Un approfondimento sullo stupro di Borgo Santa Caterina, sul ruolo della stampa e sulle reazioni successive
Bergamo – La notte tra venerdì 4 e sabato 5 gennaio, in Borgo Santa Caterina, un uomo ha violentato una ragazza di 24 anni per strada. Dalla ricostruzione fornita dalla stampa, la ragazza, uscita dal bar “Divina”, stava dirigendosi verso la propria automobile, quando un uomo l’ha approcciata e costretta con la forza nel parcheggio di via Alberico da Rosciate, dove quindi si è consumata la violenza.
Si tratta di un fatto inaudito, un fatto che non poteva in nessun caso passare sotto silenzio. E, in effetti, le prese di posizione si sono avvicendate per tutta la settimana: da parte della stampa e del mondo politico, da parte delle istituzioni, da parte delle persone che abitano il borgo e di coloro lo frequentano quotidianamente. Non si può dire certo che la città sia rimasta indifferente e inerme. Eppure, lo spaccato che emerge dalle diverse risposte formulate dal mondo politico e soprattutto la cornice in cui i quotidiani locali, L’Eco di Bergamo in primis, hanno collocato l’episodio, hanno suscitato nella nostra redazione una sensazione di profondo disagio che ci spinge ora a prendere la parola. Un’urgenza, questa, che origina innanzitutto da un’evidenza lampante: il giustizialismo da patibolo e la retorica securitaria che hanno fino ad ora monopolizzato il dibattito, così come le letture proposte dalla stampa, continuano a spostare il problema, edulcorando o eludendo, a seconda dei casi, i termini della questione.
La violenza di cui il borgo è stato teatro, per noi, ha una connotazione precisa e incontrovertibile: è la violenza di un uomo su una donna. L’origine di questa violenza è culturale, è profondamente radicata nella nostra società, ci appartiene. Quanto accaduto in Borgo Santa Caterina spalanca la prospettiva su quella che da tempo la nostra redazione denuncia come un’emergenza sociale, ignorata cautamente e umilata nelle sue implicazioni dalla banalità delle consuetudini. Lo vogliamo dire con la massima chiarezza: non intendiamo in nessun modo minimizzare la violenza consumatasi in Borgo Santa Caterina e le responsabilità dell’uomo che ne è stato ignobile protagonista. Ma non renderemmo giustizia alcuna alle centinaia di donne che solo a Bergamo, quotidianamente, sono vittime della violenza maschile (psicologica, fisica, economica o sessuale che sia), se il nostro appello non provasse a dissipare quella cappa che da giorni soffoca il dibattito.
Non abbiamo intenzione di sederci dalla parte del carnefice, ma nemmeno di sederci dalla parte del giustiziere. Non siederemo nemmeno dalla parte di Ponzio Pilato, perchè crediamo, in ogni circostanza, esiste sempre e comunque un’altra scelta. La nostra, seppure scomoda, è quella di sottrarci al rito collettivo della pancia, perchè la brama di giustizia sommaria non annienti i termini del problema. Perchè trascorsi i tempi “giornalistici” di questa vicenda non torni tutto come prima, perchè “lavato” il torto non subentri la rimozione, perchè “fatta giustizia” nessuno abbia a pensare che il problema non appartiene alla nostra comunità, è necessario innanzitutto riconoscere che il “mostro” serpeggia negli ambienti della nostra socialità, è sempre presente nella quotidianità delle nostre vite, risiede nelle nostre case.
A Bergamo come nel resto del paese (dati ISTAT), una donna su cinque è vittima di violenza, e in nove casi su dieci la violenza si consuma all’interno dei rapporti di coppia o delle mura domestiche. Come evidenziato da “Aiuto Donna”, a Bergamo la violenza maschile non ha nazionalità: se la metà delle 184 donne che si sono rivolte al centro antiviolenza nel 2011 non hanno origini italiane, nel 60% dei casi si tratta però di persone coniugate o conviventi con uomini di nazionalità italiana. La violenza maschile non è un corpo estraneo alla nostra comunità: il mostro, purtroppo, non viene da fuori.
