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Verso il 90° anniversario della fondazione degli Arditi del Popolo

Un pò di storia in attesa dell’iniziativa sugli Arditi del Popolo del 25 giugno in via dei Volsci, a breve il programma ufficiale della giornata.

“Compagni perduti e Resistenze dimenticate”
Giugno 1921 – giugno 2011: i 90 anni degli Arditi del Popolo.

Per gli antifascisti militanti, la Resistenza al regime mussoliniano è cominciata ben prima del 8 settembre 1943, nello specifico, oltre vent’anni addietro. Di questa prima Resistenza, sul versante della memoria istituzionalizzata, poco si è detto e ancora meno si è scritto, i precedenti scomodi esercitano sempre un certo grado di timore sui custodi delle verità ufficiali e formali. In occasione del 90° anniversario dalla nascita, riproponiamo parte dello Statuto originario dell’organizzazione. La parola, dunque, agli Arditi:

“L’Associazione nazionale degli Arditi del Popolo è una Milizia Nazionale Volontaria che si propone:
- La difesa e la redenzione dei lavoratori del braccio e del pensiero.
- La difesa delle organizzazioni operaie e delle conquiste fatte dal proletariato nel campo sociale, politico ed economico, contro ogni forma di violenza e di sopraffazione, da qualunque parte essa venga.
- La lotta contro il nazionalismo fascista, prepotente e sopraffattore.
- La lotta contro il militarismo imperialista delle nazioni plutocratiche, le quali mirano al soffocamento delle nazioni più piccole e più deboli.
- L’affratellamento di tutti i lavoratori del braccio e del pensiero che siano decisi a passare dal campo delle teorie a quello dell’azione.
-L’associazione è completamente libera da ogni vincolo di dipendenza dai partiti politici e dalle organizzazioni proletarie, si propone però di mantenere i migliori rapporti con essi per il raggiungimento dei fini comuni”.

90 anni fa nascevano a Roma gli “Arditi del Popolo”, nel giugno 1921, dal seno della sezione romana dell’ANAI (Associazione Nazionale Arditi d’Italia) gli Arditi del Popolo, rappresentano un inedito tentativo di contrapporre alla dilagante violenza dello squadrismo fascista un’efficace risposta in campo operaio.
A fronte dell’incapacità dei partiti di classe di comprendere il piano nuovo, quello della violenza politica organizzata secondo un preciso criterio scientifico e militare -sul quale, a partire dalla fine del 1920, il fascismo mussoliniano traspone i tradizionali e legalitari criteri del confronto politico- ambienti del combattentismo organizzato romano (quelli più sensibili alla questione sociale spalancata in Italia da biennio rosso) si organizzano per contrastare le camice nere nella lotta di strada e per strappare ad esse la tanto propagandata egemonia sui combattenti.
Nella capitale -diversamente da quanto avverrà in altre città italiane, dove, sezioni e battaglioni degli Arditi del Popolo nasceranno soprattutto per impulso delle locali sezioni della Lega Proletaria Mutilati Invalidi e Reduci di Guerra- gli Arditi del Popolo si costituiscono attorno a tre diverse organizzazioni intrinsecamente legate all’interventismo, all’esperienza bellica, ma nel contempo portatrici di profonde e “ardite” istanze di rinnovamento sociale.

Grazie alla carismatica figura del Tenente Argo Secondari e alla componente sovversiva dell’ANAI (già maggioritaria nel giugno dell’anno precedente) si uniscono, nella riunione costitutiva del 27 giugno 1921 la “Fratellanza tra gli Arditi d’Italia” (un’associazione di Arditi vicina agli ambienti anarchici e repubblicani nata nel marzo 1919) con oltre 100 militanti nella capitale, guidata da Vincenzo Baldazzi (futuro triumviro degli Arditi del Popolo) e dal segretario Ubaldo Cioccolanti (anarchico futuro capobattaglione di Testaccio) e il “Comitato Romano dell’Alleanza Rivoluzionaria” (un’organizzazione legata anch’essa agli ambienti dell’interventismo anarchico, che fa la sua comparsa in occasione dello sciopero generale del 10 aprile 1919) capitanata dall’anarchico interventista Attilio Paolinelli. Sono queste tre componenti a costituire il nucleo d’acciaio della legione romana degli Arditi del Popolo. Centinaia di ex soldati che si erano forgiati alla lotta politica e sociale nel corso delle cruente insorgenze popolari del biennio precedente per il diritto alla casa, contro il carovita e la penuria di generi alimentari. Attorno a questo nucleo, già protagonista dei fatti di Pietralata nel luglio 1919, si stringono, solo a Roma, migliaia di lavoratori. In ogni rione popolare della città si costituisce un battaglione di Arditi del Popolo. Memorabili le difese vittoriose della cintura periferica capitolina in occasione del congresso di fondazione del PNF (novembre ‘21), con le squadracce fasciste di tutta Italia costrette alla ritirata dopo aver cercato invano di espugnare, armi in pugno, i rioni sovversivi. Dinamica ripropostasi durante il congresso fascista laziale del ‘22. E ancora nel maggio seguente, nel corso della tumulazione della salma dell’eroe di guerra Enrico Toti.
Perfino nei giorni della marcia su Roma, col fascismo ormai trionfante grazie al placet regio, i rioni di San Lorenzo, Trionfale, Testaccio e Trastevere resistono come una trincea insuperabile agli assalti congiunti degli squadristi, delle guardie regie e delle forze di polizia.

