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Un barriera in difesa della Vita e della Pace
by Slava Wednesday October 29, 2003 at 10:13 AM mail:  

Un appello a sostegnmo della barriera difensiva realizzata contro il terrorismo palestinese dal governo israeliano guidato dal generale Ariel Sharon

As-salamu `alaykum wa rahmat-Ullahi wa barakatuH.

(Italian and English version)

Carissimi Fratelli e Sorelle di Islamsunnita, carissimi amici e amiche,

il terrorismo è da tempo definito dalla comunità internazionale come un crimine contro l’umanità. La barriera difensiva può aiutare a prevenirlo. Vi chiediamo perciò di sottoscrivere questo documento pubblico e di aiutarci a diffonderlo il più possibile. Inviate le vostre adesioni allo Stop Terrorism International Committee, all’indirizzo e-mail: carmine.monaco@email.it, [Info - Resp. Carmine Monaco (+39) 347.1816250], indicando nome, cognome, città, professione* e organizzazione o ente rappresentato* (*facoltativo).

Grazie infinite per il Vostro aiuto, wa-s-salamu `alaykum wa rahmat-Ullahi wa barakatuH.


Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana
http://www.islam.italy.too.it
mailto:islam.inst@flashnet.it


______________________



Dear Brothers and Sisters and dear Friends,

Terrorism has been defined throughout the international community as a crime against humanity. The Fence contributes to prevent terrorist attacks. With this in mind we ask you to subscribe this public declaration and to help us in spreading it around to as many people as possible. Please send your adhesion to the Stop Terrorism International Committee, to the following address: carmine.monaco@email.it [Info - Resp. Carmine Monaco (+39) 347.1816250] giving your first name, surname, city, profession* and organizations or authority represented* (*facultative).

Thank you very much for your support, wa-s-salamu `alaykum wa rahmat-Ullahi wa barakatuH.


Cultural Institute of the Italian Islamic Community
http://www.islam.italy.too.it
mailto:islam.inst@flashnet.it




_________________________________

UNA BARRIERA A DIFESA

DELLA VITA E DELLA PACE


(English version below)

A partire dal rifiuto di Yasser Arafat di sottoscrivere gli accordi di Camp David nel 2000 per la creazione dello Stato palestinese, in tre anni ben 254 attentatori suicidi hanno colpito la popolazione israeliana. Gli ultimi attentati sono stati compiuti da terroristi rilasciati pochi giorni prima da Israele per favorire il processo di pace delineato dalla Road Map. Il numero totale delle vittime del terrorismo palestinese è di 873 persone, di cui 105 bambini, 64 anziani, 596 uomini, 277 donne.

Gli attentatori provenivano tutti dalla Cisgiordania, ma nessuno da Gaza perché lì da anni esiste una barriera difensiva che impedisce ai terroristi di entrare in Israele. Di fronte all’inadeguatezza dell’Autorità Palestinese a risolvere il problema di un terrorismo che costituisce un crimine contro l’umanità e una vera e propria guerra non dichiarata, di fronte all’incitamento all’odio e alla violenza nei media ufficiali, nelle riunioni politiche, nelle scuole e nelle moschee, lo stato di Israele non ha alcuna scelta all’infuori di applicare alla Cisgiordania quello che a Gaza è uno strumento di difesa efficace.

La barriera difensiva non isola i palestinesi ma protegge la popolazione civile. Il suo tracciato influisce solo in minima parte sui territori della Cisgiordania e sono state predisposte misure economiche per indennizzare i palestinesi eventualmente danneggiati dalla sua costruzione. Si tratta infine di una misura temporanea a fronte di un pericolo reale e immediato: quando cesserà la minaccia del terrorismo la barriera difensiva non avrà più ragion d'essere.

Per i cittadini del mondo democratico, la vita è un valore sacro e supremo. In piena coscienza sosteniamo l’esercizio del diritto di autodifesa dello Stato d’Israele, poiché ogni nazione ha il diritto–dovere di difendere i propri cittadini dalle aggressioni esterne. La barriera difensiva protegge la vita dei civili inermi e, contribuendo ad impedire gli attentati terroristici, favorisce il processo di pace.

[Lista in fieri dei firmatari in fondo al documento]


_____________________________


A BARRIER TO PROTECT

LIFE AND PEACE


From the time of Yasser Arafat's refusal to underwrite the Camp David Accords in 2000 for the creation of a Palestinian State, as many as 254 suicide attackers have hit the Israeli civilian population. The more recent attacks were carried out by terrorists freed from jail by Israel only a few days before as a good will gesture to facilitate the peace process outlined by the Road Map. The total number of the victims of Palestinian terrorism is 873, of which 105 children, 65 elderly people, 596 men, 277 women.

