettriche. Rischi che le
indagini epidemiologiche finora effettuate prospettano particolarmente
rilevanti per quanto riguarda la leucemia infantile nonche' dei tumori del
sistema nervoso.

Allo stato attuale delle conoscenze non e' possibile stabilire con certezza
quali siano i limiti di esposizione ammissibili, efficaci sotto l'aspetto
della prevenzione primaria. Tuttavia le conoscenze fin qui' acquisite hanno
indotto autorita' scientifiche di prestigio internazionale come David
Carpenter, preside della scuola di medicina dell'Universita' di New York, a
dichiarare che per quanto riguarda i campi elettromagnetici ci sono
conferme sufficienti per cominciare a sventolare bandiera rossa".

Dopo aver evidenziato come "analoghi inviti e raccomandazioni alla
prevenzione (per quanto riguarda il futuro) e alla bonifica ambientale (per
quanto concerne le linee elettriche gia' in esercizio) provengano dal
Karolinsk Institut di Stoccolma e dall'E.P.A. (Ente federale statunitense
per la protezione ambientale", il presidente Testa afferma: "Le principali
misure preventive sono oggi costituite dall'adozione di tracciati che
consentano di rispettare idonei limiti di distanza dalle abitazioni e dagli
altri luoghi di permanenza prolungata delle persone, nonche' dall'impiego
di tecnologie di trasporto della corrente alternative alla trasmissione per
cavo aereo, come quella per cavo sotterraneo. L'impiego dei cavi
sotterranei e' certamente piu' dispendioso di quello dei cavi aerei, ma sul
medio e lungo termine consente risparmi nei costi di manutenzione e di
sostituzioni tali da renderli fin d'ora convenienti: se a cio' si aggiunge
che i cavi sotterranei di regola comportano un minore impatto ambientale e
paesaggistico, si puo' prevedere che in futuro essi incontreranno un favore
crescente. I maggiori costi che le compagnie elettriche dovrebbero
sopportare non giustificano in ogni caso la sottovalutazione dei rischi per
la salute pubblica, specie in ordine agli effetti cronici che potrebbero
derivare dall'esposizione inconsapevole delle persone ai campi
elettromagnetici".

Coerentemente con tali osservazioni il presidente Testa propone (art. 7:
azioni di risanamento) l'interramento dei cavi delle linee elettriche che
comportano un'esposizione superiore a 0,2 microtesla (art. 3 della
proposta) pena la disattivazione.

L'autorevolezza della fonte di tali affermazioni offre ampie garanzie di
attendibilita' e vale da sola a smentire anche su questo punto l'assunto
dell'imputato Balli.

Evento

Sia le odierne parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, sia le
originarie parti lese Severi Vincenzo, Casadei Giulio, Giannini Roberto,
Giovagnoli Rosanna, Pensalfini Bruna, Bernabe' Monica, e Pasquini Angela,
estromesse come tali dal processo per le ragioni processuali di cui alla
sentenza 14 novembre 1997 (all. n. 1), sentiti quali testi, riferiscono in
modo unanime di avvertire sintomi di cefalee, vertigini, pesantezza di
testa, malessere diffuso, irritazioni epidermiche e degli occhi, insonnia,
in concomitanza con il loro permanere nelle zone (abitazioni o luogo di
lavoro) vicine alla linea dell'elettrodotto Forli'-Fano e per tempi
prolungati (trascr. ud. del 24 gennaio 1997).

Analoga sintomatologia dichiarano, alla stessa udienza, di avvertire anche
i testi Siliquini Marco, che abita con il padre Siliquini Luigi, Quadroni
Silvano, che lavora un terreno attraversato dall'elettrodotto e Bernabe'
Mario, che risiede e lavora a circa 40 metri dall'elettrodotto.

Relativamente ai due querelanti superstiti nel presente processo, il
collegio peritale, in risposta al primo quesito, cosi' conclude:

* "Giovagnoli Raffaele risulta affetto da crisi di cefalea gravativa e
nervosismo in soggetto con lieve aumento della proteinemia totale e delle
immunoglobuline e modesta ipertensione arteriosa.

* Siliquini Luigi risulta affetto da sindrome vertiginosa e cefalea in
soggetto portatore di artrosi cervicale.

A tali conclusioni il collegio peritale, il cui metodo d'indagine risulta
essere stato concordato con i consulenti tecnici delle parti, giunge "alla
luce delle risultanze anamnestiche e cliniche obbiettive, strumentali e di
laboratorio di quindici periziandi tra i quali Giovagnoli Raffaele (pagg.
30-33) e Siliquini Luigi"(pagg. 81-84 della perizia).

Sostengono i consulenti tecnici dott. Enrico Pira e prof. Carlo La Vecchia
che le conclusioni del collegio "appaiono infondate e prive di ogni
ragionevole supporto scientifico" perche':

* "sono stati disattesi i comuni principi che conducono alla formulazione
diagnostica, attraverso l'accurata valutazione dei casi";

* "la definizione di sindrome cefalgica piu' o meno simile come lesione e'
singolare e non trova precedenti in ambito legale".

Dopo aver rilevato come la definizione diagnostica sia completamente errata
nella forma e nella sostanza e l'elaborato peritale contenga una serie di
macroscopiche incongruenze (cfr. anche: considerazioni sulla perizia all.
incidente probatorio, pag.3), i consulenti passano, attraverso la
discussione clinica dei casi Siliquini e Giovagnoli (pagg.9-11), alle
considerazioni medico-legali (pagg. 12-14).

In queste ultime i consulenti prendono spunto dal passo dell'elaborato
peritale, in cui si afferma che "alle sindromi cefalgiche accertate non fa
seguito un conseguente apprezzabile stato di malattia", per evidenziare
l'incongruenza dell'affermazione atteso che i concetti di lesione e di
malattia non possono essere disgiunti e la malattia e' elemento essenziale
della definizione penalistica della lesione.

In ogni caso, osservano i consulenti (pag.14), e quindi a prescindere
dell'ammissibilita' della lesione in assenza di malattia, la cefalea non
puo' essere considerata malattia nel corpo e nella mente in quanto, in
ambito medico-legale, si ritiene che la malattia somatica "e' rappresentata
da qualunque processo patologico che leda l'integrita' fisica della persona
nel quale rientrano, secondo l'interpretazione rigorosa della legge fatta
propria dalla giurisprudenza, anche i fatti clinicamente tenui (N.d.R. ma
obiettivabili) quali le echimosi, le escoriazioni e le graffiature, che
pertanto non possono considersi percosse"(C. Puccini, Istituzioni di
Medicina Legale, pagg. 279-280, 1995).

La malattia mentale da lesione personale, inoltre, comprende "ogni
alterazione delle facolta' psichiche, da qualsiasi causa prodotta, purche'
abbia i caratteri di un fatto patologico, anche transitorio, identificabile
con uno dei quadri classici della psichiatria o colle ripercussioni mentali
di una malattia somatica. Ne sono esclusi, percio', i semplici stati
emotivi (spavento, collera) incapaci di modificare in modo sostanziale il
corso dell'attivita' cerebrale, a meno che la loro intensita' raggiunga
livelli tali da determinare disturbi di significato patologico" (C.
Puccini, cit.).

Pare di capire che le osservazioni dei consulenti sono incentrate
principalmente sul quadro biopatologico presentato dalle due persone
esaminate sotto due angolazioni, e precisamente se il quadro
sintomatologico possa rappresentare una lesione e nell'ipotesi di risposta
affermativa se si possa parlare di malattia in senso penalistico.

Giova pertanto premettere alcuni dati relativi al concetto di malattia.

E' pacifico che quando si parla di malattia si fa genericamente riferimento
ad una condizione contraria ed opposta a quella di salute.

Della malattia si puo' citare una lunga serie di definizioni che vanno dal
concetto filosofico a quello scientifico che ha seguito l'evoluzione delle
conoscenze dal pensiero di Democrito (quarto secolo a.C.) al positivismo
scientifico di Claude Bernard (diciannovesimo secolo d. C.) che ha aperto
l'era della medicina moderna.

La definizione ontologica o sostanziale di malattia che viene data
attualmente dal patologo generale G. De Marco e' "l'insieme delle
deviazioni, funzionali o strutturali, indotte da stimoli esogeni o
endogeni, capaci di alterare le condizioni di equilibrio funzionale e
strutturale nel quale i fenomeni vitali si svolgono in maniera ottimale".

Anche la definizione medico-legale di malattia ha subito una sua evoluzione
e si e' passati dal concetto espresso dal Pellegrini (disfunzionalita'
essenziale di cui sono in atto le cause), a quello del Leoncini (stato
anormale dell'organismo in via di evoluzione con o senza alterazioni
anatomiche appariscenti, accompagnato da disturbi funzionali o generali,
dipendenti sia dall'azione di un agente lesivo, sia dalla reazione di
difesa e di riparazione da parte dell'organismo); da quello del Palmieri
(qualunque processo morboso in evoluzione produttivo di un apprezzabile
danno alla salute) a quello di Cazzaniga (sequenza di fenomeni che realizza
quel complesso di azioni e reazioni che costituiscono l'organismo in uno
stato anormale, essenzialmente caratterizzato da perturbazioni funzionali,
associate oppure non, a modificazioni anatomiche e a sofferenze
subiettive), fino a giungere ai concetti (civilistici) di danno alla
persona, di danno biologico o danno evento (qualsiasi menomazione
dell'integrita' fisica della persona: concetto medico-legale) e di danno
alla salute o danno conseguenza (riduzione del benessere psico-fisico e
sociale: concetto giuridico, Corte Cost. Sent. 186/1986). Concetto
quest'ultimo che si richiama al principio di tutela del bene-salute
espresso nel preambolo della Costutuzione dell'Organizzazione Mondiale
della Sanita' nel quale il bene-salute, appunto, e' indicato come uno stato
di completo benessere fisico, mentale e sociale.

In materia penale, la malattia, nel senso medico-legale, e' condizionata
dalla sussistenza di evento lesivo; deve, cioe', essere conseguenza di una
lesivita', intendendo per lesivita', avuto riguardo ai concetti dianzi
enunciati, l'insieme dei fatti che incidono dannosamente sull'integrita'
psicosomatica umana.

E' pacifico in letteratura che le cause o azioni lesive si distinguono in:

* azioni per energia fisica (meccanica, barica, termica, sonora, elettrica,
radioattiva, fotica);

* azioni per energia chimica (chimica, biochimica, combinata);

* azioni per energia biodinamica (determinismi non riconducibili a
modificazioni fisiche o chimiche apprezzabili, come ad es. stress
psichici).

Ed e' altrettanto pacifico che la causa lesiva non deve avere
necessariamente caratteri di causa traumatica in senso stretto; infatti
dall'elenco che precede si deduce che possono provocare lesioni con
conseguente malattia anche le cause di natura psichica, sonora, fotica ecc.

Ritornando alle osservazioni dei consulenti Pira e La Vecchia, con
riferimento alla citazione delle sopra riportate definizioni del Puccini ed
in particolare a quella della malattia mentale da lesione personale, appare
di tutta evidenza come lo scopo della prospettata distinzione fra malattia
somatica e malattia mentale sia quello di far rientrare la cefalea, quadro
comune a Siliquini e Giovagnoli, nel secondo caso, cioe' nelle malattie
della mente.

Ma le cefalee sono quadri patologici somatici e non psichici: sono
affezioni, infatti, delle quali si trova la trattazione nei testi di
patologia medica e in quelli di neurologia, non in quelli di psichiatria.

Di conseguenza i consulenti avrebbero dovuto applicare alla cefalea la
riportata definizione di malattia somatica, senza naturalmente la N.d.R.,
ma obiettivabile, maliziosamente aggiunta.

La cefalea altro non e' che un'alterazione del circolo cerebrale e come
tale ben puo' costituire lesione ed integrare il concetto clinico di
malattia in senso medico-legale se comporta un'apprezzabile riduzione di
funzionalita' (cfr. Cass. Pen. sez.IV, sent. 9.12.1996, n. 10643, rv.
207339, in cui peraltro si afferma che alla riduzione puo' anche non
corrispondere una lesione anatomica). E cio' a prescindere, per i principi
sopra esposti, che dipenda o meno da azione traumatica.