Giovedì 10 gennaio, L’Eco di Bergamo dà notizia per la prima volta di quanto accaduto nel borgo, collocando l’articolo, seppure con richiamo nella prima pagina, in coda alle notizie locali. Il trattamento della notizia non differisce dal trattamento ricevuto nell’edizione del giorno precedente dalla notizia di un altro orribile stupro avvenuto in provincia. La vittima, una ragazza di sedici anni, sarebbe stata violentata in un garage da un coetaneo; per quest’ultimo, il giudice ha disposto gli arresti domiciliari ritenendo la versione della vittima «credibile e attendibile». L’articolo, in questo caso, pone però attenzione alla versione della difesa, esponendo alcuni elementi che avvallerebbero la tesi del rapporto consenziente. Se questa scelta editoriale è messa in relazione al trattamento ricevuto, nei giorni seguenti, dall’analoga vicenda del borgo, si pone però un interrogativo: quali umori avrebbe suscitato L’Eco di Bergamo se avesse scelto di dare voce ad una versione scagionante dell’aggressore di Borgo Santa Caterina? Ben inteso, con questo interrogativo non intendiamo sostenere che quest’ultimo caso sia stato eccessivamente drammatizzato. Al contrario, crediamo che la violenza nei confronti delle donne dovrebbe essere sempre improntata alla medesima riprovazione.
Ma i due casi appaiono diversi, ed in effetti lo sono, ma solo per chi ne è spettatore (la declinazione al maschile non è mera convenzione); per una donna che subisce una violenza del genere si tratta invece di una ferita insanabile, sempre e comunque. Nel caso della ragazza di sedici anni violentata in un garage possiamo, pur con raccapriccio, ipotizzare la dinamica; e non perchè abbiamo già condannato l’accusato interpretando le sue presunte intenzioni, ma per tentare di comprendere. Innanzitutto, come osservato nell’articolo, la vittima è entrata nel garage di propria iniziativa. Si legge anche che il giovane aveva bevuto qualche birra e fumato una canna, probabilmente era “su di giri”, probabilmente il giovane avrà “forzato un poco” la ragazza. In fondo, solo poco tempo prima (nell’articolo è specificato) c’era stato uno scambio di effusioni. Si tratta allora di uno stupro “soft”? Anche in questo caso vogliamo usare assoluta chiarezza: non esistono circostanze attenuanti, uno stupro è uno stupro. Una donna, anche se partner, moglie o convivente, che viene costretta coercitivamente ad un rapporto sessuale è vittima di una violenza gravissima, senza gradazioni di colore.
Confrontando le ricostruzioni dei due episodi è impossibile non accorgersi del diverso segno attribuito alla violenza di Borgo Santa Caterina. Forse proprio un passaggio dell’articolo del 10 gennaio può aiutarci a comprendere le ragioni di questa asimmetria: «È la dinamica dei fatti a far paura. Una ragazza che si avvia alla macchina dopo una serata con le amiche, e che viene aggredita da uno sconosciuto, come un orco sbucato all’improvviso». Certo l’immagine dell’orco sbucato all’improvviso fa paura. Ma è anche un’immagine inconsciamente rassicurante, perchè ci dice che il pericolo viene da fuori, è “sconosciuto” alla nostra comunità. Ci dice che quella violenza orribile non ha nulla a che vedere con noi, anche perchè è assoluta, è priva di “gradazioni di colore”. E quando parliamo di “banalità delle consuetudini” facciamo riferimento proprio a queste gradazioni di colore, che a volte rendono accettabile l’apprezzamento volgare, la pacca sul culo, l’atteggiamento energico e anche lo schiaffone, quando serve.
Viene alla mente un episodio che, qualche settimana addietro, aveva occupato le pagine dei quotidiani locali, quando l’ex convivente del calciatore Ezequiel Schelotto era finita in ospedale, riportando alcuni giorni di prognosi, per quello che L’Eco di Bergamo aveva definito un «acceso litigio». A proposito di quell’episodio il dirigente dell’Atalanta Pierpaolo Marino aveva dichiarato: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Siamo stati tutti giovani, fidanzati e bollenti». Si sarebbe trattato allora soltanto di un episodio di esuberanza giovanile? A noi non pare proprio; e, anzi, il modo in cui Marino ha liquidato la questione ci appare di una leggerezza disarmante. Ancora una volta vogliamo usare la massima chiarezza: non intendiamo banalizzare la violenza di Borgo Santa Caterina collocandola in un calderone indistinto. Ci preme invece affermare con risolutezza che quella violenza ha riferimenti ben saldi in un substrato profondamente radicato nella nostra cultura; e vogliamo ribadirlo con forza, affinchè non siano le pulsioni del ventre molle della nostra comunità a banalizzare le implicazioni di quel fatto inaudito. Perchè il mostro, purtroppo, non viene da fuori.
