Bergamo, tra proclami e riforme 40mila licenziamenti in 6 anni

Bergamo – La riforma del lavoro più recente risale al 2013, ad opera del governo Letta. Seppur approvata in sordina, il decreto del Fare contiene parecchie modifiche alla riforma Fornero entrata in vigore nel 2012. La disastrosa situazione del mercato del lavoro richiese alla Fornero ogni sforzo possibile, e il primo fu semantico. La riforma Fornero titola infatti “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”.

La riforma c’e stata, la crescita è rimasta nel titolo, alquanto azzardato se prendiamo in considerazione i dati pubblicati dal Centro per l’impiego (CPI) di Bergamo.

 

Anno

Totale licenziamenti

2008

3’479

2009

6’333

2010

6’677

2011

7’004

2012

9’103

2013*

8’933

Totale

41’529

(tab. 1 totale licenziamenti da posti a tempo indeterminato) *il dato  è parziale. Al partire dal 2013  il dato non contiene i licenziamenti nelle aziende con meno di 15 dipendenti

I dati al 2013 appaiono chiari e non suscettibili di interpretazioni.In una provincia che conta un milione di abitanti la popolazione in età lavorabile è il 55%. Nell’arco di sei anni, nella provincia di Bergamo, i posti di lavoro persi sono stati 41’529: il 14% della popolazione attiva

E’ un dato preoccupante, se teniamo in considerazione altri fattori nascosti tra le righe delle statistiche del CPI.

I dati sono parziali, la tabella 1 racconta la situazione di chi un posto di lavoro fisso l’aveva, e l’ha perso. Non esistono dati di coloro che non hanno ottenuto rinnovo di contratto, o coloro che lavorano come interinali, o peggio ancora, di chi lavora nell’economia sommersa: lavoro grigio e in nero su tutti.

La nostra provincia, fino al 2008 con un tasso vicinissimo alla piena occupazione, registra altri trend negativi. Numeri sintomo di un non governo della crisi, al di là del nome della riforma sia esso completamente disatteso anche al lettore meno attento: “le prospettive di crescita della Fornero”, sia esso con un nome in politichese “decreto del fare” di Letta.

Entrambe le riforme, complementari tra loro, vanno nella ben precisa direzione di ridurre i costi del lavoro, incentivando la flessibilità in uscita a vantaggio delle aziende: licenziamenti e tempi determinati di semplice stipula.

L’assioma delle riforme del lavoro 2003 – 2013 (Biagi, Tiraboschi, Sacconi, Fornero, Letta) si poggia su un retroterra ideologico, ma questa teoria basata sulla stretta correlazione tra difficoltà di licenziamento e difficoltà nelle assunzioni viene smentita dai dati Istat: I licenziamenti sono facili (tabella 1) mentre gli ingressi nel mondo del lavoro rimangono difficili o precari.

In 5 anni Bergamo vede triplicare la percentuale di disoccupazione giovanile.

Disoccupazione giovanile

2008

2009

2010

2011

2012

% rispetto agli attivi

8,5

11,6

11,9

14,7

24,9

tab. 2 disoccupazione giovanile in Bergamo

Basterebbe il confronto tra la tabella 1 e 2 per smantellare l’aspetto ideologico delle future riforme del lavoro.

Aggravano la situazione o ne sono una conseguenza diretta, il numero di sfratti che continuano inesorabilmente ad aumentare, tanto che nei primi sei messi del 2013 ne sono stati eseguiti con l’intevento dell’ufficiale giudiziario ben 523 e oltre 2000 sono quelli pendenti.

Il crescente divario tra classi sociali, genera un impennata del gap tra chi detiene di maggiori redditi e chi vive in regime di povertà. Basterebbe analizzare i dati e sottoporli al dibattito per le comunali del 2014 per sminuire un certo tipo di “news making” pronta a dare spazio a come parcheggia uno dei candidati a sindaco o a quale sfumatura della “smart city” fare riferimento.

In attesa dei programmi elettorali, al momento il dibattito politico non verte sulla gravissima situazione dei cittadini bergamaschi.

Print Friendly, PDF & Email

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.