A proposito della cd. Riforma Gelmini.
In questo scritto, riporto alcune annotazioni di una lettera dell’Associazione Italiana di Psicologia in merito ai presupposti punti meritevoli del DDL Gelmini sull’Università. Volutamente si tralasciano le critiche più comuni, ovvero il taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario, il maggior potere dato al Consiglio di Amministrazione nel momento stesso in cui esso si apre ai privati con elevata capacità di condizionamento delle politiche didattiche e di ricerca degli Atenei, la possibilità di reperire fondi tramite l’istituzione di Fondazioni di diritto privato, premessa per una privatizzazione dell’università pubblica, incremento della già elevata precarizzazione della figura dei ricercatori, con la scomparsa del ricercatore a tempo indeterminato, il processo di indebitamento degli studenti (finanziarizzazione dell’università).
Si tratta dei punti che sono stati alla base delle proteste dei giorni scorsi. Tuttavia, nel dibattito che a livello mediatico ha interessato l’iter parlamentare del DDL Gelmini sono state speso enumerate anche da autorevoli docenti (ad esempio, Giavazzi sul Corriere della Sera) una serie di buone ragioni a sostegno della riforma universitaria. Tali argomenti a sostegno della bontà del DDL stesso raramente sono state effettivamente analizzate. Con questo contributo si vuole fare un minimo di contro-informazione al riguardo.
Secondo i sostenitori della riforma, cinque sono le ragioni che volgono a favore dell’approvazione del DDL Gelmini. Esse sono:
1. Si tratta finalmente di una riforma, necessaria per adeguare l’Italia agli standard europei.
2. Vengono ridotti i cosiddetti corsi di laurea inutili e gli Atenei improduttivi.
3. Si favorisce la possibilità di studiare per gli studenti meritevoli, incrementando il diritto di studio.
4. Si introduce la meritocrazia nelle procedure di reclutamento dei docenti universitari e in tutto il sistema universitario.
5.Viene ridotto il potere dei baroni.
SI tratta di cinque affermazioni false. Analizziamole ora, una per una.
1) E’ falso che il DDL sia una riforma.
Il DDL è essenzialmente vuoto, consiste di 500 norme, che richiederanno 100 regolamenti attuativi, 35 dei quali emanati solo dal Governo. Di fatto, saranno questi decreti a stabilire come sarà l’Università italiana, non il DDL. Pur essendo alcuni dei principi indicati astrattamente condivisibili e declamati anche nelle università straniere (semplificazione, razionalizzazione, attribuzione ad un’unica struttura “delle funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica e delle attività didattiche”), essi rimangono indefiniti in assenza dei decreti attuativi.
2) E’ falso che il DDL riduca i cosiddetti corsi di laurea inutili e gli Atenei improduttivi.
Il DDL non tratta per nulla l’argomento. In ogni caso, la decisione sull’attivazione di corsi di laurea è presa ogni anno dal Ministero stesso, in base ai criteri stabiliti dalle leggi precedenti (Articolo 2, comma 5 p. 7).
3) E’ falso che il DDL favorisca la possibilità di studiare agli studenti meritevoli (Articolo 4, comma 1b, p. 18). Infatti, non indica né l’ammontare delle borse di studio, né l’ammontare complessivo dei fondi per le borse, né le procedure per l’attribuzione delle borse (si fa riferimento a prove nazionali standard, ma queste non sono specificate, così come non si specifica chi le dovrebbe creare e somministrare). Inoltre, le borse sono indipendenti dal reddito familiare; di fatto, questo comporta una riduzione delle probabilità di ottenere una borsa di studio per gli studenti a reddito familiare basso se non vi sarà un aumento nell’ammontare complessivo dei fondi.
4) E’ falso che il DDL introduca la meritocrazia nelle procedure di reclutamento dei docenti universitari.
Infatti:
a. l’abilitazione scientifica nazionale non prevede un numero massimo di abilitati, non ha conseguenze immediate (l’assunzione in ruolo), dipende dalla valutazione di pubblicazioni e curriculum dei candidati sulla base di criteri minimi stabiliti dal Ministro sentita l’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca). In pratica chiunque abbia un minimo di pubblicazioni avrà l’abilitazione (articolo 16, comma 4, p.48).
b. Le vere assunzioni poi saranno decise dai singoli Dipartimenti in base al voto della maggioranza dei professori (articolo 18, comma 1, p. 50). Un Dipartimento è libero di assumere chiunque tra i candidati in possesso dell’abilitazione. Non c’è alcun vantaggio ad assumere i più meritevoli, né alcuno svantaggio ad assumere i meno meritevoli, perché l’attribuzione del 10% del fondo di finanziamento ordinario (FFO) avviene in base alla valutazione (da parte dell’ANVUR) degli Atenei, non dei Dipartimenti (articolo 5 comma 5 p. 27). In un Ateneo con molti Dipartimenti l’assunzione di un candidato poco meritevole non comporta un danno rilevante e l’assunzione di un candidato meritevole non comporta particolari vantaggi.