Venerdì 11 gennaio viene eseguito l’arresto dell’aggressore del borgo, un uomo di 32 anni di origini kosovare. È il giorno delle prese di posizione politiche. Primo fra tutti il Consigliere regionale della Lega Nord Daniele Belotti, che pone una serie di domande a inquirenti e opinione pubblica. Tra le domande poste da Belotti una in particolare ricalca un vecchio adagio leghista: «Basta essere un immigrato regolare senza precedenti e con famiglia per schivare il carcere e farsi i domiciliari pur avendo un’accusa così grave?». Inutile sottolineare come il provvedimento risponda all’applicazione del codice di procedura penale, che impone e non facoltizza la misura detentiva disposta dalla Procura. Tra le altre, ci sono anche le dichiarazioni del Sindaco Franco Tentorio e del capo dell’opposizione Roberto Bruni. Tentorio afferma: «È un tipo di reato nuovo per la nostra città ed è fortissimamente auspicabile che il colpevole venga assicurato alla giustizia e punito: occorre reagire e la città è pronta a farlo». Ma davvero siamo di fronte ad un tipo di reato nuovo per la nostra città? Bruni, poi, aggira del tutto la questione della violenza sulle donne e, secondo la prassi consolidata di inseguire le destre sullo stesso terreno, pone la questione in termini di ordine pubblico: «Senza voler strumentalizzare, devo però constatare che forze politiche, prima all’opposizione e oggi all’interno della maggioranza, abbiano fatto in passato un gran can-can sul tema sicurezza, mentre oggi lo stesso tema sembra sparito dall’agenda politica: credo sia opportuno un confronto serio e aperto a tal proposito». Malgrado le intenzioni manifeste, però, Bruni strumentalizza, eccome. D’altra parte, su questo terreno l’ex primo cittadino non è solo. L’Assessore leghista alla Sicurezza Cristian Invernizzi è infatti sempre stato uno dei più convinti sostenitori della stretta securitaria: «Come Giunta crediamo che la città necessiti di un presidio notturno della Polizia Locale fino alle 2, 3 di notte, e una sperimentazione in questo senso è già stata avviata».
Ma a fare la parte del leone è L’Eco di Bergamo. Sempre venerdì, nell’intervista al Comandante della Polizia Locale, il quotidiano solleva la questione degli spray orticanti acquistati l’anno passato e ancora in attesa di essere forniti in dotazione: «Facile, in giornate che vedono il tema della sicurezza tornare prepotentemente alla ribalta con il drammatico stupro in Borgo Santa Caterina, prevedere un nuovo polverone. Come mai la nuova dotazione non è mai stata distribuita agli agenti?». Nella pagina seguente poi L’Eco di Bergamo ricorre allo stratagemma editoriale più classico, ovvero l’intervista alle persone residenti. Il quadro che emerge è impressionante, a partire dal titolo dell’articolo: «Di notte il borgo d’oro diventa una trincea». E così Borgo Santa Caterina, «borgo d’oro durante la giornata», si trasforma «in un inferno appena cala il buio della notte»; un inferno dove, con l’apertura dei locali notturni, i ragazzi «si trovano ubriachi ai lati della via a schiamazzare sotto alle finestre». È Gabriella Salcone, esponente del gruppo di residenti che da anni si oppone al proliferare di locali notturni nel borgo, a farsi interprete del sentimento diffuso: «Di sera abbiamo paura ad uscire e le ragazzine che frequentano la palestra del liceo Mascheroni sono sempre accompagnate dai genitori». In questo contesto, osserva il curato della parrocchia, «il controllo delle forze dell’ordine è troppo poco e il rischio che succedesse qualcosa è aumentato, anche se non ci aspettavamo un fatto del genere». Ecco allora che «l’episodio di violenza sulla ventiquattrenne avvenuto in via Alberico da Rosciate è solo l’apice di una situazione che è andata pian piano degenerando». Il nesso che emerge tra la violenza di venerdì scorso e le trasformazioni che hanno interessato il borgo negli ultimi anni, facendone il cuore della movida bergamasca, è lampante e restituisce i due estremi della contrapposizione: da una parte la comunità residente e dall’altra la popolazione giovane, che, senza risiedervi, fruisce di quello spazio di aggregazione nelle ore notturne. Questa aggregazione notturna rappresenterebbe dunque una situazione «andata pian piano degenerando», di cui la violenza sulla giovane ventiquattrenne sarebbe addirittura «apice». Una lettura interpretativa sconfessata il giorno stesso dall’arresto dell’aggressore: un uomo di 32 anni residente in Borgo Santa Caterina, sposato e padre di due bambine, che L’Eco di Bergamo stesso, dando eco alle impressioni del borgo, descrive nell’edizione di sabato 12 gennaio come persona integrata nella comunità, «solitamente gentile con tutti e conosciuta nel quartiere». Tutt’altro che un orco sbucato all’improvviso, insomma. Il mostro, purtroppo, non viene da fuori.
