Lettera di Gabriel Pombo da Silva

Il sogno di molti politici è quello di concepire le città come fossero delle carceri: videocamere da ogni lato, così potenti da non permettere di nascondere nulla nell'oscurità, uno sbirro di quartiere che controlli chiunque, la riduzione di qualsiasi protesta o dubbio sul sistema ad una mera questione d'insoddisfazione personale, indirizzandoci nel caso verso la via giudiziaria per garantirci una serie di "diritti", da essi stessi chiamati umani o di base.

Questo sogno non è solo un miscuglio tra 1984 di George Orwell e Un mondo felice di Aldous Huxley, dove i timori, reali o costruiti come devono essere, le tecnologie, le droghe e le biotecnologie stanno facendo dell'essere umano un oggetto del nuovo sistema totalitario.

Questo sogno è la realtà che viviamo oggi, da entrambi i lati dei muri e delle frontiere. Quando diciamo "siamo tutti prigionieri", vogliamo dire che viviamo un'esistenza di oggetti, perché il sistema ci converte in esseri che hanno dimenticato il proprio passato come soggetti, con memoria, coscienza, voglia e capacità di lottare per la libertà, non come adesso dove si applica il lavaggio del cervello attraverso i mezzi di disinformazione.

I programmi di dibattito pieni di intellettuali e di esperti della politica hanno dichiarato che la classe lavoratrice è morta, che non ci sarà più proletariato o che non ci sarà nessun potenziale rivoluzionario che giustifichi la teoria sulla necessità delle rivoluzioni o sulla lotta di classe.

L'unica cosa che ci resterà sarà accettare lo sfruttamento portato avanti dal sistema che si autodenomina democratico e che accetterà solo proteste con mezzi pacifici per evitare di essere molestato il meno possibile.
Ma con lo stesso spirito chiamano le guerre imperialiste come operazioni umanitarie e le torture come tecniche d'interrogatorio e così via con un lungo elenco di eufemismi.

Il peggio non è ciò che fanno gli intellettuali che rappresentano il neoliberalismo e il capitale, quelli che lottano solo per il bene del governo di turno e dello stato, perché fanno semplicemente il loro lavoro, del quale vivono.

Il peggio è vedere ed ascoltare come la gente normale, che è più formata per capire e riconoscere tali cose, ripeta pappagallescamente le menzogne e le stupidità di quelli che ci portano alla rovina, senza fermarsi a riflettere nemmeno un attimo su se stessi.

La guerra di classe non è un'astrazione del passato, che solo serve affinché una parte della classe politica si legittimi come il partito dei lavoratori.
Tutti noi, indipendentemente dall'essere lavoratori, noi che non abbiamo nelle mani il potere e che non vogliamo averlo, siamo quelli che costruiscono la classe proletaria, in maniera cosciente o meno.

Dentro una società in cui c'è una netta distinzione tra gli interessi di chi si trova sotto e chi sopra, è decisivo il tipo di coscienza che hanno quelli che stanno sotto per opporsi a questo sistema di diseguaglianze, pena la sua accettazione.
Per me è importante questa breve introduzione per poter parlare oggi, qui, e dire che la nostra attività politica e i nostri intenti non devono riassumersi in una questione di diritti umani. Essere contro le prigioni in maniera netta, così contro l'isolamento e la tortura, leggera o pesante, significa iniziare la lotta per tutto, all'interno di un sistema in cui, sebbene a diversi livelli, siamo tutti prigionieri.

Nel momento in cui alcuni tra noi si uniranno per lottare contro le prigioni, dovremmo riflettere che ciò che vogliamo non sono le prigioni umanitarie, nessuna prigione può essere umana, così come non possono esserlo la schiavitù o la tirannia.

L'analisi di questa parte della società ci aiuta a comprendere meglio in che tipo di società viviamo. Ciò accade perché la prigione è un piccolo specchio che riflette tutti i valori dominanti e gli strumenti che vengono utilizzati per combattere la resistenza ed il desiderio di vita di coloro che si azzardano a ribellarsi, parlo sia dei detenuti politici che di quelli sociali.

Questi sistemi di distruzione e di tortura, come il FIES in Spagna, il 41bis in Italia, l'Iso-half e l'arresto preventivo (sichereitgewahrsam) in Germania, il QUS in Francia o le celle tipo F in Turchia, devono essere smascherati e sottoposti a proteste in modo da mostrare come vengono rispettati i così detti diritti umani e come si mente nelle terre democratiche.
Noi, persone con o senza coscienza di classe, noi che siamo emarginati non possiamo avere la certezza di non finire in una di queste celle.