The attackers came all from the West Bank and none from Gaza because, since many years, a defensive barrier is in place there, which prevents terrorists to enter Israel. In view of the Palestinian Authority's inadequacy to resolve the problem of a terrorism which constitutes a crime against humanity and a true and real undeclared war, in the face of the incitement to hatred and violence in the official media, in political meetings, in the schools and mosques, the State of Israel has no other choice than to apply to the West Bank what in Gaza constitutes an efficient instrument of defense.

The defensive barrier does not isolate the Palestinian people but instead protects the civilian population. Its route interferes only in minimum part in the West Bank territories and economic measures are already in place to indemnify the Palestinians should any of them suffer economically because of its construction. In the end it is a temporary measure in the face of a real and immediate danger: when the threat of terrorism will cease, the defensive barrier will have no more reason to exist.

For all citizens of the democratic world, life is of a sacred and supreme value. In full conscience we support the exercise of the right of self defense by the State of Israel, because every nation has the right and duty to defend its own citizens from external aggression. The defensive barrier protects the life of defenceless civilians and, by contributing to prevent terrorist attacks, facilitates the peace process.

Partial list of subscribers:

Stop Terrorism International Committee
Ebraismo e dintorni - Antimo Marandola (Roma)
Franco Perlasca (Padova)
Deborah Fait (Gerusalemme)
Elio Tocco, Presidente Istituto Mediterraneo di Studi Universitari (Siracusa)
Informazione Corretta – Angelo Pezzana (Torino)
Associazione Musulmani Italiani – Shaykh Abdul Hadi Palazzi (Roma)
Anita Friedman (Roma)
Enzo Nahum (Roma)
Francesco Lucrezi (Napoli)
Bernardo Kelz (Foggia)
Carmine Monaco (Napoli)
Roberto Mahlab (Milano)
Giornalistiintrincea
Gadi Polacco
Emanuele Zanichelli, Assessore AN (Pomponesco – MN)
Lara Onor (Milano)
Aaron Fait PhD, Weizmann Institute of Sciences (Rehovot Israel)
Anna Bono, giornalista
Giusy Monti (La Spezia)
Maria Fiorini, iscr. Ass. Radicale Enzo Tortora (Milano)
Franco Scriattoli, Legal Consultant in E.C.laws, (Roma)
Erika Schliese (Roma)
Stefano Gay, iscr. Ass. Romana Amici di Israele (Roma)
Italian Honest Reporting – Andras Bereny.
Nicolò Vergata, avv.
Elio Cabib, prof. (Udine)
Luigi Aji (Napoli)
Ass. Italia-Israele (sez. di Napoli)
Fosca Bortolotti (Roma)
Mauro Pace (Roma)
Myron Ernst (Vestal, New York – USA)
Giulia Marandola (Roma)
Giorgio Marandola (Roma)
Alon Rafi Moradi (Milano)
Roberto Di Veroli (Roma)
Maria Pia Bernicchia (Verona)
Stefano Cattaneo (Brescia)
Filippo Guizzardi (Ponte Tresa, Canton Ticino – Svizzera)
Guy-Edouard Lévy (Roma)
Anna Nizza (Gerusalemme)
Alessandro Caro (Siena)
Massimo Di Veroli (Roma)
Ettore Lomaglio Silvestri
Carlo Ferrazza (Roma)
Alma Cocco (Cagliari)
Livia Noris (Bergamo)
Fabio Iannarelli (Roma)
Luciano Dalle Molle (Lancenigo di Villorba – TV)
Michele Di Veroli (Roma)
Alessandro Scuderi (Catania)
Aldo Moltifiori
Cattaneo Lucia (Brescia)
Cattaneo Santina (Milano)
Zanaboni Carla (Abbiategrasso – MI)
Conti Aldo (Bareggio – MI)
Miriam Pacifici in Lasry (Afula)
Mordechai Lasry (Afula)
Emanuele Pacifici (Roma)
Gioia Pacifici (Roma)
Sonia Fiorini (Milano)
Rosanna Rovesti (Milano)
Daniela Paolini (Genova)
Diana Datola (Napoli)
Norma Datola (Napoli)
Antonio Zonza (La Maddalena – SS)
Maria Di Chio (Treviso)
Antonella Colucci (Milano)
James Rietberg (USA)
Jenny Rietberg (USA)
Gabriele Gentili (Livorno)
Alice Amadei (Mirandola – MO)
Paolo Gavioli (Mirandola – MO)
Maria Rosa Segalini (Mirandola – MO)
Liv Chayiah Dodino (Genova)
Jessica Yedidah Rattini (Genova)
Paolo Porsia (Genova)
Giancarlo Sanavio (Torino)
Anna Pirnetti (Trieste)
Mario Gusenta (Roma)
Roberto Vitale (Genova)
Simonetta Sanavio (Torino)
Alberto Cherti (Bergamo)
Guido Poltronieri (Torino)
Giancarlo Sanavio (Torino)
Francesco Acella (San Mauro Torinese – TO)
Donatella Acella (San Mauro Torinese – TO)
Paolo Piscitelli (San Mauro Torinese – TO)
Gianfranco Sanavio (Torino)
Jenny Racah (Genova)
Jonathan Kagan (Tel Aviv – Israele)
Miriam Kossmann-Cattan (Bruxelles – Belgio)
Nicola Vino (Fjerdingby – Norway)
Maria Teresa Sircana Basevi (Roma)
Amedeo Moscato (Gerusalemme – Israele)
Ernestina Samarelli (Roma)
Giovanni Polgar (Roma)
Guzzi Alessio (Rovigo)
Donatella Misler (Milano)
Esposito Giuseppe (Napoli)
Esposito Francesco (Napoli)
Hava Lehmann (Natania – Israele)
Alessandro Prosperi (Pisa)
Massimo Dall’Oglio (Milano)
Maria Bellucci (Montepiano di Vernio – Prato)
Luca, Capecchi (Borgo San Lorenzo – Firenze)
Giuseppe Andriano (Milano)
Carlo Barontini (Cagliari)
Antonio Colacino, uff. M.M. (La Maddalena – SS)
Marco Cattaneo (Sedriano – MI)
Cattaneo Marco (Sedriano – MI)
Maria Luisa Negri (Sedriano – MI)
Luigina Costa (Sedriano – MI)
Mauro Uberti, dirigente (Brescia) [...]