Sull'analisi della difesa circa l'improponibilita' di un'ipotesi di lesione
cui non faccia seguito un accertabile stato di malattia del quale possa
indicarsi la durata e l'evoluzione futura, osserva il giudicante che anche
l'alterazione temporanea puo' costituire lesione e considerarsi malattia, e
che l'intermittenza di essa, come nel caso di specie, puo' ben costituire,
se dimostrata, l'effetto permanente del reato di lesioni colpose gravi, che
cessa con l'interruzione dell'attivita' criminosa.

Quanto poi alla concreta sussistenza dell'evento lesivo in danno di
Giovagnoli Raffele e Siliquini Luigi, contestata dai consulenti e dalla
difesa perche' fondata su elementi non obiettivabili, osserva il giudicante
che la consistenza probatoria dell'elaborato peritale trova riscontro sia
nei dati storici accertati in altre circostanze simili a quelle delle due
parti lese, sia nella deposizione dei testi.

Premesso che e' pienamente legittima l'utilizzazione da parte del giudice
dell'intera indagine peritale se finalizzata, come in questo caso, alla
valutazione degli elementi probatori - attraverso i quali soltanto puo'
crearsi quel libero convincimento che costituisce l'essenza di ogni
decisione - si osserva che, su quindici casi esaminati dal collegio
peritale, undici persone sono state riscontrate affette da sindrome
cefalgica.

Riferisce il perito Olivieri (trascr. ud. 22.11.96, pag. 23) che "il quadro
d'indagine si presentava piuttosto vario e raccontato in maniera diversa da
paziente a paziente che pero' andava a finire in un quadro simile".

Il dato e' apprezzabile, dunque, non tanto per la consistenza statistica,
che pure e' ragguardevole, quanto per la riferita varieta' del quadro che
consente di valutare ciascuna delle singole sintomatologie soggettive come
svincolata dalle altre e, quindi, non ricollegabile ad un quadro di
suggestione collettiva, come sostenuto dai consulenti tecnici.

Tutti i testimoni, inoltre, chi piu' chi meno, hanno riferito in sede
d'indagine peritale circostanze di anamnesi familiare che di regola si
tende a tenere nascoste per ragioni di pudore, come ad es. la morte per
infezione sospetta all'eta' di 24 anni della sorella di Severi Vincenzo. Le
parti civili Siliquini e Giovagnoli hanno addirittura riferito pregresse
patologie, altrimenti non facilmente conoscibili, tanto negative per loro
che i consulenti di parte avversa, come di dira' piu' avanti, le hanno
utilizzate per dimostrarne l'efficienza causale unica delle lamentate
lesioni.

Appaiono, percio', del tutto ingiustificati i dubbi sull'attendibilita'
soggettiva di Siliquini e Giovagnoli, persone interessate al processo, e le
loro deposizioni, assimilabili alle testimonianze, possono ben costituire
idonei mezzi di prova anche perche' le verita' riferite trovano puntuale
riscontro nelle deposizioni degli altri testi e conforto nell'elaborato
peritale.

Nesso causale

Al quesito sulla sussistenza del nesso di causalita' il collegio peritale
cosi' risponde: "Alla luce delle conoscenze scientifiche attuali relative
ai campi magnetici non si puo' escludere nesso eziologico rispetto al campo
magnetico".

Si legge in perizia (pag.10 ): "L'esposizione a campi elettromagnetici di
intensita' compatibile con quelli generati dagli elettrodotti, e' stata
messa in relazione con la comparsa di diversi effetti sulla salute,
raggruppabili a fini pratici in tumorali e non tumorali".

- Profili scientifici

L'inizio dello studio degli effetti sulla salute da esposizione a campi
magnetici risale agli anni 50 allorche' Wertheimer N. e Leeper E.
(Electrical wiring configuations and childhood cancer, American Journal of
Epidemiol, 1979) indagarono il rischio oncogeno associato all'esposizione a
campi E.L.F. considerando i casi di tumori infantili verificatisi a Denver
negli anni 1950-73 tra i residenti in un raggio di 40 metri da linee
elettriche.

Quantunque vivamente criticata a causa delle carenze metodologiche nella
determinazione dei campi magnetici coinvolti e dei livelli di esposizione,
detta pubblicazione fu tuttavia ribadita da David Savitz ed altri nel 1987
(Case-control study of cildhood cancer and exposure to 60 Hz electric and
magnetic fields, American Journal of Epidemiol, 1988) che, per conto del
Dipartimento di ricerca e sanitario dello Stato di New Jork e col supporto
finanziario dei produttori di elettricita', si erano prefissi di verificare
i risultati inquietanti ottenuti da Wertheimer e Leeper.

Ed e' a seguito di una pari indagine sulla popolazione adulta, sempre di
Denver, (Adult cancer related to electrical wires near the home,
International Journal of Epidemiol, 1982), che molti scienziati
cominciarono a prendere sul serio il problema e i piu' ben presto
abbandonarono l'iniziale prudenza lanciando preoccupanti appelli come
quello, in precedenza citato, di David Carpenter che gia' alla fine degli
anni ottanta invitava dalla sua cattedra universitaria di New York ad
alzare bandiera rossa nei riguardi dei campi elettromagnetici.

Negli ultimi vent'anni sono stati svolti numerosi studi epidemiologici e le
rassegne aggiornate della letteratura scientifica sono state curate da
David Savitz (Overview of epidemiologic research on electric and magnetic
fields and cancer, American Industrial Hygiene Association Journal, 1993) e
Magnani C. (Recenti indagini epidemiologiche sull'associazione tra campi
elettromagnetici E.L.F. e leucemie. Radiazioni non ionizzanti: effetti
biologici, sanitari ed ambientali, 1994).

Tali studi e altri dodici pubblicati successivamente (ancora da Wertheimer,
1995 fino a Hatch, 1998), hanno formato oggetto del rapporto I.S.T.I.S.A.N.
1998 (all. 14) in cui viene riconosciuto un ruolo apprezzabile
dell'esposizione ai campi magnetici nell'eziologia della leucemia infantile
anche se "il carattere causale di tale associazione non e' per ora
adeguatamente dimostrato".

Sul punto si e' molto dibattuto specialmente dopo la pubblicazione di uno
studio americano (Residential exposure to magnetic fields and acute
lymphoblastic leukemia in children, Linet et al., New Eng. Journal, 1997)
che non indicava una relazione significativa fra la residenza in case con
livelli di campo magnetico superiori a 0,2 - 0,3 microtesla e la presenza
di leucemia infantile perche', anche se vi era una certa associazione, non
si raggiungeva la significativita' statistica.

Le indagini epidemiologiche successive, sempre in quell'anno, di altri
studiosi (americani, tedeschi e norvegesi), hanno evidenziato che il
rischio aggiuntivo di leucemia infantile, con una metodologia di
misurazione dell'esposizione nelle 24 ore, varia indicativamente fra un 30%
e un 60% in piu' (Comba, trascr. ud. 6.03.98, pag. 17).

Opportuno allora appare rilevare che:

* il dato che emerge dall'insieme degli studi pubblicati fra il 1991 e il
1997 e' che il rischio di leucemia infantile, per la popolazione residente
in case con livello di campo magnetico superiore a 0,2 microtesla, e'
dell'ordine del 30-60% in piu' rispetto alla popolazione che vive al di
sotto di 0,2 microtesla;

* gli studi che confermano l'incremento della leucemia infantile sono
frutto di ricerche epidemiologiche mentre gli studi non positivi sono
generalmente caratterizzati da una bassa potenza statistica.

Le osservazioni trovano conforto nella tabella allegata alla perizia, che
raccoglie, appunto, i risultati di vari accertamenti su soggetti esposti a
campi elettromagnetici, dalla quale emerge come per tali soggetti sia stato
verificato un maggiore rischio di leucemia, particolarmente quella
infantile.

I dati trovavano riscontro gia' negli studi dei primi anni novanta,
caratterizzati da un'accurata valutazione dell'esposizione a campi E.L.F. e
ad altri fattori di rischio dei tumori, che indicavano in modo coerente un
incremento di rischio di leucemia infantile in relazione ad esposizione a
campi magnetici a 50 Hz di intensita' superiore agli 0,2 microtesla
(Magnetic fields and cancer in childre residing.., in American Journal of
Epidemology, Feychting M., Ahlbom A., 1993).

Tale valutazione assume una rilevanza particolare, in ordine
all'attendibilita', perche' corrisponde esattamente a quella espressa
dall'Istituto Superiore di Sanita', di cui il perito Comba e' Direttore del
Reparto di Epidemiologia.

Tra la documentazione di studi non positivi prodotta dalla difesa spicca
l'editoriale, gia' citato, di Edward W. (all. n. 6).

Dopo avere ironizzato, anche in maniera pesante, sugli studi precedenti,
definendo ad es. "grossolana saga" la prima indagine di Wertheimer N. e
Leeper E., dei quali non riporta neanche il nome limitandosi a citarli come
"due ricercatori di Denver", l'autore afferma testualmente: "Anche se la
maggior parte dei fisici ritiene inconcepibile che i campi elettromagnetici
possano costituire un pericolo per la salute, dozzine di studi
epidemiologici hanno messo in evidenza deboli associazioni tra la vicinanza
a conduttori elettrici ad alta tensione ed il rischio di cancro".

L'autore, quindi, non mette solo in dubbio l'utilita' delle indagini
epidemiologiche, sulla cui serieta', viceversa, concordano anche i
consulenti tecnici degli imputati, ma contesta soprattutto che suoi
colleghi, a dozzine, abbiano avuto l'ardire di svolgere un tale tipo di
indagine.

Egli afferma con decisione che "non esiste alcuna prova convincente che
l'esposizione ai campi elettromagnetici causi il cancro negli animali, ed i
campi elettromagnetici non hanno assolutamente effetti biologici
riproducibili, tranne nel caso di valori che vanno ben di la' da quelli mai
riscontrati nelle abitazioni della gente".

Senonche' nel periodo successivo si scopre che tanta certezza gli deriva
proprio da quelle vituperate indagini perche' si legge: "Recentemente,
parecchie commissioni e gruppi di esperti hanno concluso che non esiste
alcuna prova convincente che le linee elettriche ad alta tensione
rappresentino un pericolo per la salute o siano causa di cancro. Ed i
migliori studi epidemiologici, incluso quello di Linet ed at., raggiungono
ora le stesse conclusioni".

Osserva il giudicante che lo studio di Linet esclude la significativita'
statistica dell'indagine non l'associazione (quindi non puo' affermarsi che
esclude il pericolo per la salute), e che comunque il convincimento del
giudice non puo' prescindere dalla valutazione complessiva della
letteratura scientifica, tutt'altro che unanime su un tale giudizio
d'incertezza probatoria.

L'ipotesi di un ruolo causale dei campi E.L.F. nell'insorgenza della
leucemia esula e' vero dal tema specifico ma va comunque tenuta presente
come elemento di riferimento perche', come si vedra', si ripercuote nella
piu' recente valutazione ufficiale contenuta nel citato documento ufficiale
congiunto dell'Istituto Superiore di Sanita' e dell'Istituto Superiore
Prevenzione e Sicurezza del Lavoro del gennaio 1998 (all. n. 2).

Per quanto riguarda gli effetti non tumorali, gia' negli anni 60 e 70
apparvero alcune segnalazioni di autori sovietici in merito ad
un'accresciuta prevalenza di disturbi neurologici e circolatori e di
alterazioni ematologiche in lavoratori di sottostazioni ad alta tensione
(Asanova e Racov, 1966; Korobkova et al., 1972; Sazonova, 1975). Asanova e
Ravov, in particolare descrissero casi di cefalea associata a indolenza,
affaticamento, irritabilita', disturbi del sonno comparsi alcuni mesi dopo
l'avvio del funzionamento delle stazioni

L'assenza di conclusioni definitive, anche per la diversita' della
metodologia impiegata dai vari autori, spinse l'Organizzazione Mondiale
della Sanita' (United National Environment Programme...,WHO, 1984, Geneva)
a raccomandare ulteriori ricerche.

Nella motivazione della citata risoluzione del Parlamento Europeo (all. n.
3, pag. 9) si legge: "Nel novero dei sintomi osservati nelle persone che
abitano nelle vicinanze di linee di trasporto di elettricita', si denotano
emicranie, affaticamento cronico, depressione e actonia muscolare, sintomi
che il piu' delle volte scompaiono con l'allontanamento del paziente dalla
fonte del disturbo. Inoltre, dette manifestazioni di ipersensibilita' si
verificano con frequenze proprie a ciascun individuo".