L’arresto dell’aggressore è documentato da fotografie e riprese della stampa addirittura nelle fasi preliminari. Ovvero, la stampa era già sul posto prima che l’arresto venisse effettuato. Chi e perchè ha avvisato la stampa? L’Eco di Bergamo, che il 12 gennaio dedica due pagine intere all’arresto, fornisce fotografie in primo piano del volto dell’aggressore e del veicolo di cui è proprietario, il suo nome e il suo cognome, la via di residenza e il luogo di lavoro. Informazioni circostanziate che, se non rappresentano un invito, segnalano quanto meno una sciatteria pericolosa. Già la sera di venerdì 11 gennaio, infatti, in Borgo Santa Caterina un gruppo di persone aveva protestato sotto l’abitazione della famiglia dell’aggressore. La sera seguente il numero di persone sotto l’abitazione diventa inevitabilmente ben più nutrito e i toni della protesta ancora più esasperati.
Ancora una volta vogliamo esprimerci con assoluta chiarezza: la rabbia e la frustrazione delle compagnie e degli ultras che vivono quotidianamente il borgo come luogo della propria socialità sono comprensibili. Ma l’idea della giustizia sommaria affidata agli umori della piazza, del “datecelo a noi”, ci suscita un senso di repulsione istintiva. Ci troviamo di fronte ad una strettoia, tra gli imperativi della pancia e la nostra congenita diffidenza verso la giustizia dei tribunali. Una strettoia che però, ce ne rendiamo conto, porta sempre nella stessa direzione. Non abbiamo alcuna intenzione di sedere dalla parte di Ponzio Pilato, l’abbiamo detto subito. Ma non abbiamo nemmeno intenzione di giocare ad un gioco in cui le carte sono truccate e il mazziere è un baro. Sappiamo che quando il popolo alza la voce c’è sempre qualcuno pronto a tradurne gli umori nel linguaggio triviale della politica spiccia. E questo ci spaventa. Perchè gli strateghi della politica spiccia sono quelli che gettano benzina sul fuoco e poi forniscono rimedi per spegnere l’incendio. Sono quelli che gettano il sasso e poi ritirano il braccio, secondo un copione ben collaudato.
Così, domenica 13 gennaio, nell’articolo de L’Eco di Bergamo dedicato alla fiaccolata indetta dal Consiglio comunale «per dire no alla violenza», la protesta presso l’abitazione dell’aggressore viene stigmatizzata come «l’assurdità di chi pensa di risolvere la violenza con la violenza». Poi, martedì 15 gennaio i toni del quotidiano diventano grotteschi. A pagina 18, un articolo descrive il dramma della moglie e delle due figlie piccole dell’aggressore del borgo che ora, dopo le proteste in strada, per paura, «se ne vorrebbero andare da quell’indirizzo diventato ormai pubblico» (il fatto che l’indirizzo sia stato reso pubblico proprio da L’Eco di Bergamo, naturalmente, è dettaglio irrilevante). Il trauma della figlia dell’aggressore, ancora bambina, viene esibito in modo quasi fastidioso: «le atmosfere da corda saponata, le urla e gli insulti, gli sputi e i fischi, i riverberi delle torce ultrà che tanto ricordano le fiaccole ottocentesche delle folle perbeniste assetate di mostri e vendette, hanno già prodotto una vittima».