niente condoni edilizi
by roushan Wednesday October 29, 2003 at 02:33 PM mail:  

niente condoni edili...
bandiera.jpg7g7um5.jpg, image/jpeg, 400x300

il muro a casa vostra e fuori dai coglioni

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SERVE UN SECONDO MURO!
by cittadino democratico Tuesday November 04, 2003 at 12:27 AM mail:  

Visto che i terroristi palestinesi creano immensi propblemi anche alla Giordania, Sharon farebbe meglio a mettersi d'accordo col Re Abdullah. Dovrebbero essere i giordani a costruire la seconda parte del muro, sulla riva orientale del Giordano, per poi chiuderci tutti i banditi terroristi seguaci di Arafat, di Marwam Barghuti, di Ahmad Yasin, di George Habash, ecc. che infestano la Giordania, così come Sharon sta per chiuderci quelli che infestano la Giudea e la Samaria.

Allora - debitamente ingabbiati i terroristi sanguinari - forse si potrebbe cominciare a parlare seriamente di pace in Medio Oriente.

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Perché il mero serve a difendere la pace
by cittadino democratico Sunday November 16, 2003 at 03:28 AM mail:  





PER PORRE FINE AL CONFLITTO

"The Fence" spiegata a chi non vuol comprendere

di Emanuele Ottolenghi (Il Foglio, 12 novembre 2003).