In uno studio sui sintomi depressivi e la cefalea (Pool C. ed al., American
Journal of Epidemiology, 1993), e' stato evidenziato un incremento della
frequenza della sintomatologia e della patologia, (quest'ultima di circa il
50%), fra i residenti in proprieta' confinanti con la fascia di rispetto di
un'elettrodotto, e l'associazione non e' stata spiegata da altre variabili
di possibile significato eziologico ne' dalle convinzioni personali dei
soggetti esaminati.

Sulla metodologia di tali ultimi esami (mediante interviste telefoniche),
la cui validita' e' stata contestata dalla difesa, il perito dott. Comba ha
spiegato che essa e' pienamente accettata nella societa' scientifica
americana tant'e' che ha avuto l'approvazione dei revisori scientifici
dell'American Journal (trascr. ud. 22.11.96, pag.15-16).

Per quanto riguarda l'Italia, va citata l'indagine svolta dall'Istituto
Superiore di Sanita', in collaborazione con l'Istituto per le ricerche
sulle onde elettromagnetiche del C.N.R. e il Servizio Sanitario delle FF.
SS. (Baroncelli ed al., 1985;1986). In questo studio si esamino' lo stato
di salute di 627 lavoratori di sottostazioni delle FF. SS. e non si
osservarono differenze significative tra gli esposti a campi E.L.F. e il
gruppo di riferimento per quanto riguarda una serie di esami mirati
relativi a disturbi del sistema nervoso, del sistema cardiovascolare e ad
alterazioni ematologiche (cfr. rapporto I.S.T.I.S.A.N., 1989, all. 14, pag.
42).

Si osserva, altresi', che nel rapporto I.S.T.I.S.A.N. 1998 (all. n. 15) si
da atto anche dell'esame degli studi sull'associazione dei campi E.L.F.
alle malattie neurodegenerative e si afferma che: "sono stati esaminati
studi relativi ai rischi di malattia del motoneurone, di demenza di
Alzheimer e di morbo di Parkinson" anche se "le evidenze epidemiologiche
sull'associazione tra queste patologie e l'esposizione ai campi magnetici a
50/60 Hz hanno carattere preliminare e una valutazione definitiva e' per
ora prematura".

L'anno 1997, in particolare, e' stato un anno importante per i risultati
raggiunti nello studio della sintomatologia soggettiva; soprattutto della
sintomatologia a carico del sistema nervoso.

Di notevole interesse e' il documento di quell'anno della Commissione
dell'Unione Europea (Possible healt implications of subjective symptoms and
electromagnetic fields, - all. n. 16), che e' un rapporto preparato da un
gruppo di esperti, di diversi paesi europei, fra cui il prof. Paolo La
Vecchia dell'Istituto Superiore di Sanita', oggi consulente tecnico degli
imputati.

A pag. 32 del documento viene indicato come trattare gli individui che
dichiarano di avere ipersensibilita' elettromagnetica, sintomatologia
soggettiva che la cultura scientifica europea considera come condizione
reale nel senso che molti soggetti colpiti soffrono realmente ed alcuni in
modo grave.

Lo stesso documento conclude peraltro sul punto che il nesso di causalita'
non e' per ora stabilito con certezza. Come dire che il fenomeno esiste
realmente ma non ha causazione certa.

Altre qualificate ricerche in materia sono state svolte in Svezia, U.S.A.,
Canada e Francia, e anche la valutazione dell'insieme di queste ricerche,
concordi sulla reale esistenza del fenomeno, non ha trovato gli studiosi
concordi sul probabile meccanismo biologico d'azione dei campi magnetici.

Occorre tuttavia dare il giusto rilievo ad una valutazione del collegio
peritale di un documento di Radioprotezione svedese, firmato anche da
quattro Enti nazionali, dal titolo "Campi elettromagnetici a bassa
frequenza, il principio cautelativo", che trova sostanzialmente concorde il
consulente tecnico La Vecchia (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 131-134).

Il cardine di questo documento e' che, pur fatte salve le incertezze sulla
causalita', si deve fare ogni sforzo per ridurre i campi elettromagnetici,
mentre la pagina piu' importante e' proprio quella dedicata alla sindrome
di ipersensibilita' elettrica in cui si afferma che la discussione e'
aperta e che e' necessaria ulteriore ricerca.

Ritornando al documento della Commissione dell'Unione Europea (all. n. 16),
la parte del lavoro di maggiore pregio e' quella relativa alle conclusioni
ove viene data una spiegazione logico-scientifica dell'incertezza
evidenziando come la stessa sia da attribuirsi in prevalenza alla superata
e non piu' adeguata metodologia usata negli studi precedenti. Metodologia
che, come meglio si chiarira' piu' avanti, prevede un piu' corretto
approccio al problema mediante il ricorso al criterio osservazionale
piuttosto che a quello sperimentale.

Dopo qualche mese dalla pubblicazione di tale documento, a riprova di
quanto sia importante insistere nelle ricerche, in un convegno
internazionale sull'elettrobiomagnetismo in Bologna, e' stato presentato un
nuovo studio di ricercatori neozelandesi riferito specificamente agli
effetti psicologici dell'esposizione cronica a campi elettromagnetici a 50
Hz in persone che abitano in vicinanza di linee ad alta tensione
(Psychological Effects of Chronic Exposure to 50 Hz Magnetic Fields in
Humans Living Near Extra-High-Voltage Transmission Lines, pubblicato sulla
rivista Bioeletromagnetics, 1997, che e' la rivista scientifica
internazionale del settore piu' accreditata - all. n. 17).

Lo studio ha preso in esame una tipologia di abitazioni situate in
prossimita' di linee ad alta tensione nell'area metropolitana di Aukcland
con esposizioni 0,1 a 2 microtesla. Le 540 persone, ovviamente abitanti in
case diversificate come livello di esposizione, sono state sottoposte a
test ed invitati a rispondere a questionari e i risultati sono stati
valutati coerenti con un effetto diretto dell'esposizione cronica a campo
magnetico a 50 Hz sul sistema nervoso.

L'ultima valutazione scientifica, percio', non da' solo contezza
dell'esistenza reale dei fenomeni ma riduce le incertezze sull'associazione
dei disturbi all'esposizione e, quindi, sulla sussistenza del nesso di
causalita' che andra' vagliata in concreto non piu' in termini di semplice
possibilita' bensi' di probabilita'.

Tale valutazione e', invero, contestata (trasc. ud. 22.11.96, pag. 60) dal
consulente tecnico La Vecchia (che pur aveva contribuito a redigere il
documento della Commissione Europea - all. n. 16) per il quale, viceversa,
allo stato attuale delle conoscenze non puo' sostenersi che l'esposizione
ai campi elettrici e magnetici ad alta frequenza sia un rischio per la
salute umana (affermazione contenuta a pag. 185 del documento ufficiale
National Research Council, della National Academy of Scienze, 1996,
commissionato dal Congresso e finanziato dal Governo degli U.S.A., che
include tra i soggetti che lo hanno approvato i maggiori esperti nel
settore tra cui David Saviz, noto studioso dei possibili rischi associati
ai campi elettromagnetici- all. n. 18) e, per cio' che riguarda gli altri
possibili effetti, non vi e' convincente evidenza di avversi effetti
neurocomportamentali in associazione con l'esposizione (pag.186, stesso
documento).

La traduzione dell'intero periodo da cui il consulente La Vecchia ha
estrapolato la prima fase (traduzione del perito Comba non contestata dal
La Vecchia, pag.67, trascr. ud. 22.11.96) e' la seguente:

"Il corpo dell'evidenza, nell'opinione del comitato, non ha dimostrato che
l'esposizione ai campi elettrici e magnetici delle linee ad alta tensione
sia un pericolo per la salute umana. Tuttavia alcuni dati epidemiologici
corroborano un'associazione fra misure indirette del campo magnetico ed un
aumentato rischio di leucemie infantili. Ulteriori ricerche per comprendere
i vari modi di misurare l'esposizione e la loro possibile associazione con
effetti avversi negli uomini, cioe' nelle popolazioni umane, e nei modelli
sono necessarie per risolvere questa incertezza".

Appare di tutta evidenza come il La Vecchia abbia maliziosamente dato
lettura parziale della citazione, omettendo quella relativa alle due frasi
successive (quelle sottolineate), stravolgendo cosi' il pensiero di quei
ricercatori i quali non esternano affatto certezze sull'insussistenza del
nesso di causalita' ed anzi concludono con la necessita di intensificare le
ricerche.

E quando piu' scienziati concordano sulla necessita' di intensificare le
ricerche di regola vuol significare che sussistono concreti elementi di
riscontro, anche se non ancora sufficienti per l'affermazione della
certezza scientifica

Sulla seconda frase, che inerisce al giudizio sulle cefalee, appare
chiarificatrice l'osservazione del perito Comba allorche' evidenzia la
valenza parziale della relativa conclusione atteso che in quella ricerca
gli scienziati americani hanno selezionato solo gli studi che avevano un
certo livello di qualita' e alla fine si sono limitati a dire che i
risultati non avevano coerenza perche' i dati positivi e i dati negativi
raccolti non offrivano una coerenza dell'insieme.

Ritornando alle valutazioni del collegio peritale va evidenziato come i
periti, nella consapevolezza che l'indagine sul fenomeno cefalea puo'
essere condizionata dalla metodologia del ricercatore, nel senso che questi
puo' fortemente influenzare il risultato e piu' precisamente puo' portare
ad una sottostima ovvero ad una sovrastima del rischio, nello specifico
abbiano utilizzato un metodo che porta alla sottostima piuttosto che alla
sovrastima del fenomeno.

- Profili medico-legali

L'esame peritale sulle quindici persone esposte al campo magnetico prodotto
dall'elettrodotto Forli'-Fano evidenzia, rispetto alla patologia, due casi
di neoplasia della mammella, due di pace-maker e undici di sindromi
cefalgiche.

Escluso il nesso di causalita', anche alla luce della piu' recente
letteratura, tra la neoplasia della mammella e l'esposizione al campo
magnetico, ed evidenziata la possibile interferenza dell'esposizione sulla
sintomatologia lamentata dai soggetti portatori di pace-maker (e' notorio
che questi non devono sostare ne' transitare in prossimita' di
elettrodotti), rimangono gli undici casi di accertata sindrome cefalgica.

Affermano i periti che, tenendo conto del valore dell'esposizione
all'azione del campo magnetico e alla luce dell'amplissima letteratura
sull'argomento, in nove delle sindromi accertate esiste, seppure senza
certezza assoluta, la ragionevole possibilita' che il campo magnetico
rivesta valore eziologico quale causa unica ed efficace, o quantomeno quale
concausa.

Tra i nove casi richiamati rientrano quelli delle parti civili Giovagnoli
Raffaele e Siliquini Luigi in relazione ai quali le conclusioni peritali
sono state dianzi riportate.

Il perito dott. Olivieri riferisce (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 23 e segg.)
che la dizione sindrome (con cui di solito in patologia si intende definire
un insieme di sintomi che danno luogo ad un quadro patologico) e' stata
utilizzata dal collegio peritale per definire un quadro sintomatico, quello
dei nove periziati, che si presentava piuttosto vario e raccontato in
maniera diversa da paziente a paziente che pero' andava a finire in un
quadro simile.

Sui casi di Giovagnoli e Siliquini, in particolare, la sindrome cefalgica
lamentata e accertata va collegata ai tempi di prolungata esposizione al
campo magnetico (l'abitazione del primo dista 30 metri e quella del secondo
18 metri dalla linea elettrica ed entrambi coltivatori diretti lavorano
terreni agricoli attraversati dalla linea stessa).

Nel verificare la sussistenza del rapporto di causalita' utilizzando i
criteri propri dell'indagine medico-legale, il collegio peritale ritiene
che tali sindromi cefalgiche (trascr. ud. 22.11.1996, pagg. 124 e segg.):

* possono essere etichettate come lesioni, intese come alterazioni,
temporanee o meno, delle integrazioni psicofisiche dei soggetti esaminati;

* non possono essere riferite, nel rispetto dei criteri cronologico (la
sindrome e' comparsa in tutti i casi successivamente all'attivazione),
dell'efficienza, della causa lesiva, perlomeno di alta probabilita', e
sulla scorta degli esami eseguiti, ad altra causa patologica;

* trovano riscontro nella letteratura scientifica come patologie
compatibili con l'esposizione a campi elettromagnetici.

