Bergamo – Centinaia di persone ieri alla manifestazione organizzata dal tavolo Donne in rete di Bergamo in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Il corteo ha sfilato silenzioso dalla stazione a piazza Pontida: donne e uomini, giovani e meno giovani, tutti dietro lo striscione “Non esiste chi picchia per amore”. Presenti anche più di 120 palloncini bianchi: su ognuno il nome di una donna uccisa nel 2013. Al termine del corteo i nomi delle vittime di femminicidio di quest’anno sono stati letti al microfono, e dopo ogni nome un palloncino veniva lasciato libero di volare.
Anche Bergamo rispetta le statistiche nazionali: una donna su tre una volta nella vita ha subito violenza (psicologica, fisica, sessuale), una su cinque è stata maltrattata almeno una volta dal marito o dal convivente (ma sono molti i casi in cui i maltrattamenti vanno avanti per anni, spesso davanti ai figli) e solo una donna su dieci trova la forza per parlare, denunciare e chiedere aiuto. Al centro antiviolenza bergamasco Aiuto donna, tra i promotori della manifestazione di oggi, nel 2012 sono arrivate oltre 300 richieste d’aiuto.
Fin qui tutto bene. O meglio: tutto male, perché la violenza contro le donne dovrebbe essere fermata, ma la manifestazione è stata partecipata e ha lanciato un segnale significativo a una città che probabilmente si sente esente da un problema che invece non ha provenienza, passaporto o classe sociale, perché a maltrattare sono uomini del Nord e uomini del Sud, italiani e stranieri, operai e professionisti. L’unico elemento comune è questo: la violenza è maschile.
Ma ecco cosa non funziona. I centri antiviolenza, compreso quello di Bergamo, assistono le donne gratuitamente e tutte le professioniste che ci lavorano lo fanno a titolo volontario. Perché il Comune non destina più risorse? Tutto quello che fa è ospitare Aiuto donna all’ultimo piano di uno stabile di sua proprietà, e pescare tra le pieghe del bilancio qualche contributo non troppo consistente. Più di 800mila euro spesi per una capitale della cultura che non stava né in cielo né in terra e pochi spiccioli per una realtà che aiuta concretamente centinaia di donne vittime di violenza.
E la Regione? Da più di un anno si attende che venga finanziata una legge regionale sul tema della violenza di genere (l’ultima nata in Italia, pessimo primato per una regione che si vanta d’essere il quarto motore d’Europa), che fino ad oggi però non ha funzionato. Nessun soldo è arrivato dalla Regione per le associazioni che lavorano sul territorio.
Ma non basta. Il Consiglio delle donne, organismo del Consiglio comunale, ha organizzato un incontro in cui ha raccontato alla città quello che fa sul tema della violenza: laboratori di teatro nelle scuole (e qui nulla da dire) e corsi di autodifesa femminile. E qui: molto da dire. Non sui corsi in sé, che probabilmente sono utili e anche un’occasione di socializzazione tra donne di diverse provenienze ed età, ma sulle motivazioni che li fanno nascere e su come vengono condotti: da anni si va ripetendo che la violenza contro le donne è al 90% tra le mura di casa e quello che riesce a inventarsi il Comune sono dei corsi che non fanno altro che legittimare l’idea che il cattivo si incontra per strada? Capita, purtroppo, ma a questa stregua bisognerebbe fare dei corsi per insegnare a non sposarsi, visto che nove maltrattatori su dieci sono mariti.
Insomma: campa cavallo che l’erba cresce. E in attesa che le nostre istituzioni si sveglino (se mai lo faranno), quante donne subiscono violenze che forse si potrebbero evitare?