Argo Secondari, il Comandante.
In attesa che i libri di storia rendano finalmente giustizia all’imparegiabile figura di questo coraggioso condottiero della classe operaia, alcuni frammenti della sua vita di combattente raccontati in prima persona:

“Nel corso avventuroso della mia vita, da quando avevo 12 anni e percorrevo gli oceani sulle navi o mi abbeveravo di libertà nelle foreste del Brasile, lontano dalle famiglia, completamente solo, fino ad oggi, dopo quattro anni di guerra vissuta giorno per giorno in trincea, io non ho avuto che una sola forza, in me stesso: una fede senza limiti per tutto ciò che trascende l’attimo fuggente e fida in un avvenire più sano e più umano.”

“La reazione infuria contro gli Arditi del Popolo, è logico. Gli Arditi costituivano una forza dinamica capace di risolvere la situazione più difficile e pericolosa. La storia è fatta dagli uomini. Essi, con la loro volontà, forzano le situazioni e determinano gli urti favorevoli al compiersi dei rivolgimenti sociali. Noi vogliamo appunto compiere l’opera difficile e ardua dell’educazione della volontà e della formazione del carattere, di cui difettano gli italiani e specie coloro che si dedicano alla politica. E con l’arco della nostra volontà, teso fino allo spasmo, noi siamo decisi, nella grave ora storica che passa, a creare quelle correnti di pensiero e azione che sono necessarie per infrangere tutti quegli ostacoli che si frappongono alla nostra incoercibile e irresistibile avanzata”.

“I cosiddetti partiti politici d’avanguardia, accademici e vigliacchissimi come al solito, non sono capaci neppure di preparare una grandiosa manifestazione nazionale contro questo stato di cose insopportabile, non solo, ma hanno negato e negano qualsiasi appoggio morale e finanziario alla nostra associazione. Certi partiti politici se non fossero diretti da persone che hanno la testa tra le nuvole dovrebbero comprendere la necessità di appoggiare in tutti i modi la nostra organizzazione che è l’estremo baluardo della libertà. Ma purtroppo i partiti politici italiani sono tutti oscenamente accademici e si risveglieranno, forse, soltanto il giorno in cui sarà instaurata la dittatura militare della santa carabina regia e del pugnale e della bomba e dei fascisti”.

Guido Picelli l’eroe di Parma.

“Fu Parma a salvare, allora, l’onore del proletariato italiano… Parma con il successo della sua resistenza, dovuto alla partecipazione unitaria di tutte le componenti del movimento operaio e popolare, costituì un luminoso punto di riferimento per la lotta contro il fascismo”.

Nacque a Parma il 9 Settembre 1889, ben presto dette una prima prova del suo carattere avventuroso e impulsivo fuggendo di casa con una compagnia di guitti. Dal 1906 al 1912 girovagò per l’Italia settentrionale recitando, l’amore per il teatro non lo avrebbe abbandonato neppure dopo il ritorno a casa.
Iscrittosi giovanissimo al partito socialista, allo scoppio della “grande guerra” ne condivise le posizioni neutraliste; si arruolò poi volontario nella Croce rossa ma ciò non gli evitò il trasferimento in fanteria, presso il cui 112° reggimento prestò servizio come sottotenente di complemento, riportando una medaglia di bronzo al valore e una ferita a una gamba. Dall’esperienza della guerra, che non mancò di colpirlo profondamente, P. trasse la convinzione che fosse un suo precipuo dovere assistere quanti ne erano stati colpiti; si impegnò così nella nell’organizzazione parmense della Lega proletaria tra invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra, che lo elesse segretario nel 1919. Soprattutto uomo d’azione, nell’acuta crisi sociale e politica del dopoguerra P. maturò una particolare sensibilità per i problemi dell’organizzazione militare del proletariato, e fin dal 1920 costituì a Parma una Guardia rossa autonoma. Composto soprattutto da giovani socialisti (”i più turbolenti elementi sovversivi” a detta del prefetto) e mal tollerato dal partito, questo organismo non raggiunse mai una grande consistenza. L’iniziativa più clamorosa fu quella del sabotaggio di un treno carico di soldati in partenza per l’Albania, effettuato il 28 Giugno 1920 e seguito dall’immediato arresto di P. Per uscire dal carcere egli dovette attendere le elezioni politiche del maggio 1921, per le quali il PSI presentò la sua candidatura-protesta e che lo videro eletto con 20.294 voti.