Il dubbio sollevato dalla difesa sul nesso eziologico relativo al caso
Siliquini (soggetto portatore di artrosi cervicale, patologia compatibile
con le lamentate vertigini e cefalee) e' risolto dai periti Olivieri e
Ravaioli i quali non negano la compatibilita' ma precisano che in una scala
di probabilita' come causalita' della sindrome cefalgico-vertiginosa al
primo posto va collocata l'esposizione al campo magnetico che non l'artrosi
cervicale (trascr. ud. 22.11.96, pagg.36 e segg.).

Appaiono del pari esaurienti i chiarimenti del perito sulle contestazioni
del consulente Pira che, quanto alle conclusioni peritali, evidenzia come
in alcuni testi specialistici sia scritto che "la cefalea spesso e' il
prevalente e unico sintomo dell'artrosi cervicale e che la vertigine - nel
caso di artrosi cervicale - e' un fenomeno che compare praticamente in
maniera non continua ma regolare, ad intervalli, e dipende da una serie di
situazioni, quali i movimenti forzati del rachide e da una particolare
sollecitazione"; e quanto al criterio cronologico perche' "in esso gli
elementi da valutare, a dire del Cazzaniga che e' l'autore citato dagli
stessi periti, sono quelli diretti, cioe' obiettivabili, e non quelli
indiretti, cioe' non obiettivabili".

Sulla prima contestazione, infatti, il perito Olivieri rileva l'inesattezza
dell'asserita inconfutabilita' dell'elemento prospettato, osservando che
esistono dei soggetti con artrosi radiologicamente poco evidenti, con poche
modificazioni, che sono violentemente cefalgiche e danno luogo a cefalee
muscolo tensive importanti, associate a vertigini, e quadri di gravi o
gravissime alterazioni morfologiche non sintomatiche per cui il menzionato
parere espresso nei testi specialistici non puo' essere elevato a regola
certa.

Sul criterio cronologico il perito, dopo aver difeso la precisione e la
correttezza della metodologia medico-legale del collegio, nel senso che
l'analisi e' avvenuta in cieco eseguendo prima le visite mediche e poi
sposando i relativi dati con gli esiti delle misure, spiega che in perizia
non risultano indicati elementi obiettivabili unicamente perche' non ne
sono stati acquisiti ed e' proprio questa penuria che non consente una
diagnosi di assoluta certezza.

La correttezza della metodologia trova conforto nella deposizione del
perito Comba che, riferendosi al caso Siliquini, specifica come il collegio
abbia tenuto anche conto: della distanza della casa del periziato (18 metri
dalla linea, e quindi addirittura all'interno dei 28 metri previsti
dall'ordinamento); della posizione della sua camera da letto che e' la piu'
vicina all'elettrodotto; del fatto che svolge il suo lavoro nel terreno
attraversato dalla linea elettrica e della circostanza (non trascurabile)
che i disturbi, iniziati dopo l'attivazione dell'elettrodotto, scompaiono
se ha la possibilita' di trattenersi per qualche ora su altro terreno o in
altra casa.

Non meno pregevole e' il responso del perito Comba sull'invocata
discutibilita' dell'esame in cieco utilizzato dal collegio che, a dire del
consulente Pira, sarebbe viziato, da un punto di vista epidemiologico dalla
cosiddetta eco-distorsione, in un caso come quello di specie che vede i
querelanti lamentare una patologia collegata al fatto di abitare e lavorare
in prossimita' dell'elettrodotto.

Il perito, dopo aver osservato come con il termine eco-distorsione si suole
indicare la distorsione indotta dal ricordo, dalla memoria; un ricordo
differenziato nel senso che chi e' consapevole di un qualcosa ricorda anche
i particolari e chi non ha questa consapevolezza non li ricorda, prospetta
le seguenti considerazioni di risposta (tracr. ud. 22.11.96, pagg. 97-102):

* "La prima e' che coloro che hanno formulato l'esposto sono un campione
distorto della popolazione ossia sono coloro che al tempo stesso ritengono
di avere un problema sanitario, lo collegano all'esposizione e
intraprendono una qualche azione. Invero noi non abbiamo fatto, perche' non
ci e' stata chiesta, un'indagine epidemiologica perche' altrimenti avremmo
seguito la logica di partire dalla popolazione vale a dire avremmo misurato
il campo magnetico in tutte le case della zona.

* La seconda e' che noi abbiamo valutato un gruppo di persone e lo studio,
che puo' essere definito intermedio tra quello epidemiologico della
popolazione e quello del caso singolo, anche se per tanti versi
insoddisfacente, non puo' essere sic et simpliciter azzerato perche' i dati
raccolti sono reali, i fenomeni esistono".

"Sempre a proposito dell'osservazione di Pira", aggiunge Comba, "credo che
dobbiamo aggiungere una variabile che chiamerei socio-culturale. Nella mia
qualita' di ricercatore dell'Istituto Superiore della Sanita' ho potuto
constatare come nelle fasce di popolazione che vivono in ambienti rurali ci
sia un atteggiamento a sollevare un problema sanitario, ad andare da un
medico, quando il problema diventa notevole. Quindi sottolineo che queste
cefalee associate a questi altri sintomi che compaiono in delle fasce di
popolazione per le quali il ricorso al servizio sanitario non e' una cosa
continua, facile e quotidiana che si fa a cuor leggero ma e' un atto che
scatta quando il livello di sofferenza individuale ha raggiunto dei livelli
abbastanza alti, questo fatto, questa osservazione, che non e' limitata
solo a questa situazione ma anche ad altre delle quali io mi sono occupato
per il mio lavoro istituzionale, concorrono a dare anche a me che non sono
un clinico e che non ho fatto le visite mediche su queste persone, un
elemento di attenzione alla credibilita' del sintomo e, come e' riportato
in questi casi, all'ascolto di questo dato soggettivo".

Il dubbio sollevato dalla difesa sul nesso eziologico relativo al caso
Giovagnoli (soggetto affetto da ipertensione arteriosa, patologia
compatibile con la cefalea e il nervosismo) e' risolto dai periti Olivieri
e Ravaioli i quali, pur non escludendo anche un rapporto con ipertensione
arteriosa, precisano come in una scala di valori di probabilita' vada
collocata al primo posto l'esposizione al campo magnetico (trascr. ud.
22.11.96, pagg.36 e segg.).

Puntuale appare, altresi', la risposta del perito Olivieri alle
contestazioni del consulente Pira che giudica le conclusioni peritali
incompatibili con l'anamnesi patologica remota la quale evidenzia come il
Giovagnoli gia' 15 anni prima di essere periziato fosse affetto da
ipertensione arteriosa.

Osserva, infatti, Olivieri che "l'ipertensione arteriosa venne riscontrata
al Giovagnoli quando aveva 25 anni e che di solito un fatto ipertensivo a
quell'eta' giovanile non poggia su alterazioni morfologiche o patologiche
particolari tant'e' che si parla di ipertensione arteriosa essenziale. La
diagnosi del collegio peritale di modesta ipertensione arteriosa, fonda:

* sul valore di pressione massima piuttosto elevato (170) con una minima,
pero', pressoche' normale;

* sul tracciato elettrocardiografico che non presentava alcuna variazione,
mentre in casi di ipertensione degna di certo interesse e che duri da un
certo periodo di tempo, come poteva essere nel caso del Giovagnoli, avrebbe
dovuto denunciare un'ipertrofia ventricolare sinistra".

Senza ignorare, aggiunge il giudicante, che, come gia' evidenziato
trattando dell'evento, le patologie pregresse di Siliquini e Giovagnoli
sono state spontaneamente riferite dagli stessi.

Merita particolare attenzione la risposta del perito Comba alla prospettata
incongruenza tra la certezza manifestata dal collegio peritale sulla
prevedibilita' dell'evento (risposta al quesito n. 6) e il dubbio della
scienza sulla sussistenza del nesso eziologico emerso in dibattimento.

Osserva sul punto il perito:

"Nelle patologie ambientali due sono i paradigmi di indagine universalmente
accettati:

1) Classificazione della patologia su causa eziologica o monofattoriale per
la quale vige un modello deterministico tra causa ed effetto che e' analogo
al modello usato nello studio delle malattie trasmissibili ove scoperto il
bacillo si sa che dara' sempre e solo quella malattia;

2) Classificazione delle patologie dal punto di vista nosologico che hanno
una diffusione nella popolazione comune e che possono in certi gruppi di
soggetti che stanno in un ambiente particolare vedere accresciuta la loro
frequenza.

Per la seconda classificazione, nella quale rientrano le cause inquinanti
ambientali, di radiazioni elettromagnetiche ecc., il paradigma ideale della
dimostrazione del nesso di causalita' e' quello della sperimentazione come
avviene per i farmaci: l'efficacia di un nuovo farmaco rispetto al
precedente e' dimostrata quando, azzerate tutte le variabili di disturbo,
le persone trattate con il nuovo farmaco stanno meglio.

Lo studio su popolazioni umane esposte ad agenti ambientali non e'
sperimentale ma osservazionale e le regole di questo criterio per valutare
la causalita' comportano la valutazione della significativita' statistica
che non vuole significare criterio solo statistico ma criterio di
valutazione di causalita' come risulta da studi epidemiologici non
sperimentali.

Il criterio osservazionale consente di constatare le eventuali
modificazioni delle situazioni preesistenti dopo avere sottoposto un
soggetto ad esposizione a campo elettromagnetico per un certo periodo. Se
l'osservazione evidenzia una modifica non attribuibile ad altri fattori,
non puo' disconoscersi adeguata fondatezza all'affermazione della
sussistenza di un nesso di causalita'".

Come dire che sotto il profilo medico-legale e' ipotizzabile la ragionevole
probabilita' che l'esposizione a campo elettromagnetico sia causa unica ed
efficace o quanto meno concausa delle patologie del tipo di quelle
lamentate dai querelanti Siliquini e Giovagnoli.

Quanto all'effettiva sussistenza di tale probabilita' osserva il giudicante
che i pur ragionevoli dubbi iniziali possano ritenersi dissolti all'esito
dell'ampia e puntuale istruttoria dibattimentale e in particolare dalle
condivisibili valutazioni medico-legali dei periti la cui capacita' e'
notoria anche in campo internazionale ed il cui palese disinteresse,
rispetto al pur comprensibile coinvolgimento dei tecnici di parte, e'
garanzia non solo di obiettivita' ma anche di credibilita'.

Quanto al contrasto tra le valutazioni dei periti e quelle dei consulenti
tecnici, dei quali comunque non si pongono in discussione capacita' e
competenza, il giudicante segnala l'indirizzo del Supremo Collegio che sul
punto afferma: "In tema di valutazione delle risultanze peritali, quando le
conclusioni del perito d'ufficio non siano condivise da consulenti di
parte, ed il giudice ritenga di aderire alle prime, non dovra' per cio'
necessariamente fornire, in motivazione la dimostrazione autonoma della
loro esattezza scientifica e della erroneita', per converso, delle altre,
dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere
comunque criticamente valutato le conclusioni del perito d'ufficio, senza
ignorare le argomentazioni dei consulenti. Cio' avuto anche riguardo alla
diversa posizione processuale dei consulenti di parte rispetto ai periti,
essendo i primi, a differenza degli altri, chiamati a prestare la loro
opera nel solo interesse della parte che li ha nominati, senza assunzione,
quindi, dell'impegno di obiettivita' previsto per i soli periti. (Cass,
Sez. I, 22.01.1993, n. 11706).

Pur prescindendo dall'indubbia incidenza di tale diversa posizione
processuale sull'adesione del giudicante, la metodologia utilizzata dai
periti appare piu' apprezzabile per l'ampiezza delle fonti utilizzate ed il
piu' incisivo senso critico dei temi sviluppati.

Il riscontro e' nella parte dell'esame dei periti in contraddittorio con i
consulenti (trascr. ud. 22.11.96, pagg. 74 e segg.).

Mentre i consulenti fondano le loro valutazioni sull'assenza dell'espressa
previsione nei testi di medicina della sintomatologia lamentata da
Giovagnoli e Siliquini, i periti si ispirano anche alla letteratura
scientifica.