Liquidata la protesta degli ultras e perimetrata la questione “scivolosa” della violenza sulle donne entro le generiche parole d’ordine della fiaccolata istituzionale, è il momento della politica spiccia. La capogruppo del PD Elena Carnevali è l’unica personalità politica a porre la violenza sulle donne come problema culturale, ma la sua dichiarazione resta un brusio sommesso. La partecipazione alla fiaccolata delle “Donne in Nero” e delle volontarie del centro antiviolenza di “Aiuto Donna” è solo orpello di un atto dovuto; L’Eco di Bergamo quelle donne le menziona appena. Eppure, la ricerca di soluzioni sarebbe dovuta partire proprio da loro, che con le vittime della violenza maschile si confrontano ogni giorno, piuttosto che dal Comandante della Polizia Locale. D’altra parte sono ormai del tutto fuori luogo: il problema esige una risposta al maschile, roba da uomini d’ordine. La violenza di via Alberico da Rosciate è un problema di ordine pubblico. E la tensione che ha attraversato il borgo nei giorni seguenti conferma il quadro.
La regina del ballo allora è la sicurezza, mentre l’orchestra suona il valzer della campagna elettorale: presidi di polizia, spray orticanti, telecamere, controlli a tappeto, regole rigide per i locali notturni, quiete pubblica, coprifuoco. Verrebbe quasi da dare ragione al Procuratore di Bergamo Francesco Dettori, quando afferma che le donne «sarebbe bene che di sera non uscissero da sole». Perchè permettere alla retorica securitaria di formulare la risposta della città alla violenza inaudita di un uomo su una donna equivale a negare le radici profonde che legano quella violenza alla nostra cultura e alla banalità di consuetudini brutali. Porre il problema della violenza maschile nei termini di un problema di sicurezza, infatti, presuppone l’esistenza di un piano implicito che fornisce consequenzialità al ragionamento: il problema non appartiene alla nostra comunità, quindi la città deve difendersi. Nulla più che un diversivo, una mistificazione, che serve gli scopi intramontabili di chi nella barbarie predica il verbo dell’ordine.
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Non è stato stupro. non c’è stata violenza carnale. Non difendo nessuno ma le informazioni bisogna darle giuste 😉 correggere Stupro con Violenza sessuale. Ad onor di cronaca il fatto contestato è il palpeggiamento di parti intime (dichiarato dalla ragazza e smentito dal’accusatore) I sanitari hanno confermato che la ragazza non ha subito lesioni e non c’è stata “congiunzione carnale”. La faccenda si sminuisce nel suo contenuto inquisitorio. Ovviamente il contesto culturale invece rimane in piedi a prescindere!
Ottimo articolo! Complimenti. ciao
Grazie anche da parte mia per il bell’articolo e soprattutto per aver evidenziato, tra gli svariati nefasti effetti collaterali di questa violenza, il ruolo schifosamente moralista e forcaiolo dell’eco. Quando ho visto le sequenze dell’arresto in prima pagina (on line) e successivamente l’articolo dove si compativano moglie e figlie dell’”orco” mi è salito il sangue alla testa. Quegli ipocriti, prima suggeriscono il linciaggio e poi si scandalizzano. I primi criminali sono loro, sempre pronti a scovare pretesti per fomentare l’odio razziale e scatenare sentimenti di pancia nei loro, ahimé, innumerevoli lettori. Grazie anche per aver ricordato la posizione dell’ex sindaco che, perfettamente in linea col suo partito fa a gara con i trogloditi della lega (&c) a chi sta più a destra. Ricordo gli stessi commenti fatti da alti esponenti pd nei confronti della giunta Alemanno, dopo l’omicidio Reggiani, alcuni anni fa a Roma…Parassiti.
grazie e Ciao
f
ps.:..e non capisco le donne in nero+quelle del centro antiviolenza che hanno partecipato, pedissequamente e senza esprimere posizioni diverse, a quella patetica fiaccolata , fianco a fianco ad esponenti di forze politiche reazionarie e maschiliste, che si interessano all’”argomento” solo e unicamente nel momento in cui può essere veicolo dei loro proclami razzisti e pretesto per strette securitarie…boh!?!
articolo molto bello e puntuale, peccato non sia firmato. Scusate l’ignoranza ma non so chi siano i giornalisti di bgreport