Contrariamente a quel che dicono i variopinti e confusi manifestanti che si sono accaniti il fine settimana passato contro il cosiddetto "Muro della Vergogna" eretto da Israele per separarsi dai territori palestinesi, non c´è né muro né vergogna. Intanto non c´è muro: delle centinaia di chilometri che il sistema di difesa in costruzione dovrebbe coprire, solo 160 sono stati finora eretti e solo sette (quasi il 5 per cento) sono di cemento e ne assumono la forma vera e propria. Il resto è filo spinato e recinzioni metalliche leggere, rafforzate da strade di pattugliamento, sensori elettronici, postazioni militari di controllo e altri accorgimenti tesi a rendere difficile - gli israeliani sperano impossibile - l´infiltrazione di terroristi suicidi. Poi non c´è vergogna: il deturpamento paesaggistico e il prezzo che pagano i palestinesi a rimanere al di là del muro sarebbero reversibili se la leadership palestinese riconoscesse il fallimento dell´Intifada, accettasse che la violenza ha minato la causa palestinese e ritornasse al negoziato con Israele sulla falsariga della road map, che richiede lo smantellamento della struttura terroristica e una lotta efficace dei riformati Servizi palestinesi contro i terroristi. Il che non succederà fintantoché Arafat rimane al potere. Se si tratta di settimane mesi o anni dipende da molti fattori, ma soprattutto dalla sua salute. Il panorama corrente, visto che la biologia non è certo una strategia politica, continuerà dunque a essere dominato dalla barriera difensiva israeliana.
Gli israeliani sperano che la barriera serva a scoraggiare definitivamente i palestinesi. Chi si oppone al completamento della barriera lo considera "il muro dell´impotenza", come lo chiama qualcuno, perché ritenuto inefficace. Israele crea un nuovo fatto sul terreno, e per quanto lo presenti come temporaneo e reversibile, in Medio Oriente non c´è nulla di più permanente che il provvisorio. Quella barriera fomenterà altro odio, creerà rivendicazioni, incoraggerà altri al martirio. Ma, ribatte chi nel muro/barriera crede, gli impotenti sarebbero i terroristi una volta che il muro sarà completato. E con loro gli estremisti. Perché il miglior mezzo per sconfiggere il terrorismo, nel breve periodo, è il sabotaggio di chi lo pratica: occorre rendere impossibile la vita ai terroristi e creare ostacoli alla loro capacità operativa. Il che non esclude una battaglia politica per isolare gli estremisti nelle loro società. Ma almeno a breve le due cose vanno di pari passo. E chi sostiene la barriera in Israele crede che per il momento non ci sia nulla da dirsi coi palestinesi. Finiti gli anni del dialogo, gli israeliani a gran maggioranza non credono più alla possibilità di riconciliazione. La vogliono fortemente, ma non si fidano. Preferiscono una barriera, una siepe, o un recinto ai confini aperti della fiducia umana. Gaza lo dimostra: in tre anni, gli attentatori di Gaza sono rimasti a Gaza. Attaccano i soldati e le basi, i coloni e i convogli, gli insediamenti e le guardie. A Gaza. Da lì non escono. Perché c´è la barriera. C´era anche prima dell´Intifada. Ma allora i palestinesi non si lamentavano. Protestavano contro gli insediamenti o contro la mancanza di permessi d´ingresso in Israele per lavoro. O contro la chiusura del confine. O contro i posti di blocco. Non contro la recinzione a Gaza. Né lo fanno oggi. Non dà fastidio. E blocca gli attentati. In tre anni solo due assassini hanno eluso la sorveglianza israeliana: due cittadini britannici, venuti dalla fredda Albione per uccidere e morire, martiri della causa dell´Islam radicale. Son venuti insieme all´International Solidarity Movement, i movimentisti pacifisti no global che si lamentano degli abusi delle forze israeliane e usano i loro diritti di europei e americani per protestare contro l´occupazione. Se gli israeliani avessero avuto meno cura dei loro diritti forse avrebbero individuato i terroristi che si nascondevano tra gli ingenui. Ma ai signori dell´ISM importa solo dei diritti dei terroristi che si confondono tra di loro, non delle loro vittime. Così son venuti anche loro, due assassini di buona famiglia. Hanno sfruttato il passaporto europeo e la copertura delle anime belle del movimento e hanno ucciso (se qualcuno dubita della possibile contiguità tra terrorismo e movimentismo, guardi ancora e pensi due volte). Ma sono stati l´eccezione che conferma la regola: la barriera a Gaza funziona, gli altri non passano. Non male come impotenza. Tra l´altro nessuno ha sollevato l´obiezione, a Gaza, che la barriera sia un ostacolo alla visione di pace di due popoli in due Stati, della spartizione della terra e della demarcazione dei confini. Nei mille accordi immaginati, a Ginevra come a Stoccolma, a Taba come a Camp David, e chissà dove ancora, forse anche adesso, mentre scriviamo, tante volte è emersa la possibilità che Israele e Palestina si scambiassero territori.