La differenza e' di rilievo perche' la scienza e' in continua evoluzione e
il frutto delle ricerche trova piu' immediato spazio nei convegni e nelle
riviste scientifiche consentendo un piu' rapido aggiornamento rispetto ai
testi.

La correttezza della metodologia medico-legale del collegio peritale e le
conclusioni sulla probabile sussistenza del nesso causale in presenza di
una sintomatologia pur priva di elementi obiettivabili trova, peraltro,
riscontro nel citato documento (n. 8) della Commissione dell'Unione
Europea, in cui si da atto che la piu' aggiornata cultura scientifica
europea considera la sintomatologia soggettiva una condizione reale, e
nella piu' recente ricerca scientifica, quella dei neozelandesi di cui si
e' gia' detto (all. n. 17), che riconosce tale condizione e valuta i
risultati degli studi coerenti con un effetto diretto dell'esposizione
cronica a campo magnetico a 50 Hz sul sistema nervoso.

Non ignora il giudicante che la copiosa giurisprudenza ha quasi sempre
negato l'azione causale degli effetti derivanti dall'esposizione ai campi
E.L.F. sulla salute umana, ma osserva che tutte le pronunce negative sono
fondate sul presupposto dell'incertezza scientifica; incertezza non
condivisibile in quanto l'assenza di certezze negative, espressa come
conseguenza della valutazione sulla nocivita' degli indizi, non e' un
parametro equivalente all'assenza di rischio, che sussiste solo quando gli
indizi stessi non si ravvisano affatto.

Il nesso di causalita' puo' essere, quindi, escluso solo quando gli esiti
delle ricerche, inizialmente d'incertezza come all'epoca della costruzione
ed attivazione dell'elettrodotto, successivamente neghino scientificamente
il rischio dell'evento e non quando la scienza, anche se con giudizio
postumo, abbandona l'incertezza e riconosce, come nel caso di specie, la
ragionevole probabilita' di un danno alla salute da esposizione a campi
E.L.F..

E forse quei giudici se fossero chiamati oggi a decidere le stesse
questioni di allora e motivassero le decisioni, oggi come allora, in base
alle conoscenze scientifiche pregresse ed attuali rispetto ai singoli
provvedimenti, il verdetto verosimilmente sarebbe diverso.

Si cita ad es. la Sentenza del Tribunale di Torino 6 novembre 1993,
prodotta dalla difesa (all. n. 19), nella quale il giudice, facendo propria
la riflessione di un consulente, afferma che la dimostrazione di un nesso
causale tra esposizione di persone a campi elettromagnetici ed effetti
dannosi per la salute, non sufficientemente evidente, e demanda a studi
futuri che esplorino questa ipotesi, auspicando la programmazione di studi
in grado di testare le ipotesi di quelli attuali.

Ancora una consulenza tecnica del Tribunale di Milano che, riferisce la
difesa, in una causa recente, del 5 marzo 1997, esclude nel modo piu'
radicale attraverso il riferimento ad un'infinita' di studi, che sia
statisticamente significativo che i sintomi depressivi per la cefalea e per
l'emicrania possano essere causati dalla prossimita' dei campi magnetici.

Osserva il giudicante che anche in questo caso l'infinita' degli studi di
riferimento sono precedenti al 1997 tant'e' che il giudizio di quel tecnico
e' fondato sul superato criterio statistico e non sulla valutazione della
significativita' statistica e del criterio osservazionale di cui si e' gia'
detto.

Dimostrata la ragionevole probabilita' dal punto di vista medico-legale
(col beneplacito della scienza) che la sintomatologia lamentata dalle parti
civili Siliquini e Giovagnoli sia conseguenza in tutto o in parte
dell'esposizione ai campi magnetici dell'elettrodotto Forli'-Fano, occorre
stabilire se tale probabilita' sia sufficiente per il nostro ordinamento
giuridico ad integrare un rapporto causale penale e piu' precisamente il
nesso eziologico del delitto di lesioni colpose.

L'art. 40 cod. pen. richiede esplicitamente che l'evento da cui dipende
l'esistenza del reato sia conseguenza dell'azione od omissione criminosa.

La lettera della disposizione parrebbe non offrire spazi a criteri diversi
da quello della certezza: la responsabilita' penale, secondo
un'interpretazione letterale dell'art. 40, puo' essere affermata solo se
v'e' certezza sul nesso di causalita'.

Tuttavia la giurisprudenza, sia di merito che di legittimita', e' stata
caratterizzata negli ultimi anni, in armonia con il progresso tecnologico e
scientifico, da un orientamento tendenzialmente piu' rigoroso,
particolarmente in tema di responsabilita' professionale del medico, ma non
solo, tanto che oggi l'orientamento prevalente e' per riconosce
legittimazione anche al criterio della probabilita'.

Il principio che ha ispirato il passaggio dal criterio della certezza a
quello della probabilita' in tema di responsabilita' professionale medica,
che ha tracciato il solco della svolta, e' che la vita umana e' un bene
primario che va salvaguardato sopra ogni cosa e ad ogni costo. Ed il bene
primario della vita va salvaguardato sia che riguardi un paziente, che e'
costretto a rivolgersi ad un sanitario, sia che riguardi un cittadino
costretto a vivere sotto un traliccio.

Gia' nel 1987 la Suprema Corte di Cassazione (Sez. IV, sent. 11243 del
2.11.1987) aveva affermato che "nell'ambito del diritto penale, in
considerazione del fine di repressione che l'ordinamento persegue, la
prova, anche in tema di rapporto di causalita' materiale, non puo' essere
identificata esclusivamente in un dato di certezza scientifica fondato
sulla regolarita' senza eccezioni nella successione di determinati
fenomeni. In molti casi, soprattutto nel settore della medicina e della
biologia, in assenza di leggi scientifiche, debbono considerarsi validi e
sufficienti, al fine dell'indagine causale, anche i risultati di
generalizzazione del senso comune, fermo restando che e' doveroso, da parte
del giudice, orientare, laddove e fin dove e' possibile, l'indagine verso
una spiegazione statistica esplicativa dei fenomeni, in particolare di
quelli naturali".

Ma la sentenza che piu' di ogni altra ha inciso sulla svolta e' quella
relativa al noto crollo dei bacini di Stava (Cass. Pen., Sez. IV, sent.
4793 del 29.04.91) in cui, oltre a ribadire la legittimazione del criterio
della probabilita', il Supremo Collegio afferma anche che l'unico limite al
riconoscimento del probabile nesso di condizionamento tra azione ed evento
e' rappresentato dalla presenza di un diverso ragionevole processo causale.

Come dire che in assenza di diverso processo causale la ragionevole
probabilita' e' assimilabile alla ragionevole certezza.

Esattamente come nei casi di Siliquini e Giovagnoli per i quali le
conclusioni del collegio peritale, ratificate dall'istruttoria
dibattimentale, sono di non riferibilita' delle patologie, accertate come
probabili conseguenze dell'esposizione ai campi magnetici, ad altra causa
patologica.

Elemento soggettivo

Gli odierni imputati sono accusati di avere in cooperazione cagionato le
lesioni mediante la progettazione, costruzione ed attivazione
dell'elettrodotto Forli'-Fano a 380 KV con negligenza e imprudenza.

L'esito dell'istruttoria dibattimentale consente di aderire alla concorde
richiesta delle parti di assoluzione degli imputati Cerioli Italo, Brugna
Ermanno, Silvestri Claudio e Gislimberti Giuliano per difetto dell'elemento
psicologico in quanto meri esecutori, a vario titolo, dei lavori in base ad
un progetto predisposto dall'E.N.E.L.

Rimane, dunque, da valutare l'elemento psicologico limitatamente all'accusa
di colpa generica rivolta all'imputato Balli Sergio.

Sostiene la difesa che in presenza di una tipizzazione con legge
dell'evento, come nel caso di specie attraverso il D.P.C.M. del 23.04.1992,
l'osservanza della legge esclude la possibilita' di contestare la colpa
specifica ed inoltre non da' spazio per un'impostazione di colpa generica.

Come dire che l'accusa correttamente non ha contestato la colpa specifica,
unica ipotizzabile, in quanto l'E.N.E.L. ha rispettato la legge vigente, ma
avrebbe errato a contestare la colpa generica, non ipotizzabile in presenza
di precise disposizioni normative di copertura.

Sulla diversa impostazione incide principalmente la palese diversa
valutazione della natura del reato: istantaneo ad effetti permanenti per
l'accusa; permanente, ove ipotizzabile, per la difesa.

L'assunto difensivo in punto all'assenza di spazio per l'impostazione di
colpa generica non appare condivisibile.

Osserva innanzi tutto il giudicante che l'art. 5 del D.P.C.M. del
23.04.1992, fissa la distanza minima di rispetto dagli elettrodotti a 380
KV in 28 metri mentre l'abitazione del Siliquini dista 18 metri dalla linea
elettrica e, quindi, seguendo le argomentazioni della difesa, almeno
relativamente a questo caso, risulta superato il limite legale.

Tuttavia l'addebito mosso agli imputati e' di sola colpa generica perche'
l'elettrodotto risulta attivato in data 27.07.1991 (quindi prima del
decreto aprile 92 e verosimile ragione di mancata contestazione di colpa
specifica per il principio tempus regit actum), e non, come sostiene la
difesa, perche' i limiti legali furono abbondantemente rispettati.

Ne deriva che il Pubblico Ministero ha ben ritenuto non applicabile al caso
di specie l'invocato principio giurisprudenziale, secondo cui in presenza
di norme a tutela di una precisata situazione di pericolo non vi sia spazio
per la contestazione ulteriore di una colpa generica, per il semplice
motivo che all'epoca della costruzione ed attivazione dell'elettrodotto non
esisteva alcuna normativa sanitaria diretta a tutelare la salute
dall'esposizione ai campi magnetici (il decreto 1991, come meglio si
chiarira' piu' avanti, non ha contenuto sanitario).

Osserva in ogni modo il giudicante che la sentenza di riferimento (Sez. IV,
16.10.1998, in cui si afferma che "fuori dell'ipotesi di osservanza di
specifiche disposizioni normative, possono ascriversi a colpa solo quegli
eventi che, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto,
siano prevedibili dal soggetto al momento della realizzazione della sua
condotta"), circoscrive il criterio alla materia della prevenzione
d'infortuni (dunque di una particolare colpa specifica) e limitatamente
alle ipotesi di evenienze assolutamente improbabili ed eccezionali in base
alla comune esperienza.

Parimenti va valutata la sentenza del Tribunale Penale di Brescia in data 6
novembre 1990 (all. n. 20), che tratta di un evento legato specificamente
all'esatta osservanza della normativa tecnica sulle costruzioni e
l'esercizio di linee aeree esterne (Legge 13 dicembre 1964, n. 1341 -
D.P.R. 21 giugno 1968, n. 1062).

Ad ogni buon fine, e quindi a prescindere anche dalla risoluzione della
questione relativa alla natura del reato, di cui si trattera' piu' avanti,
la colpa specifica, che, peraltro, ben puo' concorrere con la colpa
generica, non e' nel nostro caso ipotizzabile perche':

* la legge vigente (D.P.C.M. aprile 92) non disciplina espressamente le
ipotesi di esposizione a lungo termine tant'e' che, come evidenziato
trattando della normativa, l'art. 4 fissa valori-soglia limitatamente agli
effetti sanitari da esposizione acuta, mentre i casi Siliquini e Giovagnoli
ineriscono ad ipotesi di esposizione cronica;

* la ratio della disposizione sulle distanze, come gia' evidenziato sempre
trattando della normativa, mira alla tutela dell'ambiente e non della
salute.

A proposito di tale diagnosi sulla ratio, e' opportuno evidenziare che il
presidente Testa all'udienza del 6 ottobre 1997 (trascr. pag. 62), dopo
aver puntualizzato che il presidente ha poteri di indirizzo, afferma
testualmente: "La legge italiana e' nata da un compromesso, per cui da una
parte si e' previsto un limite e dall'altra una distanza che non coincide
con il limite; anche se la legge ha una sua ratio ma non e' di tipo
sanitario. Noi stiamo facendo il piano di risanamento e questo piano viene
verificato con il Ministero dell'Ambiente e con il Ministero dell'Industria
negli accordi che abbiamo con questi Ministeri". Ed a precisa domanda del
giudicante, volta a conoscere se in questi accordi fosse coinvolto anche il
Ministero della Sanita', risponde: "No, il Ministero della Sanita' non ha
competenze in questo campo".

