Ciao Vittorio!
Alla fine Vittorio non ce l’ha fatta. Il suo corpo è stato trovato privo di vita ieri notte dalle forze di sicurezza di Hamas, soffocato dai suoi rapitori. Si è avverato purtroppo quello che tutti scongiuravamo e ritenevamo totalmente privo di senso, umanamente e politicamente. Questo assassinio è un atto contro il popolo palestinese e un favore insperato per il suo nemico dichiarato, lo stato di Israele, oggi facilitato nel mostrare al mondo il presunto fanatismo dei palestinesi di Gaza. La cosa insopportabile è che oggi sentiremo parole dolci di circostanza e lacrime di coccodrillo versate da uomini che Vittorio lo detestavano. Ciò che fa più male, è il suo essere diventato martire per mano palestinese. Chi ha conosciuto Vittorio in questi anni sa quanto era “preparato” (se lo si può essere) alla morte. Ci conviveva quotidianamente, visitando e aiutando le vittime dei tanti raid israeliani, sentendo fischiare a pochi centimetri del proprio corpo i proiettili israeliani che i cecchini di Tsahal sparavano per divertirsi ai contadini e pastori che Vittorio e altri scudi umani internazionali accompagnavano nelle loro uscite.
Chi l’ha ucciso è un nemico del popolo palestinese. Lo stanno dicendo da ore i post che in rete, su facebook e gli altri social network, testimoniano l’amore che il popolo di Gaza e tanti altri uomini e donne in giro per il mondo, stanno dimostrando per Vittorio, riconoscendo in lui un compagno prezioso e un testimone insostituibile. La frase più tipica che potete trovare in questi messaggi è questa: “Vittorio era più palestinese di chi l’ha sequestrato”.
Il coraggio e l’umiltà che lo contraddistinguevano erano quanto di più lontano dall’olografia celebrativa e sterile dell’eroe senza paura. Nei suoi racconti, nelle sue preziose testimonianze, non nascondeva mai gli effetti traumatici e terrorizzanti del vivere assediato in una terra percorsa dalla guerra. Raccontava con grande semplicità le paure e le tensioni dell’essere bersaglio mobile dei cecchini israeliani o vittima statistica di una bomba piovuta dal cielo. La sua stessa fisicità, il tono della sua voce, erano in qualche modo testimonianza vivente e concreta degli orrori perpetrati da Israele contro il popolo palestinese. Confessava senza falsi pudori la paura del corpo che trema sotto i bombardamenti e l’essere afflitto cronicamente da disturbi da stress post-traumatico, la condizione “normale” dei/le palestinesi della Striscia.
Una testimonianza molto umana la sua. “Restiamo umani” era infatti il sigillo con cui chiudeva ogni sua corrispondenza.
Oltre alla grandezza della figura umana, vorremmo qui ricordare anche lo spessore politico della sua persona. Vittorio si definiva e riconosceva nella pratica della resistenza non-violenta. Ma questa sua scelta di condotta e disciplina era quanto di più lontano dall’abito comodo di tanti personaggi che ne adottano la veste per appoggiare poi una guerra no e due sì. Distante anni-luce dal pacifismo moralizzatore, quello della solidarietà pelosa e inconcludente che alle nostre latitudini fa tanto rima con compatibilità. Vittorio era prima di tutto incompatibile con un mondo che permette tragedie come quelle vissute dal popolo palestinese. La sua non era una scelta morale che pretendeva d’insegnare o evangelizzare chi praticava altre forme di lotta e opposizione al crimine israeliano. Mai una volta che gli fosse scappata di bocca una condanna o un’insopportabile “equidistanza”. Vittorio sapeva sempre chi erano le vittime e chi i carnefici. La sua scelta, per quanto intrisa di una spessa eticità, era soprattutto l’opzione politica che giudicava migliore e più efficace per portare avanti il suo lavoro quotidiano. Nessuna traccia di presunzione o superiorità morale nel suo agire.
Oggi il popolo palestinese e noi tutti perdiamo un compagno di strada, un collaboratore, un amico prezioso. La sua è una morte che pesa come una montagna, lo sanno per primi gli uomini e le donne della Striscia di Gaza che nelle prossime ore gli tributeranno un omaggio come pochi altri. Anche se politicamente si dovrebbe dire il contrario, sappiamo tutti fin troppo bene che la sua morte lascia un vuoto al momento insostituibile.
Ciao Vittorio, che la terra ti sia lieve
(fonte: www.infoaut.org)
Segue il messaggio della madre di Vittorio, affidato a tutti noi, perché si possa restare umani. Non abbassando mai la testa, sena mai arrendersi alla menzogna.
Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell’aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa.
E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenbay, la poliziaisrae liana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono «con arte», senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.
Vittorio era un indesiderato in Israele. Troppo sovversivo, per aver manifestato con l’amico Gabriele l’anno prima con le donne e gli uomini nel villaggio di Budrus contro il muro della vergogna, insegnando e cantando insieme il nostro più bel canto partigiano: «O bella ciao, ciao…»
Non vidi allora televisioni, nemmeno quando, nell’autunno 2008, un commando assalì il peschereccio al largo di Rafah, in acque palestinesi e Vittorio fu rinchiuso a Ramle e poi rispedito a casa in tuta e ciabatte. Certo, ora non posso che ringraziare la stampa e la tv che ci hanno avvicinato con garbo, che hanno «presidiato» la nostra casa con riguardo, senza eccessi e mi hanno dato l’occasione per parlare di Vittorio e delle sue scelte ideali.
Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Lo vedo e lo sento già dalle parole degli amici, soprattutto dei giovani, alcuni vicini, altri lontanissimi che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito, tanto più ora, come si può dare un senso ad «Utopia», come la sete di giustizia e di pace, la fratellanza e la solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, «la Palestina può anche essere fuori dell’uscio di casa». Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testi mone. Restiamo umani.
UN EROE CONTEMPORANEO