La linea verde che demarca il vecchio confine del cessate il fuoco proclamato nel 1949 non è il confine internazionale. E´ un fatto provvisorio (e sulla provvisorietà mediorientale, vedi sopra). E se Israele si annettesse parte della Cisgiordania, la Palestina potrebbe ricevere territorio israeliano come compenso. Parte di quel territorio, nelle pragmatiche fantasie dei negoziatori di ambo le parti, poteva proprio essere a Est di Gaza (oltre che a Ovest, Sud e Nord della Cisgiordania), centinaia di chilometri quadrati di territorio sostanzialmente vuoto, certo desertico, ma facilmente irrigabile e arabile in tempo di pace. Manca l´acqua, ma quella manca dappertutto in Medio Oriente, e la soluzione alla mancanza d´acqua è nel Mediterraneo. Desalinizzato opportunamente per irrigare Gaza e dintorni, con impianti pagati dai dividendi della pace. In guerra ci si contende l´acqua. In pace, si unirebbero gli sforzi per trasformare la siccità in fertilità. E in tutto questo, nessuno mai sollevò il problema della barriera. Perché a Gaza, la barriera, in tempo di pace, si può spostare. E perché allora non si potrebbe far lo stesso in Cisgiordania, un domani in cui i giovani palestinesi che oggi sognano di lacerare le proprie carni per assassinare gli ebrei, sognassero invece qualcosa di infinitamente meno eroico, meno assassino, più borghese e banale, come una laurea, un lavoro, una casa, una famiglia, un mese di vacanze all´anno, una macchina e un videoregistratore? Dicono che è l´impossibilità di realizzare quel sogno che li trasforma in assassini. Ma allora perché non fanno lo stesso i guatemaltechi, i colombiani, i brasiliani, i russi e i liberiani, che sognano lo stesso, e sanno che il loro sogno mai si realizzerà? Perché ciò che ha ucciso il compromesso in Palestina non è l´impossibilità di realizzare l´ideale banale di una vita borghese, ma il costo che quella vita comporta, cioè la rinuncia di un altro, ben più potente e glorioso sogno, che non ammette né rinunce né compromessi.
Il vero ostacolo è la forma mentis. Il vero ostacolo a tutto questo quindi non è la barriera, perché, come dimostra Gaza, le barriere non impediscono di immaginare un accordo e di metterlo in atto se c´è la volontà politica: si possono erigere, ma anche smontare, o spostare, le barriere. Non sono nemmeno gli insediamenti l´ostacolo. Lo dimostra il recente accordo di Ginevra, che offre una soluzione non nuova al problema, ma che la dice lunga su quali sono le vere trappole sul cammino della pace. Ginevra sostiene che Israele deve lasciare una parte sostanziale degli insediamenti, annettendone invece altri che richiederebbero una compensazione territoriale ai palestinesi. Una volta evacuati, gli insediamenti non dovrebbero però essere smantellati. Una commissionem tecnica dovrebbe stabilirne il valore monetario e procedere a fare un inventario dettagliato delle proprietà. Una
volta quantificatone il valore, gli insediamenti diventerebbero parte del contributo che Israele darebbe ai palestinesi per assorbire i profughi e riabilitarli. Ecco dunque, il pragmatismo fantasioso che risolve con inventiva e ingenuità un problema che appare insolubile solo nel manicheo mondo degli slogan. Le villette a schiera che sparse sul territorio oggi mettono in dubbio la praticità di uno Stato palestinese contiguo, domani offrirebbero la prima casa del profugo palestinese che rientra in Palestina. Quel che oggi appare un ostacolo, diventa domani un vantaggio. No, l´ostacolo è la forma mentis che impedisce di riconoscere che una soluzione pragmatica sia non solo plausibile, ma anche l´unica soluzione possibile. E contro una forma mentis così radicata e inflessibile da sedurre non solo i giovani senza speranza dei campi profughi, ma anche i rampolli borghesi della penisola arabica e dei sobborghi delle città industriali del Nord Europa a sopraffare il naturale istinto di sopravvivenza per assassinare innocenti sconosciuti, solo una barriera può offrire una risposta. Se la disperazione è quel che li motiva (e se fosse quella la correlazione causale, tutto il mondo sarebbe tormentato dalla piaga dei terroristi suicidi, perché di disperati è piena la terra), forse la disperazione di non passare il muro li scoraggerà prima o poi. Chi sostiene il muro non si fa certo illusioni e non considera il muro la soluzione ideale. Ma la politica non è utopia, è l´arte del possibile. E il possibile viene realizzato quando si riconosce la differenza tra ciò che si vuole e ciò che è possibile, e si accetta l´occasionale impossibilità di colmare la distanza che li separa. La forma mentis che alimenta il conflitto oggi è incapace di riconoscere quella differenza. Una