Come dire che la diagnosi e' condivisa anche dalla dirigenza dell'E.N.E.L.
e, quindi, l'imputato Balli erra quando indica il D.P.C.M. aprile 1992 come
norma di copertura sanitaria.

Ma pur volendo accreditare all'art. 5 contenuti e finalita' idonee a
scongiurare l'evidenziato vuoto legislativo, e' parere del giudicante che
anche l'interpretazione della norma non e' di conforto alla tesi della
difesa.

L'espressa disposizione dell'art. 5 del decreto sulla distanza tra le
abitazioni e qualunque conduttore degli elettrodotti a 380 KV, che deve
essere uguale o maggiore di 28 metri, non puo', infatti, costituire norma
di copertura perche' la distanza di 28 metri, peraltro violata in relazione
al caso Siliquini, e' indicata come distanza minima di sicurezza, ma
variabile, e non puo' rappresentare, proprio per l'incertezza in re ipsa,
un limite il cui rispetto esclude l'antigiuridicita' della condotta ovvero
l'elemento psicologico del reato. La disposizione, invero, appare
incompleta perche' non precisa in quali casi il costruttore deve - non puo'
- adottare una distanza maggiore di 28 metri ma e' comunque da escludere,
perche' contraria a ogni principio di certezza del diritto,
l'interpretazione che il legislatore abbia inteso demandare l'attuazione
del disposto normativo all'arbitrio del costruttore.

Sicche', volendo ipotizzare una finalita' di prevenzione sanitaria della
norma, l'unica interpretazione possibile sarebbe quella logica che lascia
al costruttore di valutare l'opportunita' di adottare una misura superiore
a quella di 28 metri tutte le volte che quella misura, in base alle
indicazioni della cultura scientifica, non garantisca sufficiente tutela
della salute delle popolazioni.

Ne consegue che la contestazione di colpa generica come prospettata dal
Pubblico Ministero e' giuridicamente ineccepibile.

Non e' parimenti condivisibile l'altro rilievo della difesa sul difetto
dell'elemento psicologico per l'assenza di prevedibilita' dell'evento.

La migliore dottrina e la piu' recente giurisprudenza concordano nel
ritenere che la colpa penale generica nasce sempre e solo dall'inosservanza
di norme sancite dagli usi allo scopo di prevenire eventi dannosi. Elemento
costitutivo della colpa penale generica e', dunque, la semplice condotta
dell'agente contraria alla normale prudenza o improntata a negligenza o
imperizia.

"E la normale prudenza non e' tale in ragione della maggiore o minore
prevedibilita' dell'evento, ma in ragione di quel comportamento che tutti
gli uomini devono tenere in determinate circostanze di tempo e di luogo,
per evitare la lesione di diritti altrui" (Cass. IV, 30.05.1991, n. 5839).

"La prevedibilita' dell'evento nei reati colposi", afferma ancora la
Suprema Corte di Cassazione, "altro non e' che la possibilita' per l'uomo
coscienzioso ed avveduto - homo eiusdem professionis et condicionis - di
cogliere che un certo evento e' legato alla violazione di un determinato
dovere oggettivo di diligenza, che un certo evento, cioe', e' evitabile
adottando determinate regole di diligenza (Cass. Sez. IV, 29.04.1991, n.
4793).

Come dire che l'uomo coscienzioso ed avveduto versa in colpa ogni volta che
ha le possibilita' di cogliere ed evitare il pericolo con l'uso della
diligenza, e non solo nei casi di concreta rappresentazione dell'evento
dannoso.

Ancora il Supremo Collegio nella medesima sentenza: "Versa nella cosiddetta
colpa per assunzione colui che, non essendo all'altezza del compito
assunto, esegua un'opera senza farsi carico di munirsi di tutti i dati
tecnici necessari per dominarla, nel caso, ovviamente, che quell'opera
diventi fonte di danno anche a causa della mancata acquisizione di quei
dati o conoscenze specialistiche. L'agire come membro di un determinato
gruppo, o come portatore di un determinato ruolo sociale, comporta,
infatti, l'assunzione di responsabilita' di saper riconoscere ed affrontare
le situazioni ed i problemi inerenti a quel ruolo, secondo lo standard di
diligenza, di capacita', di conoscenze richieste per il corretto
svolgimento di quel ruolo stesso".

Sulla prevedibilita' degli eventi "de quibus" da parte dell'imputato Balli,
dirigente dell'E.N.E.L., appare allora quanto mai opportuno proporre la
risposta del collegio peritale al preciso quesito. I periti affermano:
"allo stato delle attuali conoscenze, gli eventi riguardanti entrambi i
periziati erano prevedibili".

Un'esauriente delucidazione dell'affermazione e' contenuta nella seguente
risposta del perito Comba alla domanda della difesa sul livello di
prevedibilita' degli eventi:

"Negli anni 1984-85 sono stato coautore dello studio Baroncelli che aveva
esaminato la presenza di certi sintomi nei lavoratori delle sottostazioni
elettriche, quindi all'epoca questa consapevolezza c'era nella comunita'
scientifica diffusamente e c'era anche nel mondo del lavoro, perche'
nell'indagine erano coinvolti i sindacati, e nell'opinione pubblica con
particolare riferimento ai movimenti ambientalisti tant'e' che gia' in
quegli anni il nostro istituto era stato invitato a lavorare sul problema
proprio per fornire le doverose risposte. Io non posso dire se questa
consapevolezza era diffusa a livello dell'E.N.E.L., lo dovra' dire
l'E.N.E.L.; pero' certamente noi con l'E.N.E.L. avevamo delle riunioni.
Certo se si tiene conto che in quegli anni nacque il grande progetto
E.N.E.L.-C.N.R. per finanziare, con un budget di molti miliardi, le
ricerche italiane sugli effetti dei campi elettrici e magnetici e che io
personalmente e gli altri dell'istituto venivamo consultati dai colleghi
del centro ricerche elettriche dell'E.N.E.L., allora la risposta e' si. La
consapevolezza c'era anche nell'E.N.E.L." (trascr. ud. 22.11.96, pagg.
46-47).

Una parziale ma significativa conferma si ricava dalle spontanee
dichiarazioni dell'imputato Balli che, all'udienza del 29 maggio 1998
(trascr., pag. 11), afferma: "Debbo dire francamente che negli anni della
costruzione mi trovavo ad ascoltare persone disperate ed erano giustificate
perche' allora l'allarme c'era".

Dunque la dirigenza dell'E.N.E.L. gia' prima delle manifestazioni cittadine
locali, dirette a sollecitare una scelta di percorso alternativo, conosceva
i rischi per la salute connessi all'eccessiva vicinanza dei conduttori alle
abitazioni ed ha, giusta l'osservazione dell'accusa pubblica, utilizzato il
D.M. 16 gennaio 1991 (aggiornamento delle norme tecniche) in maniera
ingannevole prospettandolo ai rivoltosi come una normativa di prevenzione
sanitaria.

Il riferimento al D.M. del 1991 e' l'occasione giusta per rispondere
all'ironico rilievo della difesa secondo cui manca tra gli imputati il
T.A.R. Emilia Romagna, responsabile di avere annullato l'ordinanza di
sospensione del Sindaco di Rimini.

Pur prescindendo dalla diversa finalita' della giurisdizione amministrativa
rispetto a quella penale, la motivazione della sentenza in questione non
appare condivisibile perche' fonda la decisione su due asserite certezze, a
parere di questo giudicante, a dir poco, opinabili.

Nella sentenza 21 maggio 1992, infatti, il T.A.R. afferma (all. n. 4, pagg.
12-14):

* "L'impugnata ordinanza del Sindaco di Rimini si basa sul parere espresso
dall'U.S.L. n. 40 la quale si limita ad un mero riferimento al contributo
dei proff. Maltoni e Soffritti, dell'Ufficio di Presidenza del Circondario
di Rimini, che sostiene la drastica riduzione dei limiti da esposizione ai
campi magnetici, cui non puo' attribuirsi il carattere di parametro
valutativo attendibile con riferimento all'ipotesi di specie per la mancata
correlazione con le considerazioni svolte dagli altri componenti la
Commissione stessa, in particolare con quelle operate dai dottori Rubino e
Stambazzi, evidenzianti la inattuale inesistenza (sic!) di un test sicuro
di cancerogenesi e correlativamente di un'incertezza del danno sanitario
serio per la popolazione da esposizione a lungo termine a campi
elettromagnetici".

* "E' da mettere in evidenza il contrasto del suddetto contributo dei
proff. Maltoni e Soffritti con le risultanze scientifiche sia a livello
internazionale che nazionale cui si e' informato lo stesso Decreto del
Ministro dei Lavori Pubblici, in data 16 gennaio 1991, avente ad oggetto
l'aggiornamento delle norme tecniche per la disciplina della costruzione e
dell'esercizio di linee elettriche aeree esterne".

Non e' condivisibile la prima affermazione (la sottolineata doppia
negazione e' verosimilmente un errore di battitura) in quanto non pare
ragionevole che si possa ipotizzare un danno per la salute solo se e'
serio; e sembra addirittura aberrante l'individuazione dell'unita' di
misura della serieta' del danno in un test sicuro di cangerogenesi.

La seconda affermazione non e' condivisibile sia perche' gia' all'epoca
buona parte della scienza ipotizzava il rischio per la salute, avendo
riscontrato compatibilita' di eventi dannosi con l'esposizione, sia
soprattutto perche' il riferimento al D.M. 16 gennaio 1991, come norma di
copertura sanitaria, e' frutto di un' erronea valutazione della ratio del
decreto stesso.

Invero tale decreto, emanato dal Ministro dei Lavori Pubblici di concerto
con i Ministri dei Trasporti, dell'Interno e dell'Industria, del Commercio
e dell'Artigianato, che notoriamente non hanno competenza in materia
sanitaria, contiene nella premessa un richiamo "a possibili effetti sulla
salute derivanti dai campi elettromagnetici", ma e' altrettanto vero che,
come gia' evidenziato trattando della normativa, nessuna concreta
disposizione e' stata poi adottata, tanto che tale richiamo e' stato
all'epoca stigmatizzato per la superficialita' della trattazione della
materia dal competente Ministero della Sanita', che, con una lettera, ha
sollecitato un lavoro interministeriale evidenziando come la norma non
aveva carattere sanitario di reale prevenzione.

L'elettrodotto, inoltre, e' stato realizzato quando era ancora in corso lo
studio del Circondario di Rimini, cui l'E.N.E.L. era stata invitata a
partecipare, ed e' stato attivato quando gia' si conoscevano i risultati di
tale studio che sconsigliavano la costruzione a quelle distanze.

L'imputato Balli, dopo avere ammesso di essere il responsabile della
progettazione e costruzione della linea (trasc. ud. 6.06.97, pag. 2),
dichiara di avere eseguito la progettazione utilizzando i criteri generali
che prevedono un tracciato il meno pregiudizievole possibile per le
proprieta' serventi compatibile pero' con un percorso della linea dolce,
senza bruschi angoli.

Come gia' osservato trattando della condotta, non rientrano nella
prospettazione della dirigenza dell'E.N.E.L. i pur preventivabili danni
alla salute. L'imputato Balli ne fornisce la spiegazione sentenziando: "il
danno alla salute e' escluso dalla scienza e dalla consulenza svolta su
incarico della societa'"; ed ancora, in risposta all'accusa che gli mostra
una fotografia in cui si notano i tralicci a ridosso di una rivendita di
auto: "la verifica non e' solo positiva ma largamente positiva in quanto il
campo magnetico era, in corrispondenza delle abitazioni in particolare,
mediamente intorno a 1, 2 microtesla contr i 100 indicati nella legge"(pag.
10).