c. Il DDL introduce che i ricercatori a tempo determinato rimangono tali per massimo sei anni (Articolo 24, comma 3, p. 66). Poiché non c’è corrispondenza tra i posti da professore associato e i ricercatori, un certo numero di questi, pur scientificamente meritevoli, non potranno essere assunti a tempo indeterminato (il contrario della tenure statunitense). Una conseguenza sarà che i ricercatori dovranno sottrarre tempo alla ricerca per svolgere attività professionali che consentiranno loro di vivere se non otterranno una posizione permanente nell’Università e
a svolgere comunque la loro attività di ricerca alle “dipendenze” di uno o più professori, poiché da loro dipenderà la loro eventuale assunzione. In pratica, fino a 36 o 37 anni un ricercatore non potrà, di fatto, avere una propria attività di ricerca autonoma.
d. Il ruolo degli attuali ricercatori a tempo indeterminato è a esaurimento (Articolo 6, comma 4, p.31). Dovranno competere con i ricercatori a tempo determinato per il ruolo da professore associato ma in posizione di obiettivo svantaggio, perché già assunti. La loro carriera sarà di fatto bloccata, indipendentemente dai loro meriti scientifici.
e. Il DDL abolisce sia il periodo conferma di tre anni per gli associati che lo straordinariato. Quindi, a differenza di quanto avviene oggi, una volta assunti in ruolo i professori non sono più sottoposti a una verifica della loro attività scientifica che consenta il loro licenziamento se improduttivi. L’unico danno per i docenti improduttivi è la mancata
attribuzione dello scatto triennale.
f. Il DDL stabilisce che un Dipartimento non possa assumere un docente che abbia un legame di parentela con un membro del Dipartimento stesso (Articolo 18, comma b, p. 50). La norma è facilmente aggirabile: basta che ad assumere sia un altro Dipartimento. Inoltre il problema dell’Università Italiana non è l’assunzione dei parenti, ma quella dei non meritevoli. Quindi, questa norma, non solo non propone criteri meritocratici di assunzione ma impedisce in modo discriminatorio l’assunzione di alcuni, a prescindere dal merito. E’, pertanto, chiaramente contraria alla Costituzione.
g. Il DDL stabilisce che l’ANVUR valuti le “politiche di reclutamento” degli Atenei, ma non chiarisce cosa s’intenda per “politiche di reclutamento” (Articolo 5 comma 7 p. 32).
5) E’ falso che il DDL riduca il potere dei cosiddetti “baroni”.
Infatti, il potere dei “baroni” crescerà molto perché il DDL attribuisce il potere decisionale a meno persone e solo ai professori ordinari:
a. Il DDL aumenta il potere decisionale del Consiglio di Amministrazione (che assume anche funzioni di indirizzo strategico) e diminuisce il numero dei suoi membri (al massimo undici, per le università
più grandi). Negli undici sono inclusi i tre membri esterni al corpo accademico e i rappresentanti degli studenti. Quindi, solo circa sei membri del CdA saranno accademici (solo professori ordinari) (Articolo 2, comma i, p.7).
b. Il numero dei professori ordinari diminuirà nettamente nei prossimi anni a causa dei pensionamenti già previsti e della possibilità di impegnare i fondi liberati per l’assunzione di nuovi ordinari solo nella misura del 20% (Articolo 12, comma 1, p.42).
c. Solo i professori ordinari fanno parte degli organi decisionali degli Atenei.
d. Solo i professori ordinari fanno parte della Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale (Articolo 16, comma 1, p. 48).
e. Solo i professori ordinari del Dipartimento decidono, a maggioranza, la chiamata di professori ordinari in quel Dipartimento (Articolo 18 comma e, p, 51).
f. Tutte le altre componenti del corpo accademico (ricercatori a tempo determinato e professori associati) dipendono per la loro carriera dalla decisione presa dai professori ordinari.
Per il poco che il DDL norma, quindi, l’Università sarà governata da pochi professori ordinari alla guida di gruppi forti (in termini di alleanze, non necessariamente scientificamente) e composta da una maggioranza di ricercatori e professori associati senza alcun potere decisionale e senza autonomia di ricerca. Le conseguenze di ciò sulla qualità della didattica e della ricerca non potranno che essere negative. Inoltre con l’articolo 18, comma 3, p. 52 relativo alla “Chiamata dei professori”, il DDL rende possibile che gli oneri derivanti dalla chiamata di professori possano essere a carico anche di soggetti privati, previa stipula di convenzione per almeno 15 anni. Permettere l’uso di contributi
privati a condizione di una convenzione solleva delle riserve sui rischi di privatizzazione, almeno parziale, dell’università pubblica.
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