Come la spada di Damocle si tratta di qualcosa che resta sempre sulle nostre teste. Certo, dobbiamo organizzarci affinché si uniscano i nostri comuni interessi sopra ogni muro, frontiera o ideologia che possa separarci.

Un esempio è fornito dalla seguente relazione: Pastora, una lavoratrice e lottatrice sociale assieme ad una attivista basca, uno squatter basco, un autonomo tedesco ed io, un anarchico detenuto in Germania.

Insieme, al di là delle differenze che possiamo avere, costruiamo momenti di lotta, uniti dalla nostre somiglianze ed organizzati da una serie di questioni di base che in generale e direi in maniera universale generano in noi degli interessi comuni. In questo stesso momento fanno la comparsa dei nuovi Tarrio, Pombo, Ortiz, Zamoro, accompagnati da nuovi sistemi FIES. Sappiamo che veniamo dal cuore della disparità delle possibilità e dall'ingiustizia del sistema.

Siamo abituati al fatto che i pestaggi e le torture sono qualcosa non solo d'insolito ma normali, inflitti da persone che lo fanno per denaro e non perché seguaci di una ideologia fascista. Due volte triste.

Certamente la mentalità è l'esito della storia collettiva, ma non solo. Solamente la ribellione contro l'ingiustizia è universale e fugge alle culture, al colore della pelle, all'origine e vive negli individui liberi che rifiutano di essere controllati e si negano ad essere convertiti in stranieri in nome della verità universale, la quale è completamente falsa.

Le storie di vita di Xosé, Paco Ortiz, Patxi Zamora e di altre migliaia che continuano a resistere in tutte le parti del pianeta c'insegnano qualcosa che non dovremmo dimenticare: la ribellione è possibile in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento.

I legami di amicizia e d'amore sono più forti delle catene e delle punizioni che c'impongono. Dignità, ribellione, amicizia, amore, solidarietà, libertà, organizzazione, queste sono alcune delle idee e dei valori che difendiamo e per i quali lottiamo.

Ieri, oggi e sempre!

Un saluto in lotta da una distruttiva cella di Aachen, Germania.

Vi ringrazio tutte e tutti per la vostra attenzione.

Gabriel

Gabriel Pombo da Silva

c/o JVA Aachen

Krefelderstrasse, 251

52070 Aachen

Deutschland


Carta de Gabriel Pombo da Silva

El sueño de muchos políticos es concebir las ciudades como si fuesen cárceles: cámaras en cada esquina, potentes focos que no permitan esconder nada en la oscuridad, un madero que controle a cada individuo, y reducir cualquier protesta o duda sobre el sistema a una mera cuestión de insatisfacción personal, buscando entonces el camino de lo judicial, para garantizarnos una serie de “derechos”, que ellos mismos llaman básicos o humanos.

Este sueño no es sólo una mezcla de 1984 de George Orwell y de Un Mundo Feliz de Aldous Husleys, donde los temores, reales o construidos como deben ser, las tecnologías, las drogas y la biotecnología están haciendo al ser humano un objeto del nuevo sistema totalitario.

Este sueño es la realidad que vivimos hoy en día, en ambos lados de los muros y de las fronteras. Cuando decimos: “ todos somos presos”, lo que queremos decir es: que vivimos una existencia de objetos, porque el sistema nos convierte en seres que han olvidado su pasado como sujetos, con memoria, conciencia y ganas y capacidad para luchar por la libertad, no como ahora donde se aplica el lavado de cerebro a través de los medios de desinformación.

Los programas de debate llenos de intelectuales y expertos de la política han declarado que la clase trabajadora está muerta, que ya no habrá más proletariado, igual que no habrá ningún potencial revolucionario, que justifique las teorías sobre la necesidad de las revoluciones o la lucha de clases.

Lo único que nos quedará será aceptar la explotación llevada a cabo por el sistema, que se autodenomina democrático, y que sólo aceptará protestas por medios pacíficos para evitar ser molestado lo menos posible.
Pero con el mismo aliento ellos llaman a las guerras imperialistas operaciones humanitarias y a las torturas técnicas de interrogatorio y una extensa lista de eufemismos.

Lo peor no es lo que hacen los intelectuales que representan al neo-liberalismo y el capital, los que sólo luchan por el bien del gobierno de turno y el estado, porque simplemente llevan a cabo su trabajo, por y para el cual ellos viven.