forma mentis alimentata da un´illusione, come scriveva due anni orsono Fuad Ajami sulle pagine della rivista Foreign Affairs: "In un raro allineamento, si erano presentati sul cammino di Arafat un presidente americano ansioso di far del suo meglio e un soldato-statista israeliano desideroso di offrire al leader palestinese tutto quel che Israele poteva dare - e anche qualcosa in più. Arafat rifiutò quel che gli veniva offerto e tornò immediatamente nella familiare saga del suo popolo: il massimalismo, l´incapacità di capire ciò che si può e ciò che non si può ottenere in un mondo di nazioni. Pensava lui di poter contare sulla `piazza araba´ e la sua sollevazione, per costringere la Pax Americana a soddisfare le sue pretese.
Avrebbe nuovamente guidato il suo popolo alla loro vecchia aspirazione di aver tutto, dal fiume al mare. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto conoscere gli equilibri di potere, è ragionevole supporre. Ma si annida ancora, nell´immaginazione araba e palestinese, l´idea, evocata dallo storico marocchino Abdallah Laroui, secondo cui `un certo giorno, tutto sarebbe stato obliterato e istantaneamente ricostruito, e i nuovi abitanti sarebbero andati via come per incanto, lasciando la terra che avevano devastato´. Arafat ben comprendeva il potere redentivo di quest´idea. Deve aver pensato che fosse più prudente cavalcare quest´idea, e che ci saranno sempre un altro giorno e un´altra offerta". Arafat tornò da Camp David osannato dalla folla. Non perché non aveva ceduto alla tentazione di una proposta non abbastanza generosa, perché generosa era e perché offriva spazio per ulteriori aggiustamenti, ma perché nel suo rifiuto categorico aveva riaffermato la dignità dell´illusione di una Palestina araba, dal fiume al mare, e conosciuto da tutte le nazioni della terra. E una volta che si saranno aperte 160 ambasciate a Ramallah, che ci sarà un distaccamento di guardie rivoluzionarie iraniane a Jenin e batterie di Katiusha a Qalqiliya, difficilmente Israele potrà intraprendere azioni militari contro l´infrastruttura terroristica che oggi, in qualità di potenza occupante, Israele può più o meno impunemente mettere in atto in Cisgiordania. Ben Ami non si fa illusioni, ma dice suadente che l´alternativa oggi è tra uno Stato palestinese amico e uno ostile. Un muro, seguito da un ritiro unilaterale israeliano, produrrebbe uno Stato ostile nel cortile di casa. Meglio trattare.
Il precedente discusso del Libano. Gli ribattono a sinistra i promotori del muro. Il muro deve essere il confine, prodotto dalla tragica constatazione che con i palestinesi non si può negoziare, ma che l´occupazione deve terminare. Il ritiro unilaterale dietro a una barriera difensiva risolverà molti problemi, anche se ne creerà degli altri. Il ritiro unilaterale dal Libano offre un esempio a entrambe le parti: chi osteggia una simile mossa, offre il Libano come dimostrazione che il ritiro del maggio 2000 ridusse la deterrenza strategica israeliana, non ha scoraggiato Hezbollah dal cercare lo scontro, ha dato ai palestinesi un modello da seguire per ottenere un simile risultato senza fare a loro volta concessioni. Se la violenza ottenesse ciò che la diplomazia aveva negato, Israele si ritroverebbe
senza territori e senza pace, costretto a trattare un accordo futuro da una posizione negoziale più debole. Ma chi cita il Libano dimentica un dato importante. Il confine libanese è stato, nonostante tutte le conseguenze negative appena citate, infinitamente più calmo di quanto fosse prima fosse facile evacuare gli uomini, come si fa a evacuare un sogno? Tutti questi patemi sono riflessi nelle opinioni apparentemente conflittuali degli israeliani. Secondo il sondaggio mensile del Tami Steinmetz Centre for Peace dell´Università di Tel Aviv, condotto a fine ottobre e disponibile sul sito dell´istituto, l´opinione pubblica vuole la pace ma non la ritiene attualmente possibile. Interrogati sulla possibilità di negoziati, il 71 per cento vuole un rinnovo del dialogo. Ma solo un quarto della popolazione approva la proposta di Ginevra e il 54 per cento è contrario. Soltanto il 7 per cento crede che la proposta abbia una chance di essere attuata. In quanto a chi l´ha firmata, poca la fiducia del pubblico. Solo il 18 per cento degli israeliani si fida di Yossi Beilin, mentre il 61 non lo ritiene in grado di difendere l´interesse nazionale. Quindi l´opinione pubblica sostiene la continuazione della barriera difensiva, e crede che il suo percorso debba riflettere gli interessi nazionali come definiti dal governo, non la linea verde come vorrebbero quelli che a sinistra sostengono barriera e ritiro. L´83 per cento degli intervistati sostiene la costruzione della barriera, ma solo il 19 insiste sulla linea verde, mentre il 63 crede che il tracciato debba essere determinato, unilateralmente, dal governo. E lo stesso 63 è convinto che la barriera costituirà un efficace strumento di dissuasione che ridurrà significativamente