Aggiunge, pero', l'imputato che l'E.N.E.L. ha una direzione studi e
ricerche ed ha istituito un apposito gruppo per seguire con particolare
cura questo problema (pag. 10); e a domande precise dell'accusa pubblica,
dirette a conoscere se egli durante la costruzione dell'elettrodotto avesse
avuto contatti con l'Istituto Superiore di Sanita', cosi' testualmente
risponde: "Avevo contatti perche' era una questione di interesse vitale,
perche' dovevo sapere, dovevo essere informato nel corso di tutti questi
contatti che avevamo in cui c'era sempre qualcuno che usciva con l'ultima
memoria..."(pag. 33). Ed ancora: "Certo io sapevo, non leggevo tutto quanto
perche' sono praticamente incomprensibili per noi, pero' le conclusioni
si', e comunque qualunque conclusione di tipo medico scientifico che ognuno
di noi personalmente puo' trarre da una memoria singola non ha peso se non
e' uno specialista" (pag. 34).

Qualcosa di piu' sul punto dice l'imputato Negroni il quale nel corso
dell'interrogatorio (trascr. ud. 6.06.97, pag. 56 e segg.) afferma
testualmente: "Sono stato direttore generale dell'E.N.E.L. dal 1984 al
1992. Sono entrato in questa questione dell'appalto perche' i limiti di
importo dell'opera da realizzare rientravano nel novero delle cariche che
potevano essere assegnate solo su proposta del direttore generale. Come ha
gia' illustrato Balli, e questo e' un indirizzo preciso della direzione
generale che era stato dato da quando si parlava di problemi ambientali, in
particolare di salute, che le procedure di progettazione avvenissero anche
con approfondimenti molto superiori a quelli che prescrivevano le leggi in
atto. Tant'e' che noi dell'E.N.E.L. avevamo indicato e dato mandato alla
direzione degli studi e ricerche di seguire giorno per giorno sul piano
nazionale e internazionale, tutta quella che era l'evoluzione degli studi e
approfondimenti in materia ambientale. Il progetto ha impegnato circa otto
anni da quando si e' cominciato fino a quando si e' arrivati alla
definizione del decreto e quindi all'approvazione della gara".

Dunque la dirigenza dell'E.N.E.L., e in particolare il dirigente Balli,
oggi imputato, non solo non ignorava gia' all'epoca dei fatti le dispute
scientifiche con i diversi esiti diffusamente esaminati, ma, dando credito
unicamente alle risoluzioni negative offerte dai suoi consulenti, ha optato
per la politica utilitaristica ben sapendo che (sono le testuali parole
dell'imputato Balli) la questione relativa al rischio da esposizione era
una questione di interesse vitale.

Ne' appare giuridicamente irrilevante, anzi rafforza il convincimento anche
sulla prevenibilita' dell'evento, la diversa interpretazione della frase
del Balli nel senso che la soluzione del problema avrebbe potuto incidere
sulla stessa sopravvivenza dell'azienda.

Che tale fosse all'epoca e sia tuttora l'atteggiamento unanime dei
dirigenti dell'E.N.E.L. e' confermato dalle deposizioni dell'Ing. Conti
Renato, dipendente responsabile del Progetto Campi Elettromagnetici della
Struttura Ricerche, e del presidente dell'E.N.E.L. dott. Enrico Testa.

Il primo afferma, in sintesi (trascr. ud. 3.10.97, pag. 5 e segg.):
"L'E.N.E.L. si interessa di questo problema dal 1974 con proprie e
sponsorizzate ricerche. Dal 1989 aderisce ad un grosso progetto gia'
avviato dal C.N.R. Alla luce delle mie conoscenze e delle conoscenze della
comunita' scientifiche, che poi si sono riflesse nella normativa italiana,
non esiste alcuna associazione consistente tra esposizione ai campi
magnetici e malattie tipo cefalee. Ho personalmente partecipato, quale
ingegnere, alle ricerche congiunte C.N.R.-E.N.E.L.".

L'ing. Conti non riferisce del vivace dibattito scientifico sul problema
per il semplice motivo che all'E.N.E.L. interessano solo gli studi
negativi, quelli che escludono o che comunque non danno certezza del nesso
eziologico.

E nel tentativo di chiudere il discorso afferma di avere personalmente
sentito in un recente congresso il perito Comba fare riferimento alla
prossima uscita di un nuovo documento I.S.T.I.S.A.N. con l'aggiornamento
della metanalisi degli studi epidemiologici piu' tranquillizzanti.

Affermazione inesatta, se non menzognera, perche' Comba, citato nuovamente
a comparire, ha smentito la circostanza, e nel rapporto I.S.T.I.S.A.N. 98
(all. n. 15), di cui si e' gia' detto, non solo non si fa cenno a maggiore
tranquillita' ma si legge che i risultati degli studi scientifici sono
passati dal terreno della probabilita' a quello dell'alta probabilita'.

Ma la verifica definitiva sull'irrinunciabilita' dell'indirizzo scelto
dall'E.N.E.L. e' fornita dal suo piu' autorevole esponente e cioe' Il
presidente Testa, che ricordiamo ancor prima come risoluto promotore del
piu' volte citato disegno di legge 1993 (all. n. 8).

Testa, in quel disegno, si associa al professor Cesare Maltoni, direttore
dell'Istituto di oncologia di Bologna, che aveva in piu' occasioni
formulato la raccomandazione di ricorrere a soluzioni tecnologiche idonee a
ridurre drasticamente i livelli espositivi risultati rischiosi dalle
ricerche fino ad allora disponibili (l'Istituto Superiore di Sanita' gia'
in precedenza aveva fissato il limite di rischio in 0,2 microtesla), in
attesa di piu' ampi e approfonditi studi epidemiologici e sperimentali.

"Al prof. Maltoni", afferma con orgoglio Testa, fresco presidente
dell'E.N.E.L. dal giugno 1996, sull'inserto dell'Unita' Mattina Emilia
Romagna del 6 novembre 1996 (all. n. 12 in atti), "abbiamo dato l'incarico
di effettuare una ricerca lunga e dettagliata che verifichi la reale
portata dei campi magnetici e tutti gli effetti che ne derivano. Quando
avremo in mano dati precisi, potremo parlarne con piena cognizione".

Dati pero' che non sono mai pervenuti semplicemente perche' al prof.
Maltoni e' stato revocato l'incarico in quanto Maltoni sul problema rischio
da esposizione aveva una sua convinzione scientifica e la manifestava con
molta forza e molta fermezza (cfr. dich. Testa, trascr. ud. 3.10.97, pagg.
41-43).

Chiamato a dare spiegazione sulla revoca, Testa afferma (pag. 43): "Sono
state riscontrate da parte del prof. Maltoni atteggiamenti in contrasto con
la serenita' - diciamo - e la distanza che questo tipo di incarico avrebbe,
a parere dell'E.N.E.L., richiesto".

Nella lettera di revoca dell'incarico (all. n. 22), si legge tra l'altro:
"Siamo venuti a conoscenza, con viva sorpresa, delle dichiarazioni
rilasciate dal prof. Maltoni...nelle quali assume una posizione
aprioristica sulla nocivita' dei campi magnetici, dando quindi per scontati
dei risultati di cui la ricerca in oggetto avrebbe dovuto se del caso, dare
dimostrazione. Alla luce di quanto sopra non possiamo che manifestare il
nostro fermo dissenzo per tale comportamento che, oltre a recare concreto
danno alla nostra Societa'.....".

Pare superfluo evidenziare quali fossero e siano le non gradite e dannose
convinzioni scientifiche del prof. Maltoni ma e' opportuno lumeggiare come
quelle convinzioni fossero pienamente condivise dal Testa On. Deputato e
siano, viceversa, abiurate dal Testa presidente dell'E.N.E.L.

Viene solo da chiedersi se l'atteggiamento dei dirigenti dell'E.N.E.L.,
responsabili, a dire del presidente Testa (trascr. ud. 3.10.1997, pag. 42),
della revoca, cui comunque egli non si e' opposto, sarebbe stato lo stesso
qualora il prof. Maltoni avesse espresso convinzioni negative sul rischio
da esposizione.

Dichiara ancora il presidente Testa (pag. 44): " Abbiamo preso contatti con
l'Organizzazione Mondiale della Sanita', che e' certamente istituto al di
sopra di ogni parte, per organizzare insieme iniziative in cui possono
essere invitati ricercatori e studiosi di tutto il mondo a confrontare le
loro opinioni".

Quindi per la dirigenza dell'E.N.E.L. il problema non solo esisteva ma
esiste attualmente in tutta la sua gravita' se si pensa ad un confronto
cosi' ampio e titolato. E conseguentemente non dice il vero l'imputato
Balli quando afferma che l'allarme di un tempo e' cessato perche' "adesso
la situazione e' del tutto opposta, ci sono stati 500-600 studi che
escludono, smitizzano" (trascr. ud. 29.05.98, pag.11).

E sempre Testa (trascr. ud. 3.10.97, pagg. 50-51): "Io non mi sento di
escludere nulla perche' tanti anni di attenzione a questi problemi mi hanno
portato ad una posizione di estrema cautela rispetto a questo tipo di
problema. Da privato cittadino io non mi sono fatto la convinzione che ci
siano rischi sanitari da elettromagnetismo. Ho detto che non mi sento di
escluderlo, come dicono giustamente tutti i ricercatori scientifici e tutte
le persone che hanno del buon senso, ma onestamente non mi sono fatto la
convinzione che l'elettromagnetismo sia un problema di ordine sanitario".

Pur non dubitando dell'onesta' culturale del dott. Testa (egli stesso
ammette che all'epoca della presentazione del disegno di legge 1993 era
presidente della Legambiente ed aveva avuto per svariati anni discussioni
con l'E.N.E.L.), che a differenza degli altri dirigenti non elargisce
certezze, non si puo' non dare risalto al baratro tra le convinzioni del
cittadino Onorevole e presidente di Legambiente e quelle espresse dal
cittadino presidente dell'E.N.E.L.

E' nel contesto di tali risultanze dibattimentali, applicando il dianzi
citato principio della cosiddetta colpa per assunzione, che va valutata la
prevedibilita' e prevenibilita' degli eventi in danno di Siliquini Luigi e
Giovagnoli Raffaele, non ignorando che la valutazione dell'assunzione del
rischio in assenza di certezze negative sugli effetti dell'esposizione ai
campi E.L.F. deve essere fatta con giudizio ex ante ma deve basarsi, non
sulla concreta conoscenza del pericolo, ma sull'obiettiva idoneita' delle
condizioni di conoscibilita'.

Poiche' nel caso di specie le condizioni iniziali erano addirittura di
concreta conoscenza del rischio, nessun ragionevole dubbio puo' essere
sollevato sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato come
contestato in rubrica all'imputato Balli Sergio.

Ragguardevole appare, infine, l'Ordinanza emessa dalla III Sezione Civile
del Tribunale di Padova in data 27.01.1999 (all. n. 23), sia perche'
rappresenta un primo significativo segnale di probabile inversione di
tendenza della giurisprudenza, in quanto in essa viene riconosciuta
l'inidoneita' del combinato disposto degli artt. 4 e 5 del D.P.C.M. aprile
1992 a prevenire i rischi dell'esposizione a lungo termine, sia soprattutto
per il riferimento all'allegato documento datato Trieste, maggio 1998
prodotto dall'E.N.E.L. in cui, nel descrivere la linea elettrica oggetto
del ricorso, la Direzione dell'Unita' Distaccata Costruzioni di Trieste,
afferma, tra l'altro: "In base a rilevazioni effettuate dall'E.N.E.L. e
dalle A.S.L., nonche' in base a calcoli teorici effettuati ad esempio
dall'IROE-CNR di Firenze, e' stato dimostrato che nelle linee a 132 KV,
nelle condizioni piu' gravose (altezza minima dei sostegni e massima
corrente di carico) il campo elettrico ed il campo magnetico tendono a
valori prossimi allo zero (assimilabile al valore del campo naturale), e
comunque inferiore al valore considerato di sicurezza di 0,2 microtesla, ad
una distanza di circa 70 metri. Considerato che generalmente la corrente
presente su una linea elettrica e' circa un terzo di quella prevista (a
parte eventi eccezionali di brevissima durata) e che i conduttori sono
sempre ad altezze superiori rispetto a quelle minime introdotte nei
calcoli, la distanza per cui il valore di campo elettrico e magnetico tende
ad essere inferiore a 0,2 microtesla e' normalmente compresa tra 30 e 50
metri. In base a queste considerazioni il tracciato ipotizzato e' stato
collocato ad una distanza minima di 70 metri (salvo due casi in Comune di
Prata in cui tale distanza e' di 50 metri; in ambedue le situazioni la
linea aerea a 20 Kv afferenti le abitazioni verra' posta in cavo
sotterraneo. Non e' previsto l'interramento parziale o totale della linea
sia per motivi economici sia per motivi tecnici".

