A Milano, il primo maggio, festa dei lavoratori, circa metà delle attività commerciali sono aperte: non solo bar e ristoranti, ma anche negozi e ipermercati. È l’effetto della liberalizzazione voluta dal governo Monti nel 2012: ognuno può fare quello che vuole, decidere di chiudere o meno. Ma “o meno” va sempre di più per la maggiore. “Produci, consuma, crepa”, frase di una vecchia canzone dei CCCP, è una triade, imperativa, a cui ci si assoggetta con entusiasmo crescente. E, a quanto pare, ormai non c’è celebrazione che riesca a frenarla. Nonostante, in Italia e non solo, avere un lavoro non sia né facile né comune. E, se lo si ha, spesso è precario: il che solitamente vuole dire anche in nero e sottopagato, comunque non tutelato. I lavoratori “instabili”, o “atipici” (che come definizione però, a me, ha sempre fatto sorridere, amaro), in tutto il Paese sono circa tre milioni e mezzo e hanno serie difficoltà a vivere il presente, figuriamoci a costruire -o perlomeno a immaginare- un futuro. Così, questi atipici, nel capoluogo lombardo, oltre ad essersi dedicati un patrono, chiamato San Precario, si sono anche inventati una festa, la MayDay Parade, che, da ormai quattordici anni (in contemporanea con molte altre metropoli del mondo), il pomeriggio del primo maggio sfila per le strade della città, riappropriandosi di uno spazio pubblico che viene sempre più spesso negato: è un’invasione metropolitana creativa, colorata e festosa, guidata da vari camion addobbati come carri allegorici e trasformati in sound system, che diffondono musica a tutto volume, spaziando dalla tecno al reggae.
«Non pensavo che Milano fosse talmente loca», ha esclamato stupito un ragazzo argentino, appena arrivato in città e trovatosi improvvisamente nel mezzo di questa street parade. «Solo oggi è così», gli ha risposto un bambino, di 9 anni circa, tenuto per mano dal padre. La consapevolezza non ha età. Quest’anno la manifestazione, oltre ad opporsi all’Expo 2015 e al Jobs Act, aveva tra le sue parole d’ordine il reddito minimo garantito, la gestione comune del territorio e la lotta per il diritto alla casa, alla scuola, alla sanità e alla mobilità, pubbliche e di qualità. Organizzata da varie realtà dell’antagonismo cittadino (tra cui i centri sociali e i No Tav), si è svolta come sempre dopo quella più tradizionale e mattiniera, indetta dai sindacati confederali, e ha preso il via da piazza XXIV maggio, ormai completamente ribaltata, e transennata, per il lavori di riqualificazione in corso. Il corteo ha superato corso di Porta Ticinese e via Torino (dove un commesso di origini africane di un negozio si è messo a ballare sulle note della musica hip- hop ), è entrato in piazzale Cadorna e ha raggiunto il Castello Sforzesco. Qui, fino all’anno scorso, ci si fermava. Quest’anno, invece, si è andati oltre: proseguendo lungo i bastioni di Porta Volta (dove un’anziana famiglia si è affacciata alla finestra di un palazzo, sventolando bandiera rossa), girando prima in viale Francesco Cristi e poi in via Vittor Pisani, arrivando alla stazione Centrale, continuando lungo viale Melchiorre Gioia e infine, dopo oltre quattro ore di camminata, approdando, per la prima volta, in piazza Carbonari.
Qui, è stato “liberato” e restituito alla città uno dei tanti edifici in disuso, abbandonato da anni, che occupa il territorio cittadino, paradossalmente interessato da continue costruzioni edilizie. Ed è proprio in questo spazio labirintico, che un tempo ospitava degli uffici, che la MayDay 2014, invece di terminare, è proseguita con una tre giorni di incontri, dibattiti, proposte e azioni (oltre che di musica, in serata), denominata The NED, acronimo di NoExpoDays. «MayDay 2014 chiede spazi, diritti, reddito. Expo 2015 porta cemento, debito, precarietà: è un grande evento che ha l’obiettivo di illudere gli spettatori e che concentra su di sé roboanti promesse di progresso e di sviluppo, ma anche tutto il peggio di una ricetta di ripresa economica che ruota intorno alla precarietà lavorativa, alla speculazione finanziaria, alle colate di cemento, allo stato d’eccezione e ai poteri speciali. Ci dicono che sta per cominciare la ripresa economica, ma non ci dicono chi ne usufruirà. Non sicuramente i precari, i senza lavoro e/o senza casa, gli studenti con le loro scuole disastrate o i migranti i cui diritti vengono calpestati dalla legge Bossi-Fini e da un discorso razzista diffuso e serpeggiante, quando non ostentato», hanno spiegato gli organizzatori.
I temi trattati nei diversi workshop sono stati moltissimi: dalla possibilità di sperimentare forme monetarie alternative nell’ambito dell’autoproduzione culturale alla necessità di opporsi al lavoro volontario degli studenti, che spinge ed abitua i giovani alla logica competitiva e precarizzante del mercato attuale. Mentre, sul campo dell’alimentazione, è stata individuata nel circuito dei Gas (Gruppi di Acquisto Solidale) una valida alternativa, in grado anche di smascherare i falsi prezzi etici di alcuni supermercati o il businnes che ruota intorno al cibo definito di qualità: il 3 maggio, alcuni militanti sono entrati nel negozio Eataly mettendo in scena un flash mob, in cui prima hanno ballato «per contestare il fatto che dove un tempo c’era un teatro e si faceva cultura oggi c’è sfruttamento» e poi hanno attuato un simbolico “blocco delle casse”, pagando la merce con monetine da 1 centesimo e distribuendo volantini che spiegavano la loro azione ai clienti.