gli atti di terrorismo e un altro 19 per cento che può prevenirli. Solo il 16 non crede che la barriera serva. Ma perché gli israeliani sostengono la barriera, in definitiva? Perché hanno paura. E che cosa temono, oltre che di saltare in aria su un autobus o al supermercato? Temono quello che sempre più esplicitamente, in maniera sempre più sfacciata ed esplicita, è il programma politico dei palestinesi e del movimentismo internazionale che li sostiene e osteggia la barriera. Essi temono lo Stato binazionale, l´abbraccio mortale della fratellanza de iure che si trasformebbe in un fratricidio de facto. Interrogati sulla possibilità che, senza una soluzione politica basata sul principio di spartizione e permanendo il controllo israeliano nei territori i palestinesi diverrebbero presto una maggioranza che trasformerebbe la terra contesa in uno Stato binazionale, il 67 per cento degli israeliani si dice spaventato. La paura attraversa destra e sinistra, religiosi e laici, cosa non sorprendente visto che solo il 6 per cento degli israeliani sostiene la soluzione binazionale, mentre il 78 la osteggia. Il perché non sorprende: l´86 per cento degli ebrei israeliani non crede che in uno Stato binazionale ebrei e palestinesi potrebbero godere di uguali diritti. L´80 per cento non crede possibile garantire la sicurezza della popolazione ebraica e il 66 non ritiene che una simile soluzione assicurerebbe la realizzazione dell´identità ebraica.
E ciò che colpisce nel sondaggio è che anche gli arabi israeliani la pensano così. Il 60 per cento condivide il timore che ebrei e arabi non godrebbero di eguali diritti, il 75,5 preferisce due Stati e solo il 7 si schiera a favore dello Stato unico. Gli arabi israeliani si dividono sulla questione se sia possibile garantire la sicurezza degli ebrei in uno Stato binazionale: 46 per cento di sì, 47 di no. In merito alla conservazione dell´identità ebraica, l´opinione pubblica araba non differisce significativamente: per il 53 per cento sarebbe impossibile farlo nel contesto binazionale, per il 39 sarebbe possibile. Ecco dunque lo scandalo del muro che sorge, tracciando un solco su una terra martoriata, deturpandone il paesaggio e infliggendo una ferita mortale ai sogni irrealizzabili del massimalismo. Si agitano a destra perché sanno che la barriera creerà di fatto un confine prima o poi, e con quello offrirà le premesse del ritiro israeliano e della rinuncia al sogno della Grande Israele. Si agitano i palestinesi, che vedono nel muro la fine del sogno della Grande Palestina, riunita dalla rivoluzione permanente, glorioso e sterminato cimitero di martiri assassini e delle fosse comuni delle loro vittime innocenti, guidata da chi ha speso la vita a distruggere invece che costruire. Si agitano gli agitatori professionisti che in nome dei diritti dei popoli, del romanticismo antimperialista e del terzomondismo antiglobale nascondono i terroristi e propagano uno stupidario di slogan che farebbe sorridere se non fornisse un paravento per l´odio. Si agitano i sognatori di Oslo in Israele e Palestina, e tutti i loro ben intenzionati sponsor, che mai hanno voluto rassegnarsi alla bruttezza della realtà, sempre aggrapmepandosi alle fantasie di una possibile svolta moderata in una terra traversata da estremi ed estremismi. Si agitano gli ambientalisti e i fautori della pietà, che piangono per il deturpamento del paesaggio, non capendo che è meglio vedere un muro dalla collina che esser sepolti sotto la collina di fronte a un bel panorama. Che nella romantica esaltazione della morte, hanno dimenticato la prosaica dignità della vita. In mezzo c´è Ariel Sharon. Sempre lui, grande vecchio della politica israeliana, enfant terrible, bestia nera di tutti, comodo spettro dell´Eurobarometro, orco degli stupidi, fantasma degli irresponsabili commentatori che preferiscono semplificare una storia intricata raccontandola come uno scontro tra buoni e cattivi, indiani e cowboy, vittime e carnefici, lupi e agnelli, parteggiando per gli uni o gli altri, senza capire che occorre prima di tutto compiangere entrambi. Sharon del Passo Mitla, ufficiale indisciplinato nella campagna di Suez. Sharon dei raid a Gaza, brutale ma efficace. Sharon dell´inesorabile marcia sul Cairo nel ´73, generale ingovernabile che vinse la guerra quasi perduta. Sharon che distrugge gli insediamenti nel Sinai e li costruisce su ogni collina della Cisgiordania. Sharon corrotto e Sharon statista. Sharon che invade Beirut senza quasi dirlo al suo primo ministro. Che viene allontanato dalla politica per le sue gravissime omissioni su Sabra e Chatila. Che