Lo peor es ver y escuchar como la gente normal, la que mejor capacitada está para entender y reconocer estas cosas, repiten como papagayos las mentiras y estupideces de aquellos que nos llevan a la ruina, sin pararse a reflexionar ni un momento por ellos mismos.

La guerra de clases no es una abstracción del pasado, que sólo sirve para que una parte de la clase política se auto legitime como el partido de los trabajadores o laboralista.
Todos nosotros, sin diferencia de que seamos trabajadores, los que no tenemos el poder en nuestras manos, el poder que ni siquiera queremos tener, somos los que construimos la clase proletaria, conscientemente o no.

Y dentro de una sociedad en que hay una clara distinción entre los intereses de aquellos que se encuentran por debajo y los que se encuentran por encima, es algo decisivo el tipo de consciencia que tenga los que están debajo para oponerse a este sistema de desigualdad o aceptarlo.
Para mi es importante esta breve introducción para poder hablarte hoy aquí y decirte que nuestra actividad política y nuestras intenciones no se deben resumir a una cuestión de derechos humanos. Posicionarse contra las prisiones de manera tajante, así como contra el aislamiento y la tortura, leve o severa, significa comenzar la lucha por todo, dentro de un sistema en el que aunque en diferentes niveles, todos estamos presos.

En el momento en que algunos de nosotros nos juntamos para luchar contra las prisiones, deberíamos plantearnos que lo que queremos no son más prisiones humanitarias, ninguna prisión puede ser humana, igual que no lo es la esclavitud o la tiranía.

El análisis de esta parte de la sociedad nos ayuda a comprender mejor en qué tipo de sociedad vivimos. Ello ocurre porque la prisión es un pequeño espejo reflectante de todos los valores dominantes y herramientas que son usadas para combatir la resistencia y deseo de vida de aquellos que se atreven a rebelarse, estoy hablando tanto de presos políticos como sociales.

Este sistema de destrucción y tortura como el FIES en España, 41 bis en Italia, Iso-half y el arresto preventivo( sichereitgewahrsam) en Alemania, QUS en Francia o las celdas F de Turquía debe ser desenmascarado y protestado y podremos mostrar como se respetan los llamados derechos humanos y se miente en las tierras democráticas.
Y nosotros, personas con o sin conciencia de clase, nosotros los que generalmente estamos marginados, no podemos estar seguros de que un no día terminemos en una de esas celdas.

Esto como la espada de Damocles es algo que está siempre sobre nuestras cabezas.

Si claro, tenemos que organizarnos, porque nos unen intereses comunes por encima de cada muro, frontera o ideología que nos separa.

Un ejemplo sobre esto que hablo puede ser observado en esta relación: Pastora, una trabajadora y luchadora social, junto a una activista vasca, un okupa vasco, un alemán autónomo y yo, un anarquista preso en Alemania.

Juntos, por encima de las diferencias que podemos tener, construimos momentos de lucha, unidos por nuestras similitudes, y organizados en una serie de cuestiones básicas que de manera general y diría que universal nos generan interés común.

Ahora mismo están apareciendo nuevos Tarrios, Pombos, Ortizes, Zamoros, acompañados de nuevos sistemas FIES.
Y sabemos que venimos del corazón de la disparidad de posibilidades y la injusticia del sistema.

Estamos acostumbrados, tanto como que las palizas y las torturas son algo no sólo inusual sino normal, infringidas por personas que hacen lo que hacen por dinero no ya porque sean seguidores de una ideología fascista.

Algo doblemente triste.

Seguramente la mentalidad social sea el resultado de la historia colectiva, pero no sólo: Sólo la rebelión contra la injusticia es universal y se escapa a culturas, colores de piel, origen, vive en los individuos libres, humanos que rechazan el ser controlados y que rechazan convertirse en extranjeros en nombre de la verdad universal, la cual es completamente falsa.

La historia vital de Xose, Paco Ortiz, Patxi Zamora y miles más, que siguen resistiendo en todas las partes del planeta, nos enseña algo que no deberíamos de olvidar: la rebelión es posible en cualquier lugar y en cualquier momento.

Los vínculos de la amistad y del amor son más fuertes que las cadenas y los castigos que nos imponen.

Dignidad, rebelión, amistad, amor, solidaridad, libertad, organización, estas son algunas de las ideas y valores que defendemos y por los que luchamos.

Ayer, hoy y siempre!!

Un saludo en lucha desde una destructiva celda de Aachen, Alemania.

Os agradezco a todxs vuestra atención.

Gabriel

Gio, 01/05/2008 – 21:45
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