Bergamo – La mano che muove il mercato è invisibile. Non si vede ma c’è, spostando i prodotti secondo le leggi della domanda e dell’offerta. La mano che muove il mercato è invisibile, però non è trasparente. Questo il punto centrale del dibattito sulle pratiche di consumo critico e di solidarietà attiva ai braccianti e ai piccoli produttori avvenuto il 17 Aprile nel più ampio quadro di eventi inaugurato da UniBergamoRete.
La discussione, presieduta da Mimmo Perrotta, docente di Comunicazione interculturale e Sociologia all’università di Bergamo, si è sviluppata a partire dalla visione del documentario “L’altra Faccia dell’Arancia”. Il film racconta gli sforzi, la crescita e gli obiettivi della Rete di Economia Solidale del Sud (RESSUD) e unisce i due volti della lotta all’inequità nel commercio dei prodotti alimentari (e non solo): attivisti politici e consumatori critici, spesso facenti parte dei Gruppi di Acquisto Solidale. L’analisi critica di Perrotta ha evidenziato come le pratiche di solidarietà attiva, di chi si impegna contro la segregazione dei lavoratori migranti su tutto il territorio nazionale, e gli acquisti solidali dei gruppi d’acquisto, finalizzati a ricostituire filiere produttive sostenibili e trasparenti, non solo siano complementari, ma debbano riuscire a diventare sempre più integrati per poter comprendere in maniera significativa quali sarebbero le loro vere potenzialità politiche e sociali. Ad un’azione diretta di sostegno, quindi, andrebbe affiancato un supporto economico costante che tenga in considerazione l’estrema complessità della distribuzione organizzata e delle sue conseguenze sociali.
Entrambi gli approcci, però, lavorano da tempo per sostenere i lavoratori nella produzione e nella distribuzione dei beni alimentari, spesso offuscati dalla disponibilità di prodotti a basso costo. Evitando facili semplificazioni che individuerebbero ruoli ben definiti e stigmatizzati nello sfruttamento del bracciantato, come l’immigrato schiavo o il caporale aguzzino, il ritratto che è stato dato della situazione di sfruttamento nelle campagne è tutt’altro che un fenomeno localizzato e circoscritto alla Puglia o alla Calabria. Gli interventi dei relatori hanno composto un quadro articolato che sottolinea la vulnerabilità dei piccoli proprietari agricoli dovuta alla monocultura, come ricordato da Erica Rota delle Brigate di Solidarietà Attiva, e evidenzia l’insostenibilità dell’odierna organizzazione del trasporto e la chiusura generalizzata dei piccoli negozi che non riescono a competere con i prezzi delle grandi catene. La problematica, in primis cittadina, di accedere a cibo economico per far fronte all’alto costo della vita e dei servizi stimola la crescita di strutture e canali che possano provvedere a tali bisogni.
Qualificante il fatto che questo discorso non sia determinato dalle sole fasce di popolazione che non possono permettersi altri beni che quelli alimentari, ma dalla maggioranza dei consumatori. I prodotti in questione, infatti, sono quelli comprati da tutti: la frutta, la verdura, il pane e la pasta che si comprano al supermercato proprio perché, molto spesso, costano di meno. Il risparmio che i compratori hanno nel scegliere questo tipo di approvvigionamento, però, non fa i conti con i costi invisibili che concorrono all’aumento della povertà diffusa nel tessuto urbano ed extraurbano: le condizioni di sfruttamento dei braccianti, l’esiguo salario dei lavoratori agricolo, la pericolosità del lavoro dei trasportatori, le migliaia di esercizi commerciali che chiudono, l’enorme consumo di terreno (agricolo e non solo).
Questo tipo di comportamento generalizzato è alla base della critica fatta dai GAS (Gruppi di Acquisto Solidale). Nel solo territorio bergamasco si contano più di sessanta GAS, attraverso i quali si servono moltissime famiglie. E il loro numero è in aumento, anche a fronte dei benefici economici portati constatati da chi utilizza questo metodo di spesa.
Come ha spiegato Laura Norbis, coordinatrice di Rete Gas Bergamo, i GAS non solo permettono di risparmiare, ma coloro che vi partecipano contribuiscono a costruire relazioni stabili con i produttori, non omettendo niente o nessuno dal calcolo del costo sociale ed economico che i prodotti hanno.
La crisi è un altro di quei prodotti a basso costo che nasconde una chiara visione delle tematiche in questione: le condizioni di sfruttamento e di continua e lenta perdita di potere politico ed economico delle persone non si sono create negli ultimi tre anni. Il percorso è lungo e fittamente ramificato negli avvenimenti storici degli ultimi venti anni, a cominciare dalla legge sulla liberalizzazione del mondo del lavoro del 1996 che ha rinvigorito o resuscitato il fenomeno del caporalato, passando per la facilitazione del doppio mercato del lavoro, quello legale e quello dei sans-papiers, tramite l’approvazione di leggi restrittive sull’immigrazione. Parallelamente la costituzione di un mercato dove la concorrenza non può che essere giocata al ribasso e su grandi numeri. Nel mercato reale la concorrenza perfetta non esiste e le condizioni per chi deve vendere il proprio prodotto sono dettate da dinamiche vincolate alla grande distribuzione organizzata. I vari marchi della distribuzione decidono il prezzo, in base alla produzione, lasciando libera scelta ai coltivatori di decidere se utilizzare questo canale o vendere ad altri, in molti casi inesistenti.
Ed è proprio per creare alternative che la Rete di Economia Solidale del Sud ha inaugurato Sbarchi in Piazza, il mercato itinerante, la cui tappa bergamasca sarà sabato 27 Aprile al piazzale degli alpini. Un aiuto reciproco tra GAS e produttori della RESSUD per promuovere un nuovo significato di concorrenza: correre assieme, collaborare in rete per poter propagare le idee virtuose di cambiamento sociale ed economico. L’idea degli Sbarchi in Piazza è infatti quella di uscire dall’inevitabile conflitto tra produttori per poter vendere nei circuiti dell’economia solidale, cercando di “allargare la torta” in modo tale da potersi servire tutti e potersene servire tutti. Questi mercati nelle piazze delle città italiane sono chiari esempi di come si possa concorrere a creare un nuovi tipi di economia e nuove forme di impegno civile, in un ambiente come quello cittadino culturalmente e politicamente asfittico, illuminato dalle luci al neon dei supermercati.