La rabbia di Roma viene da lontano

Il movimento che si è sviluppato in queste settimane e che ha trovato nelle manifestazioni di questi giorni la sua espressione estetica (dal salire sui tetti, sulle gru e sulle torri, dall´occupazione delle piazze, sino ai riots del 14 dicembre 2010) è un movimento variegato e scomposto. Come è la precarietà. E non può essere altrimenti. È la manifestazione del disagio della condizione di precarietà, ma senza che la “soggettività precaria” venga mai nominata e posta al centro dell´azione.

Si parla infatti sempre di segmenti di lavoro: i ricercatori, gli operai, gli studenti, i lavoratori della cultura e dello spettacolo, ecc.. Solo con la condizione migrante si regista un´accezione unica che travalica le singola condizione professionale, ma tale condizione è comunque vista come “separata”, a sé stante. Insomma, non si è ancora espresso un movimento della precarietà, se non come manifestazione di esistenza, nell´affermazione “siamo noi,precarie e precari, a produrre la vostra ricchezza, lo rivendichiamo, siamo visibili”. Ora più che mai occorre creare un punto di vista precario: proposte capaci di ribaltare ricatti e impoverimento in una visione corale, innotiva,capace di riproporre una priorità: della (nostra) vita sul lavoro.

Diverse generazioni hanno attraversato la piazza. E in essa forse si è percepito una discontinuità. I più giovani che hanno fortemente contribuito a scaldarla sono i primi a rendersi conto che non c’è l’illusoria possibilità di un ritorno al passato ai vecchi diritti, alle vecchie categorie, ai vecchi protagonismi. Speranza che invece ha albergato molto nelle in/coscienze delle prime generazioni precarizzate (che oggi vanno sulla quarantina) e per questo hanno manifestato tutta la loro rabbia e frustrazione. E ci sta tutta.

Lo ripetiamo: le migliaia di persone che il 14 dicembre a Roma si sono scontrate con gli sbirri non sono black-bloc, non sono infiltrati, non sono cattivi e finalmente hanno smesso di essere buoni. Per questo è fondamentale che l’elaborazione di un punto di vista precario venga declinato come prioritario.

Cosa significa? Che i diversi segmenti del lavoro si riconoscano nell´essere parte di una condizione precaria esistenziale, strutturale, generalizzata e per di più”generazionale”. E´questa condizione comune che viene prima dell´essere migranti, chainworker, operai, cognitari, ecc., ecc. Invece purtroppo, la logica politica delle alleanze e dell´immediatezza spesso piega al contingente ciò che è invece l´essenza della presa di coscienza conflittuale.

Gli Stati Generali della Precarietà sono uno strumento per la ricomposizione sociale della condizione precarietà. Condizione necessaria (anche se non sufficiente) perchè il conflitto si manifesti non solo come strumento di distruzione dell´esistente (banche comprese), ma anche come momento di appropriazione del futuro.

14-15 gennaio, Stati Generali della Precarietà 2.0. Stay tuned.

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