Tornato così in libertà, P. si trovò di fronte una situazione radicalmente mutata, nella quale al dilagare dell’offensiva fascista facevano riscontro la passività del movimento operaio e la divisione tra socialisti e comunisti, con le ostilità e il settarismo che ne erano derivati. A Parma per giunta tutto ciò si inseriva in un cronico stato di divisione e di contrapposizione tra socialisti, sindacalisti dell’USI e deambrisiani. Convinto che fosse necessario contrapporsi al fascismo sul piano della lotta armata, nell’estate del 1921 P. diede vita a Parma al corpo degli Arditi del popolo, riuscendo a ricrerare attorno ad esso una vasta unità delle forze proletarie, nonostante l’opposizione di numerosi dirigenti del PCI e del PSI.

“NELL’INTERESSE COLLETTIVO -aveva scritto P. il 4 giugno su “L’Idea“- “DEVONO TACERE I VARI DISSENSI POLITICI, SCOMPARIRE LE QUESTIONI INDIVIDUALI, I PICCOLI RANCORI, VECCHI E NUOVI, PENSANDO SOLO CHE OGNI ESSERE E’ L’ELEMENTO INDISPENSABILE ALLA COESIONE E ALLA COSTITUZIONE DI QUELLA FORZA IMMENSA CHE E’ DATA DALL’UNIONE AI SINGOLI. VOGLIO SPERARE CHE PRESTO SI CESSERA’ DI OFFRIRE IL TRISTE SPETTACOLO DELLA DISUNIONE: LE TRE CAMERE DEL LAVORO SPARIRANNO, SI FONDERANNO IN UNA E LA NOSTRA PROVINCIA FATTA FORTE DARA’ FINALMENTE BATTAGLIA CERTA DEL BUON ESITO DI ESSA… VIVA L’UNITA’ PROLETARIA!”

E in effetti, nelle file degli Arditi del popolo accorsero sindacalisti e anarchici, socialisti e comunisti. P. non attese gli attacchi dei fascisti ma passò decisamente all’offensiva il I maggio 1922 lo stesso P. poteva trarre questo bilancio dell’opera svolta:

“IN TUTTA LA VALLE PADANA, PARMA E’ L’UNICA CITTA’ CHE NON SIA CADUTA IN MANO AL FASCISMO OPPRESSORE. LA NOSTRA CITTA’, COMPRESA UNA BUONA PARTE DELLA PROVINCIA, E’ RIMASTA UNA FORTEZZA INESPUGNABILE, MALGRADO I TENTATIVI FATTI DALL’AVVERSARIO. IL PROLETARIATO PARMENSE NON HA PIEGATO E NON PIEGA”.

Ma se fino a quel momento, grazie al suo coraggio personale, allo stretto rapporto con le masse instaurato giorno per giorno nei rioni popolari della città e al suo prestigio di capo degli Arditi, P. poteva dirsi uno degli uomini più amati e popolari di Parma, presto la sua figura sarebbe entrata nella leggenda.
La prova di forza venne in occasione dello “sciopero legalitario” dell’agosto 1922, che a Parma e nella provincia riuscì compatto e totale: agli ordini di Balbo, per far cessare lo sciopero e conquistare “l’ultima roccaforte” del movimento operaio, conversero sulla città le squadre fasciste dell’intera Italia settentrionale. Ma in tre giorni di ripetuti assalti, i fascisti di Balbo non riuscirono ad avere ragione degli Arditi del popolo, i quali, asserragliati nei quarieri del Naviglio e dell’Oltretorrente, con il sostegno attivo di tutta la popolazione opposero un’eroica resistenza e costrinsero infine il nemico a ritirarsi sconfitto, lasciando sul terreno 39 morti e 150 feriti. Ciò che non era riuscito ai fascisti fu poi compiuto dall’esercito, alla cui ingiunzione di sgomberare i quartieri già trasformati in fortilizi gli Arditi non poterono opporre ragionevole resistenza.
P. denunciato e incarcerato per breve tempo nel mese di ottobre, nel maggio del 1923 fu costretto a trasferirsi a Roma per evitare le conseguenze dell’odio dei fascisti verso il principale artefice della loro umiliazione. Dopo l’ingresso nel partito comunista P., che già il 1° maggio 1924 aveva fatto parlare di sè per aver spiegato una grande bandiera rossa sul balcone di Montecitorio finì per incorrere più volte nelle aggressioni dei fascisti, nel parlamento e nelle vie di Roma.

