La storia è nota: con soli tre giorni di preavviso l’assessore milanese Terzi firma la delibera per l’apertura degli esercizi commerciali il primo maggio. L’apertura è voluta dalla Moratti in vista del tornaconto elettorale. I sindacati proclamano sciopero. I garantiti possono scioperare, i precari no. I sindacati piagnucolano, sanno che non funzionerà. Questo risultato è il frutto avvelenato di anni confusi e infausti in cui la “festa dei lavoratori” si è trasformata in “festa del lavoro”. La differenza è chiara: se si festeggiano i lavoratori questi stanno a casa, se si festeggia il lavoro che male c’è a lavorare? Anzi – questo è un suggerimento di San Precario alle parti più avanzate e meno provinciali del liberismo nostrano – in una vera festa del lavoro i lavoratori dovrebbero lavorare gratuitamente, col sorriso sulla bocca, felici dell’opportunità.
Domenica ore 10.00. I devoti di San Precario guardano perplessi la stampa. L’assessore Terzi li accusa di terrorismo. La minaccia sarebbe contenuta nell’ “anatema” lanciato qualche giorno prima in cui si maledice chi terrà alzate le saracinesche e in cui sono annunciati picchetti e azioni comunicative davanti ai negozi aperti: i devoti del santo non sono terroristi ne mafiosi. Con uno di quei tipici ribaltamenti di senso che, caratteristica di questi tempi e di questa società, pare che la provocazione sia l’anatema e non l’apertura dei negozi. Comunque, i precari in piccoli gruppi fanno azioni dimostrative, creative e comunicative, un pò qua e un pò là nell’arco della mattinata. Più tardi alcuni precari si ripresentano ai negozianti per spiegare le loro motivazioni. Il primo maggio non si lavora, il primo maggio sfileranno decine di migliaia di persone per le vie del centro. I negozi chiudono o rallentano la loro attività.
Domenica ore 15.00: la Mayday, il corteo dei precari, parte. I negozi sono praticamente tutti chiusi e non solo per il passaggio dei cattivi precari. Molti lo rimarranno anche il pomeriggio, dopo il passaggio del corteo. I precari, gli studenti, i migranti e gli operai attraversano un centrocittà restituito al giusto ordine delle cose. I manifestanti ballano, gridano, cantano, insomma manifestano fra i negozi chiusi. Sono tantissimi. L’impressione è che non ci riproveranno a ribaltare il senso del primo maggio. La Mayday ha respinto le provocazioni conto Terzi, senza violenze ma con fantasia e determinazione e con la forza di chi sa di essere nel giusto.
E dovevate vederle le facce tristi dei commessi, delle madri obbligate a lavorare in una domenica di sole, chiuse dietro le casse mentre i figli restavano soli a casa. Di questo non si parla. Nessuno ha spiegato delle maledizioni che a denti stretti ci ripetevano i lavoratori costretti in tre giorni a cambiare turni e programmi, piegati dal diktat dell’assessore Terzi. Alla faccia di chi non ha saputo difendere la dignità e i diritti dei lavoratori milanesi, la Mayday è stata grande, pacifica, gioiosa, e ha parlato di come rispondere al ricatto che ci obbliga ad accettare qualsiasi cosa, anche a lavorare il primo maggio. Per questo autunno costruiremo il primo sciopero precario, la mayday ne è stato un antipasto, una piccola prova generale e, lì, la nostra voce si farà sentire ancora più alta.
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