ritorna quasi per sbaglio al potere e si reinventa come erede autentico di Ben Gurion e del vecchio laburismo che egli stesso aveva lasciato alle sue spalle all´indomani del ´73. E che ammutolisce la destra, accettando lo Stato palestinese, e castra la sinistra, i cui disillusi elettori votano per lui. Strano che su Sharon nessuno punti, quando tanti si aggrappano alla speranza che terroristi come Arafat, despoti come Mubarak, satrapi come Assad e torturatori patentati come Saddam possano nonostante tutto essere interlocutori di pace. Se si possono riformare quei professionisti della tortura, del terrorismo e della repressione politica, perché non si puó riformare Sharon? Già, strano, perché Sharon è prima di tutto un politico. E come tanti politici, sopravvive adattandosi alla realtà e cercando di cavalcarla. E quella realtà oggi lo costringerà prima o poi a scoprire le sue carte, a fare la storia o a diventare storia.
Quali carte mostrerà il premier israeliano? Potrà Sharon, padre degli insediamenti, distruggere il progetto che con tanta assiduità ha costruito per anni? Chi crede alle sue vaghe affermazioni di "dolorose concessioni" che lui sarebbe pronto a fare spera nella svolta pragmatica di Sharon: un momento gollista, che cambierebbe il corso della storia. Chi dubita però ha il conforto dei sondaggi. I palestinesi, se volessero genuinamente un accordo e un compromesso, potrebbero riconoscere finalmente la futilità della lotta armata, accettare che solo la politica può risolvere quanto la violenza non riesce a estorcere, ritornare al tavolo del negoziato, e costringere Sharon a mostrare le sue carte. E se è un bluff, c´è la democrazia israeliana, con le elezioni e il pubblico assetato di pace e tranquillità, che manderebbe Sharon a casa. Ma i palestinesi quell´accordo non lo vogliono. E non vogliono il muro perché sanno che quanto più ebrei e palestinesi si intersecano e si violentano reciprocamente con bombe, insediamenti, posti di blocco e fondamentalismo, tanto più impossibile sarà dividerli geograficamente e politicamente tra breve. Solo la barriera può dividere quanto la follia ha ingarbugliato. Israele oggi non lotta per perpetuare l´occupazione, ma per portarla a termine. Gli israeliani lo vogliono, vogliono uno Stato ebraico, e non vogliono perdere il sogno millenario che il sionismo seppe attuare. Ed ecco perché così tanti, di fede politica diversa, oggi in Israele sostengono la barriera. Perché come successe d´improvviso un giorno di maggio di tre anni fa, presto Israele si possa svegliare una mattina vedendo al televisore le colonne di truppe che ritornano a casa, finendo l´occupazione, riparandosi all´ombra di un muro, lasciando i palestinesi al loro destino. E che scandalo sarebbe, che schiaffo ai pasdaran liberali del pensiero unico in Occidente, se a far lo scandalo fosse lui, l´orco Sharon. Lo farà Sharon? Chissà. Ma l´opinione pubblica lo vuole. E quel che sembra impensabile oggi, quel che appare un sogno per tanti israeliani ormai e un incubo al di là della barriera, potrebbe diventare lo scandalo pragmatico di Sharon. Ritirarsi dunque e lasciare ai palestinesi la responsabilità di scegliere se vorranno continuare a spendere energie, risorse e vite a cercar di distruggere Israele o se invece optare per spenderle a costruire la Palestina. Preghiamo per lo scandalo allora. Altrimenti, prima che muoia questa generazione, morirà Israele, travolto dalla fantasiosa utopia dello Stato binazionale

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BENVENUTO SHARON!
by cittadino democratico Monday November 17, 2003 at 08:23 PM mail:  


Il Consiglio Direttivo dell'Associazione Musulmani Italiani da un caloroso benvenuto in Italia al primo ministro d'Israele Ariel Sharon e gli rinnova la solidarietà dei musulmani italiani con le vittime ebree ed israeliane del terrorismo.

Auspichiamo che questa visita dimostri come la simpatia manifestata dai precedenti governi italiani per l'organizzazione terroristica guidata da Yasser Arafat sia l'incubo di un passato ormai definitivamente tramontato, e come l'attuale governo Berlusconi sia alfine in sintonia con la maggioranza degli italiani, solidali con l'unica democrazia del Medio Oriente e con un popolo ripetutamente provato da ripetuti attacchi terroristici.

Nonostante le sconsiderate prese di posizione che abbiamo dovuto ascoltare in questi giorni da parte di taluni, ci auguriamo che questa visita sia inoltre l'occasione propizia per esprimere piena e convinta comprensione per la scelta del governo israeliano di innanzare una barriera antiterrorismo a difesa della pace e della vita.


Il Consiglio Direttivo della
Associazione Musulmani Italiani
http://amislam.com
mailto:amislam@amislam.com

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