Dopo le leggi eccezionali fu condannato a 5 anni di confino a Lampedusa, poi, nel febbraio 1927, a Lipari. Prosciolto dal confino, all’inizio del ‘32, espatriò clandestinamente in Francia, espulso dal paese nel ‘34, si rifugiò in Unione sovietica, dove lavorò come operaio in una fabbrica di cuscinetti a sfera. Dopo lo scoppio della guerra civile fu uno dei primi volonari ad accorrere in Spagna a difesa della Repubblica mise a frutto le sue sperimentate capacità militari addestrando personalmente il gruppo di volontari che avrebbe poi guidato in battaglia. Un mese dopo con trecento garibaldini, giunse sul fronte di Madrid, dove fu nominato comandante di compagnia [...] partecipò quindi alla battaglia di Mirabueno. Qui sull’altura di El Matoral, cadde alla testa dei suoi uomini il 5 gennaio 1937. Una imponente manifestazione a Madrid rese l’estremo saluto a P. mentre a Parma e in tutta l’Italia l’esempio leggendario del vincitore di Balbo caduto per la libertà di Spagna alimentava la coscienza antifascista e la volontà di riscossa di un numero crescente di cittadini.

Aldo Eluisi il martire delle fosse Ardeatine.
Nasce a Venezial’11 dicembre 1898. A tre anni lascia con la famiglia la città veneta per stabilirsi nella capitale. Risiede nel distretto di Ponte e lavora fin da giovanissimo come pittore edile. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, partecipa al primo conflitto mondiale nei reparti d’assalto dell’esercito regio. Nei giorni della disfatta di Caporetto si distingue in operazioni particolarmente audaci ricevendo dai comandi una proposta per il conferimento di medaglia al valore. A guerra finita torna nella capitale diventando da subito una delle figure più in vista della locale sezione dell’associazione tra gli Arditi d’Italia. Partecipa all’impresa fiumana.
Anarchico e convinto antifascista, nell’aprile del 1921, viene eletto consigliere all’interno del nuovo comitato d’azione dellasezione romana dell’ANAI. Pochi mesi dopo è, insieme agli ufficiali Secondari e Pierdominici, tra i fondatori degli Arditi del Popolo.
Membro del Direttorio cittadino dell’organizzazione, in qualità di capo della centuria del rione di Ponte, è alla guida della resistenza militare organizzata dagli Arditi in risposta agli attacchi squadristi, nel novembre 1921, nell’aprile 1922, nel maggio e nell’ottobre dello stesso anno. Arrestato una prima volta il 20 agosto del 1921, l’anno seguente è nuovamente incarcerato: «Per aggressione a danno di fascisti». In seguito alla vittoria mussoliniana, viene pugnalato, nel 1923, da una squadraccia durante una rissa alla trattoria Masseroni, in piazza Fiammetta. Arrestato nel 1928 per possesso illegale di armi da fuoco, nel 1930, in seguito «Ad agitazione fra gli Arditi», viene diffidato dallo svolgere attività non consentita in seno alla mussoliniana FNAI. L’anno successivo gli viene imposto l’obbligo di munirsi di carta d’identità.
Dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla sfortunata difesa di Roma dall’occupazione delle divisioni tedesche, battendosi con onore a Porta San Paolo e alla Madonna del Riposo. Nei mesi dell’occupazione è insieme a Vincenzo Baldazzi, incaricato dal CE del partito d’azione, in assenza di Bauer, di dirigere il movimento resistenziale, alla testa delle formazioni gielliste, con la qualifica di comandante equiparato al grado di capitano. Colpito da mandato di cattura, in novembre, sfugge a un primo tentativo d’arresto da parte delle SS tedesche ma tradito da un delatore viene, in seguito, arrestato. Torturato per giorni alla pensione Jaccarino dalla banda di Pietro Koch senza cedere mai, cade fucilato nel marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Il 5 marzo 1945 è commemorato al cinema Altieri per iniziativa del Partito d’azione. Nel 1947, su proposta del comitato provinciale dell’ANPI, gli viene conferita la medaglia d’oro al valore militare alla memoria. La sua figura rimane una delle più belle, delle più gloriose del movimento di resistenza romana.