Il primo maggio, per il decimo anno consecutivo, le strade di Milano sono state squarciate dal grido “Mayday! Mayday!”. Un grido lanciato come allarme dieci anni fa da una generazione che vedeva scomparire il suo futuro, un grido che è diventato urlo di battaglia, seguendo la rabbia del precariato che non era più soltanto una generazione, e un grido che torna ad essere ancora di allarme, allargandosi a tutti i soggetti che vivono nei territori di una metropoli sempre più chiusa e opprimente.
L’EuroMayday Parade di Milano ha visto la partecipazione sconfinata di quasi 150.000 persone, è stata la più grande manifestazione del primo maggio in Europa e in Italia. Ha visto sfilare sotto l’effige di San Precario tutte le lotte dei precari e delle precarie che da anni producono la ricchezza del territorio lombardo, ne costituiscono la forza innovativa e ne definiscono il tessuto sociale. Quelle stesse realtà che oggi sotto il peso della crisi vedono i loro diritti e il loro reddito sempre più espropriati.
C’erano i lavoratori in lotta delle fabbriche, dei call center e dei teatri. I migranti che hanno dato vita agli scioperi del primo marzo. C’era il lavoro cognitivo degli studenti (precari di oggi e di domani) e dei lavoratori dei giornali, delle redazioni, delle scuole e delle università. E c’era quel corpo sociale che da anni anima la Mayday, dai sindacati di base ai centri sociali di Milano e provincia, fino al Barattolo di Pavia vigliaccamente colpito da uno sgombero solo 3 giorni più tardi.
Ma la precarizzazione si espande oltre al nostro lavoro, la Mayday lo denuncia da anni e lo ribadisce quest’anno tramite le lotte che si agitano sui territori di questa metropoli, come le reti che resistono all’aggressione speculativa dell’Expo o dei piani di abuso delle città. La precarizzazione si estende ai rapporti di genere e alla dinamica violenta con cui sono vissuti in questa società: “RiGeneriAmo!” era il canto della Mayday. Un percorso per rigenerare gli immaginari, i territori e le culture, per “guardarsi attorno per non guardarsi alle spalle”.
La Mayday è diventata in questo decennio la giornata di sintesi dei percorsi di lotta dei precari e delle precarie, ma è diventata anche una parentesi di libertà in una metropoli come quella milanese che ha tolto ogni spazio di libera espressione a chi la vive ogni giorno. Una metropoli governata da 20 anni da una giunta meschina, che proprio in questi giorni non si è fatta pregare nel concedere spazi all’evidente provocazione di alcuni gruppi neofascisti che hanno scelto di sfilare proprio tra il 25 Aprile e il Primo Maggio. Il nostro Primo Maggio è stato una giornata di liberazione da quest’oppressione. Per un giorno il centro di Milano è stato dei precari e delle precarie, dei giovani che mai hanno beneficiato dello “spazio pubblico” e di chi questo spazio lo vuole riconquistare. La forza di un decennio di MayDay ha obbligato il Comune a lasciare i negozi chiusi, lasciando che tutte le strade fossero solo di quella marea umana che era idealmente abbracciata tra la testa e la coda del corteo.
Tra lo spezzone No-oil, felice di pedalare libero dall’oppressione automobilistica e la lunga fila dei carri dei sound, di chi auto-produce cultura e libera spazi di aggregazione. Lo spazio liberato della MayDay si è riempito di una grandissima festa, che si è protratta nella notte al termine del corteo. Un fatto considerato scandaloso da molti, sia dalle autorità reazionarie e bigotte che governano questa città, sia dai “puristi” del conflitto. A dimostrazione di come, nella città delle porte chiuse e delle occasioni perse, anche la festa e il ballo siano momenti di rottura e di produzione sociale.
La richiesta comune della Mayday è stata quella di nuovi diritti per i precari e per tutti i lavoratori e le lavoratrici che precarie sono nei fatti: i migranti ma anche gli ex-garantiti, sempre più soggetti a licenziamenti, esternalizzazioni, delocalizzazioni. Un welfare adeguato alle trasformazioni del lavoro che i precari conoscono bene deve comprendere garanzia di reddito tra un contratto e l’altro e accesso ai servizi come scuola, sanità, pensioni, ma anche saperi, trasporti, beni comuni, casa.
Intanto il viaggio verso la Mayday 2011 è già cominciato, e il primo appuntamento sarà il Festival No-Expo, a Rho, al centro sociale SOS Fornace dal 28 al 30 maggio per parlare della ristrutturazione e della svendita dei nostri territori.
Mayday mayday!
Tutti i video e materiali su Speciale Mayday 2010 (in costate aggiornamento)
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