Ogni commento alla chiarezza di tali concetti ed alla significativita' di
tali dati e' sovreccedente. Il giudicante si limita ad osservare che tali
limiti e tali distanze sono riferiti ad una linea a 132 KV e che la
tensione della linea dell'elettrodotto Forli'-Fano e' di 380 KV.

Ora e' vero che ragioni procedurali non consentono di utilizzare tali
concetti e tali dati come mezzi di prova diretta in questo processo, ma e'
indubitabile che, siccome sono contenuti in un documento ufficiale prodotto
in un giudizio civile in cui l'E.N.E.L. mirava a dimostrare la correttezza
del suo comportamento, possano essere utilizzati come elementi di riscontro
nella valutazione di ciascuno degli elementi costitutivi del reato per il
quale si procede.

Natura del reato

La differenza tra i reati istantanei e i reati permanenti, ovvero ad
effetti permanenti, e' che nei primi la condotta antigiuridica si compie e
si realizza definitivamente col verificarsi dell'evento mentre negli altri
gli effetti antigiuridici non cessano ma permangono anche dopo il
realizzarsi dell'evento.

Nel caso di specie, esclusa pacificamente l'ipotesi di reato istantaneo,
occorre dirimere la diatriba se il reato di lesioni colpose, cosi' come
contestato in rubrica, ha natura di reato permanente ovvero ad effetti
permanenti.

Secondo l'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione il criterio
distintivo tra le categorie dei reati permanenti e dei reati istantanei ad
effetti permanenti va individuato in riferimento alla circostanza che gli
effetti permangono anche dopo la realizzazione dell'evento in conseguenza
di una intenzionale attivita' commissiva (reati permanenti), od omissiva
(reati istantanei con effetti permanenti).

La prevalente giurisprudenza della Corte Suprema, inoltre, "propugna la
natura unitaria del reato permanente: nel quale, cioe', il fatto che lo
costituisce non si esaurisce uno actu ed uno tempore, ma si protrae nel
tempo finche' perdura la situazione antigiuridica dovuta alla condotta
volontaria del reo e questi non lo fa cessare" (Cass. Sez. un., ud.
13.07.1998 - dep. 22.10.1998, Montanari)

Esattamente come e' avvenuto ed avviene nel caso dell'elettrodotto
Forli-Fano che dalla data di attivazione ad oggi non ha mai cessato di
erogare corrente.

La concezione normativamente ed intrinsecamente unitaria del reato
permanente importa, percio', che la permanenza del contestato reato di
lesioni colpose si protragga in ragione del perdurare della condotta
correlata alle lesioni in danno di Siliquini Luigi e Giovagnoli Raffaele
fino alla data dell'odierna sentenza.

E cio' ritenendo non violati i principi della contestazione e della
corrispondenza tra l'accusa e la sentenza ancorche' risultino indicate nel
capo d'imputazione sia la data dell'inizio della condotta delittuosa sia la
data a tutt'oggi, erroneamente prospettata, quest'ultima, come momento
interruttivo della permanenza.

Non ignora il giudicante il principio della certezza della contestazione
per il quale quando il capo di imputazione contiene, oltre alla data
iniziale anche quella finale, essendo il fatto temporalmente delimitato,
non si puo' far carico all'imputato di addebiti che non formino oggetto di
contestazioni suppletive.

Nel caso di specie, pero', l'accusa non ha dedotto un preciso arco
temporale; anzi l'uso dell'avverbio "tutt'oggi" costituisce un'implicita
contestazione di permanenza e serve ad evidenziare proprio che la condotta
e' perdurante e la permanenza non e' cessata; e siccome non era possibile
indicare a priori il momento finale della permanenza per la semplice
ragione che il reato, proprio perche' permanente, dura finche' non si
esaurisce, l'uso del citato avverbio va inteso come descrittivo di una
permanenza ancora in corso al momento della contestazione.

Tale situazione giuridica e' paritetica a quella della contestazione di un
reato permanente con l'indicazione della sola data iniziale della
permanenza (o della data di accertamento) nella quale "la permanenza
stessa, intesa come dato della realta', e' compresa nella imputazione per
la logica ed essenziale connotazione del fatto storico che integra
l'accusa" (Cass. Sez. un., Montanari, cit.).

Su tale ultima ipotesi di situazione giuridica le Sezioni unite, con la
stessa decisione e riprendendo un principio gia' affermato in precedenza
sempre dalle medesime Sezioni, afferma: "Nel caso in cui l'originario capo
di accusa indichi soltanto la data dell'accertamento del reato permanente,
ascrivendo all'imputato una condotta ancora perdurante a quella data, deve
ritenersi che la contestazione comprenda anche l'ulteriore eventuale
protrazione della permanenza, la quale, pertanto, puo' essere valorizzata
dal giudice del dibattimento ad ogni effetto penale, senza che sia
richiesta a tal fine una contestazione suppletiva; con l'ulteriore
conseguenza che, in presenza di siffatta situazione, l'intrinseca idoneita'
del tipo di reato contestato a durare nel tempo, anche dopo l'avverarsi dei
suoi elementi costitutivi, comporta che l'imputato sia chiamato a
difendersi, sin dall'origine, non soltanto in ordine alla parte gia'
realizzatasi della fattispecie, ma anche con riguardo a quella successiva
perdurante sino alla cessazione delle condotte o dell'offesa e comunque non
oltre la sentenza di primo grado".

All'esito dell'istruttoria dibattimentale deve, quindi, ritenersi
pienamente provata la penale responsabilita' dell'imputato Balli Sergio in
ordine al delitto di lesioni colpose gravi, in danno di Giovagnoli Raffaele
e Siliquini Luigi, commesso fino alla data dell'odierna sentenza.

Possono concedersi a Balli Sergio le circostanze generiche prevalenti per
l'incensuratezza.

Tenuto conto dei criteri ex artt. 133 c.p., ed in particolare della
gravita' del reato desunto dall'acclarata pericolosita' dei campi
magnetici, che trova parziale riscontro nell'entita' delle lesioni
cagionate, stimasi equa la pena di mesi tre di reclusione (pena base mesi
quattro, ridotta di un terzo ex art. 62 bis c.p. ed aumentata di giorni
dieci ex art. 81, comma 1, c.p.) oltre al pagamento delle spese
processuali.

La prognosi favorevole ex art. 164 c.p. e l'incensuratezza dell'imputato
Balli Sergio, consentono la concessione dei doppi benefici di legge.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale e' provato che la condotta
dell'imputato Balli Sergio e' stata causa diretta di danno per tutte le
parti civili ammesse.

Non essendo provato il danno nel suo preciso ammontare, pur se indicato, va
pronunciata condanna generica con rinvio alla sede civile per la
liquidazione.

Poiche' la parti civili Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi hanno
ritualmente citato il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A., l'imputato Balli
Sergio va condannato in solido con il legale rappresentante pro-tempore del
medesimo responsabile civile alla condanna generica al risarcimento del
danno, salva una provvisionale, immediatamente esecutiva, di lire 2.000.000
in favore di ciascuna delle parti civili, a puro titolo di risarcimento di
danno morale simbolico.

L'imputato Balli Sergio ed il responsabile civile vanno inoltre condannati
alla rifusione delle spese di costituzione e difesa in favore sia delle
parti civili ammesse sia degli enti esponenziali intervenuti, liquidate
come in dispositivo.

In particolare sulle spese processuali in favore degli enti esponenziali
intervenuti, il diritto al rimborso e' del tutto legittimo, in quanto
l'intervento delle associazioni e' previsto dalla legge e le spese seguono
la soccombenza a favore di tutti i soggetti comunque legittimati a far
valere la domanda (cfr., per tutte, Cass. pen., sez. III, 10 novembre
1993).

Non puo' trovare accoglimento la richiesta di pubblicazione della sentenza
per la sua obiettiva inidoneita' a costituire mezzo di risarcimento del
danno non patrimoniale subito dalla parti civili.

Puo', viceversa, trovare accoglimento la richiesta di condanna alla
riduzione in pristino, finalizzata a far cessare gli effetti dannosi della
permanenza del reato, tenuto conto anche che l'E.N.E.L. ha indirettamente
riconosciuto, nel citato documento acquisito al procedimento civile davanti
al Tribunale di Padova (all. n. 23), l'inadeguatezza delle distanze
dell'elettrodotto Forli'-Fano dalle abitazioni di Giovagnoli e Siliquini in
relazione al valore dei campi magnetici di 1,5 - 2 microtesla, nelle stesse
rilevato, contro il valore-soglia di 0,2 microtesla, considerato di
sicurezza dallo stesso ente.

Idonea a far cessare la permanenza del reato e' la disattivazione di
corrente nel tratto di linea che interessa le abitazioni di Siliquini e
Giovagnoli e congruo si ritiene il termine di mesi uno dal passaggio in
giudicato della presente sentenza entro il quale dare esecuzione al punto
della condanna, salva l'attuazione in tempi minori di adeguata misura di
risanamento quale, per esempio, l'interramento dei cavi.

P. Q. M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.

DICHIARA

BALLI Sergio colpevole del delitto ascritto, commesso fino alla data
odierna, e, concesse le attenuanti generiche prevalenti, lo condanna alla
pena di mesi tre di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 163 e 175 c.p.,

concede a Balli Sergio il beneficio della sospensione della pena alle
condizioni di legge e ordina la non menzione della condanna nel certificato
del casellario giudiziale.

Visti gli artt. 538, 539, 540 e 541 c.p.p.,

CONDANNA

l'imputato Balli Sergio al risarcimento del danno in favore della parte
civile costituita Comune di Rimini, da liquidarsi in separata sede, nonche'
alla rifusione, verso la stessa parte civile e le associazioni intervenute
a norma dell'art. 93 c.p.p., delle spese processuali che liquida in
complessive lire 12.930.000, di cui lire 930.000 per spese vive e lire
10.000.000 per competenze ed onorari, in favore del Comune di Rimini; in
complessive lire 3.070.000, di cui lire 70.000 per spese vive e lire
3.000.000 per competenze ed onorari, in favore dell'associazione
Legambiente; in complessive lire 3.141.000, di cui lire 141.000 per spese
vive e lire 3.000.000 per competenze ed onorari, in favore
dell'associazione W.W.F. Italia, oltre, per tutte, I.V.A. e C.P.A. come per
legge.

Condanna inoltre l'imputato Balli Sergio in solido con il responsabile
civile E.N.E.L. S.p.A., in persona del suo legale rappresentante
pro-tempore, al risarcimento del danno in favore delle parti civili
costituite Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi da liquidarsi in separata
sede, fatta salva una provvisionale immediatamente esecutiva in favore
delle stesse che, in difetto di prove specifiche sull'entita' del danno,
liquida in lire 2.000.000 ciascuna a puro titolo di danno morale simbolico,
nonche' alla rifusione verso le stesse parti civili delle spese processuali
che liquida in complessive lire 7.751.230 per ciascuna di esse, di cui lire
801.230 per spese vive e lire 6.950.000 per onorari e competenze, oltre
I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Condanna infine il responsabile civile E.N.E.L. S.p.A., in persona del
legale rappresentante pro-tempore, alla riduzione in pristino della
situazione quale era prima della data di attivazione dell'elettrodotto, e
cio' mediante la disattivazione di corrente nel tratto di linea che
interessa le abitazioni di Giovagnoli Raffaele e Siliquini Luigi, entro e
non oltre il termine di mesi uno dal passaggio in giudicato della presente
sentenza, salvo che in tempi minori non sia attuata idonea azione di
risanamento.

Visto l'art. 530 c.p.p.,

ASSOLVE

NEGRONI Alberto e COLUCCI Elio dal reato loro ascritto per non aver
commesso il fatto e CERIOLI Italo, SILVESTRI Claudio, GISLIMBERTI Giuliano
e BRUGNA Ermanno dal reato loro ascritto perche' il fatto non costituisce
reato.

Motivazione nei novanta giorni.

Cosi' deciso in Rimini, all'udienza del 14 maggio 1999.

IL PRETORE

Dott. Fortunato R. Barone