La manifestazione anti-nucleare in Giappone

Il più grande corteo degli ultimi dieci anni, a Tokyo, raccontato e fotografato da chi c’era
10 aprile 2011  di Simone Pieranni (da Il Post)

A occhio diecimila persone, quindicimila secondo gli organizzatori, hanno dato vita alla più grande manifestazione degli ultimi dieci anni in Giappone. Lo slogan più usato è stato “No al nucleare” ma il corteo ha mescolato sentimenti anti-nucleare alla rabbia contro la TEPCO e il governo giapponese, rei di avere informato a singhiozzo – e male, e chissà se veramente – la popolazione circa i rischi successivi al terremoto e allo tsunami che hanno colpito il nord del paese quasi un mese fa.
Giornata di sole, molte le famiglie e le persone per la prima volta in piazza a Koenji, quartiere fuori Tokyo, ma noto per la presenza di attivisti che vivacizzano da sempre la zona. Apertura punk del corteo (ma in testa a tutto una macchina della polizia, a controllare che tutto filasse liscio), chiusura più freak con soundsystem reggae: in mezzo c’era di tutto. La manifestazione è stata tagliata in più parti dai poliziotti, postisi come cuscinetto. Il corteo era quindi spezzato in sei o sette tronconi e in questo modo le persone hanno sfilato più raccolte a bordo della strada, consentendo di non bloccare il traffico.

La manifestazione fino a questo momento è stata ignorata dai media ufficiali giapponesi. Nel giorno della manifestazione, peraltro, gli schiaffi al governo democratico di Naoto Kan, non sembrano ancora finiti. Al premier, cui si rimprovera poca personalità nella gestione della crisi (qualche cartello oggi lo rappresentava marionetta nelle mani della TEPCO) potrebbe arrivare un altro brutto colpo dalle elezioni locali svoltesi oggi in alcune prefetture.

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Racconto dell’ultima giornata di preparazione della manifestazione AntiNucleare in Japan

Giappone: tra gli organizzatori della manifestazione “no nuke”

Simone Pieranni | 09-04-2011 – 10:08:56
Mentre camminiano tra piccole case e una lunga strada deserta, chiedo a Kaori come si senta. «Sono incazzata, mi risponde, perché tutto questo poteva essere evitato». Ha la faccia stanca, un piercing al naso, si muove rapida, peserà 45 chili: è in costante attività dall’11 marzo, il giorno dello tsunami. Facciamo insieme un breve percorso verso la metropolitana, per uscire definitivamente da Sanya, nord ovest di Tokyo, ricettacolo di homeless e disoccupati giapponesi, un posto che non è neanche sulle mappe della città perché il governo se ne vergogna, ma che è diventato un centro di smistamento per gli aiuti alle zone terremotate. 

«Vorrebbero cancellarlo», mi dice, prima di lasciarmi nello scompartimento della metro, caldo e rilassato, dopo avermi ricordato con un sorriso recuperato chissà dove, che alla manifestazione di domenica parteciperà anche il suo gruppo musicale. Alcuni giorni a percorrere in lungo e in largo la capitale giapponese e la sensazione che tutto sia diverso, da quanto letto, da quanto ascoltato in televisione. Una scossa ogni tanto, mentre Tokyo prova a rimettersi in moto, a sfiorare una normalità che sembra un ricordo. Ci si aggrappa alla vita quotidiana, fatta di giacca e cravatta per sfrecciare nella city come tanti Mr Smith nella Matrix giapponese, o Shibuya o Shinjuko i quartieri dove si ricomincia a comprare, come al solito, tra schermi giganti che ritornano a sprigionare luce e suoni. Poi di notte, tutto torna ad essere più buio e cupo: è lieve e malinconico il day after di Tokyo.

Qualcuno, per avere preso due giorni di festa durante il terremoto, ha perso il lavoro perché c’è uno stress diffuso, una reazione post trauma, dovuta a giorni in cui era impossibile dormire. Ora però, è il momento delle reazioni. In un piccolo vicolo, al terzo piano di un palazzo anonimo nella zona a sud ovest della città, Kei finisce di preparare, da solo, con macchina da cucire, le magliette per la manifestazione. «Siamo tranquilli esteriormente, mi spiega, ma dentro stiamo soffrendo e se fossi uno straniero, me la sarei già data a gambe». Ecco il contrasto di Tokyo: gli stranieri, italiani compresi, che dicono, «non è successo niente, tranquilli il governo ha tutto sotto controllo, è la stampa internazionale che ha creato il panico» e invece gli attivisti giapponesi che ribattono, «andatevene che questi vi stanno riempiendo di bugie».

La manifestazione prevista per domenica sta montando bene: «parteciperanno anche alcune star giapponesi, attrici, cantanti, la gente finalmente si rende conto che non parlavamo a vanvera», mi spiega Kei. In un paese in cui i negozi falliscono se hanno le luci soffuse, una mentalità che sembra chiedere sempre più luminosità, bisognerà pur ripensare a forme alternative di energie, insieme ad una riflessione compiuta sul reale bisogno energetico del paese e i suoi abitanti: questo il tasto sul quale hanno deciso di puntare le organizzazioni che stanno mettendo ogni risorsa negli aiuti e nelle manifestazioni. L’appuntamento di domenica infatti sarà preceduto, domani, venerdì, da un raduno di protesta davanti alla sede della Tepco. Quest’ultima è riuscita in un’impresa non da poco: canalizzare, insieme al governo, tutte le informazioni che arrivano dalle zone terremotate e da Fukushima, a suon di rilevazioni, di errori e di «tranquilli, tutto è sotto controllo».

Qualcuno però non ha creduto ad un’azienda che mette una valanga di soldi come sponsor nelle iniziative delle tv nazionali. C’è chi ha rifiutato i loro aiuti e le loro scuse, per sentirsi liberi di criticare la Tepco e chi, in fretta e furia, ha costruito un media center improvvisato a Sendai: Planet tv, on line, trasmette video di aggiornamento, e grazie a legami con ingegneri, si è provveduto a fare rilevazioni in proprio. Guardo il video con Gen, disoccupato e spaventato da tutto quanto accade, che mi traduce la voce dello speaker, mentre i volti di vecchietti zoppicanti scorrono sullo schermo: «la verità è che le radiazioni sono altissime a terra e si muovono in modo indiscriminato e irregolare, esistono zone dove sono molte volte più alte di quelle annunciate: sono aree non ancora evacuate, dove la gente è senza acqua, luce e senza aiuti, perché il governo ha voluto controllare tutto, per non dimostrare la propria inefficienza, mettendo quando possibile il bastone tra le ruote delle organizzazioni indipendenti che fanno su e giù da Tokyo al nord per portare beni di prima necessità, cibo, coperte». Senza contare che con il rischio Fukushima, di volontari non ce ne sono a migliaia.

Nella serata giapponese una nuova riunione: si riempiono le sale delle sedi sindacali per parlare di nucleare e per la manifestazione, perché c’è da fronteggiare un’ondata organizzativa inusuale per i soliti numeri, bassi, di queste attività in Giappone. Logistica, esibizioni: alla ricerca della felicità, fosse anche solo quella di vedersi riconoscere anni di battaglie antinucleari, dopo un evento dai costi umani ancora tutti da scoprire.

[Foto China-Files]

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