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Ancora da Bobigny
Sopiti gli entusiasmi, addolciti i malumori, recuperate le energie, e dopo averci rimuginato un po', parlo ancora del SFE di Parigi. Non ripeterò, anche se è vero, che è stata un'occasione eccezionale per intrecciare relazioni e un luogo misto in cui la presenza delle donne è stata più importante di quanto una donna relativamente giovane (ho 31 anni) possa ricordare sia avvenuto in passato. Racconterò invece il mio momento brutto al Social Forum Europeo, il momento della sfiducia nella possibilità di un nuovo mondo e della disillusione, non per disfattismo o per fare polemica, ma per iniziare una riflessione. Al Social Forum quest'anno ci sono arrivata seguendo un percorso femminista, insieme ad ArciLesbica. Fin da febbraio abbiamo partecipato alla nascita di Parigi-Diverse, abbiamo discusso fra noi e con le altre donne italiane di precarietà, di xenofobia e lesbofobia, di razzismo ed eterosessismo, di autodeterminazione. A Bobigny, il 12 novembre, avrei dovuto fare un intervento sulla maternità lesbica al tavolo sui diritti sessuali e riproduttivi. Così non è stato. Mi sono presentata al tavolo, organizzato da un gruppo femminista francese, e mi sono sentita dire che "qui non si parla di scelte sessuali" (!) e che "per farlo c'è la conferenza glbt" (!!!). Ho ribadito che il mio intervento, oltre a essere previsto in quel tavolo, non era sulle scelte sessuali, ma sulla maternità, del tutto in tema, quindi, in un tavolo sull'autodeterminazione. Che non avevo sbagliato conferenza, e voler parlare fra donne era stata una scelta politica. La concessione massima che erano disposte a farmi era un intervento dal pubblico, cosa che naturalmente avrebbe potuto fare anche un cardinale Ratzinger, senza chiedere permesso e senza che nessuno potesse impedirglielo! Esattamente la stessa situazione si è ripetuta il giorno seguente a un seminario clonato dal tavolo, sugli stessi temi, con le stesse relatrici, organizzato dalle stesse donne. Una volta appurato che il mio intervento non era saltato per un disguido tecnico, cosa assolutamente ammissibile in una situazione con centinaia di conferenze, atelier, seminari, ma perché secondo le organizzatrici era "fuori tema" e "non esprimeva un'urgenza" (che invece era quella dell'aborto illegale in alcuni paesi d'Europa), ho cercato di argomentare i motivi per cui secondo me, e secondo la mia associazione, aveva un senso parlare di maternità lesbica in un contesto in cui si discuteva di autodeterminazione delle donne. Credo che valga la pena riaprire tale discussione anche in Italia, visto che l'esperienza di Parigi ci ha insegnato che l'appoggio delle femministe alla causa dell'autodeterminazione per tutte non sia affatto scontato. Alle femministe, quindi, chiedo se trovano possibile immaginare un mondo in cui QUASI tutte le donne sono degne di essere madri, in cui QUASI tutte le donne sono libere di scegliere se esserlo o no, in cui QUASI tutte le donne hanno il diritto di separare sessualità da procreazione, cioè le etero possono farlo quando scelgono di avere rapporti sessuali con uomini senza avere dei figli, le lesbiche no quando, al contrario, vorrebbero avere dei figli senza avere rapporti sessuali con uomini. La discussione è meno oziosa e marginale e più urgente di quanto potrebbe sembrare: se si accetta il principio di limitare la libertà di alcune (ad esempio per l'accesso alle TRA) si apre la breccia, si crea il precedente che mette a rischio la libertà di tutte. Non mi aspetto nessuna remora da parte del femminismo italiano nel rigettare l'obbligo alla complementarità eterosessuale e nell' affermare che ciascuna singola adulta deve poter decidere della propria vita e sia sufficientemente responsabile per farlo!
30 novembre 2003 Monia Dragone (segreteria nazionale ArciLesbica) http://www.arcilesbica.it
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