Torre Boldone– Otto rifugiati su una popolazione di quasi novemila persone, ma all’amministrazione di Torre Boldone sembrano troppi, tanto da paventare il default dell’intero comune: questo sostiene il sindaco Claudio Sessa, che ha deciso di comunicare le proprie ragioni all’intera cittadinanza in un’assemblea pubblica svoltasi lunedì sera. Una lunga polemica che è arrivata anche sulle cronache nazionali, visto che Sessa (noto sindaco “sceriffo” per le sue posizioni anti immigrazione) ha addirittura minacciato di incatenarsi davanti la prefettura.
QUELLO CHE SESSA DICE… – Dopo un resoconto dei vari incontri tra i comuni e la prefetta Francesca Ferrandino per la gestione dell’accoglienza, durante l’assemblea Vanessa Bonaiti, assessora ai servizi sociali di Torre, ha evidenziato che il problema riguarda la residenza: secondo la giunta i migranti accolti la prenderanno in comune, avendo così la possibilità di accedere ai servizi sociali. Per questo l’amministrazione profila già lo scenario drammatico del bilancio in rosso, sottolineando che anche un minore o due a carico del comune causerebbero di fatto il fallimento. “Meno male che a Torre nascono pochi bambini” si sente dalla folla riunita presso il centro polivalente.
…QUELLO CHE SESSA NON DICE – Sindaco e assessora sono stati criticati da molti dei presenti, visto che alcune informazioni salienti sono state omesse: innanzitutto queste persone arriveranno grazie a un progetto per l’accoglienza diffusa, che verrà interamente gestita da alcune cooperative vincitrici di un bando indetto dalla prefettura. Per ogni migrante la cooperativa riceverà 37,50 euro al giorno pagati dal governo per coprire i costi dell’accoglienza: sono inclusi non solo vitto e alloggio, ma anche una serie di servizi aggiuntivi (corsi di italiano, inserimento lavorativo…) in modo che i richiedenti asilo non gravino sulle casse del comune che li accoglie.
“Per legge i comuni non possono impedire di prendere la residenza a qualcuno, tantomeno ai rifugiati: grazie al decreto legislativo 142 del 2015, l’Italia ha recepito alcune direttive europee sul tema con parametri di accoglienza nuovi” ci spiega l’avvocatessa Marta Lavanna dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).
Ma c’è di più: nel caso un’amministrazione si rifiutasse di concedere la residenza sul proprio territorio potrebbe andare incontro a processo. Cosa già successa a Treviolo: il comune ha rifiutato di dare la residenza a una famiglia di richiedenti asilo che viveva in un appartamento di una cooperativa. Dopo la causa non solo l’amministrazione ha dovuto concederla ma si è dovuta sobbarcare le spese legali. E’ questo il senso dell’accoglienza diffusa: non gravare sulle casse comunali di alcuni paesi o città ed evitare che i rifugiati vengano stipati in enormi centri di accoglienza, come era successo durante l’Emergenza Nord Africa. “Poche persone in centri medio-grandi passano molto più inosservati rispetto a cento a Botta di Sedrina” conclude l’avvocatessa Lavanna.
Accogliere meno, accogliere meglio: il modello dell’accoglienza diffusa è pensato proprio per non impattare sul territorio e offre una possibilità di aggregazione e mescolanza nel contesto in cui si arriva. Sempre che le giunte comunali non decidano di dare vita a strumentazioni politiche sulla pelle di chi scappa dalla guerra. Guardando al caso di Torre Boldone è difficile non pensare a un tentativo di questo tipo.
Tuttavia, proprio in nome di una maggiore solidarietà molti cittadini durante l’assemblea hanno sottolineato come il numero esiguo di persone (otto) e la loro gestione all’interno di un progetto di accoglienza diffusa difficilmente potrebbero avere impatti tanto disastrosi sul bilancio comunale. Fortunatamente esiste una Torre Boldone aperta e solidale che non si lascia spaventare da facili allarmismi.