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Napoli anno zerosette.
by Domingo Aniello Saturday, Nov. 04, 2006 at 4:20 PM mail:

Napoli anno zerosette.

Stranissimo che solo nell'anno zerosette l'Italica nazione si rendeva
conto del fatto che Neapolis la città nuova resisteva nella sua vecchia
identità culturale.
Certo, c'éra un museo d'arte contemporanea, il Madre, militarizzato
quanto e come Forcella con sofisticati servizi di vigilanza e sicurezza,
un idillio abbondantemente disinfestato che Calderoli dalla sua Padania
probabilmente neanche conosceva.
C'éra un altro spazio espositivo completamente privatizzato, il Pan,
omonimo del partito di centro destra mexicano di Vicienzo 'o volpone.
C'éra una pubblica e statale Accademia di Belle Arti a conduzione privata
gestita dalla centrale milanese, feudo dove misteriosamente venivano
lasciate in eredità cattedre a figli e nipoti, solo ora però si scopriva
la nuova camorra "sistemica".
Giovani artisti partenopei allevati in vicoli ed anfratti del far west
dell'Accademia di belle Arti erano costretti a scegliere un clan
piuttosto che un altro, girando armati al soldo di curatori accordati con
banche ed enti pubblici, la quarta pittura si maritava in questo contesto
con il Lanificio 25, tutto come sempre più blindato che mai, solo che lo
stato voleva militarizzare il tutto.
Qualche artista ribelle urlava e sbraitava "viva la camorra se serve a
resistere a tutto questo, meglio una città ostaggio di sé e dei suoi
fantasmi che di politiche speculative su di lei".
Il nuovo ordine camorristico transnazionale militarizzandola poteva
presentarla come cartolina turistica, con tanto di cartolina e di museo
obbligatorio permanente per facoltosi turisti nomadi amanti dell'arte
contemporanea.
Chi racconta questa novella preferiva però la camorra vera, sì diceva
lieto del fatto che rivelasse il vero volto della sua amata city
permettendogli così di denunciare i veri camorristi sistemici, quei
curatori, critici e galleristi con i colletti bianchi in grado di
raggiungere Los Angeles con un volo low coast in un batter di ciglia
speculando così sulla vita di sublimi artisti come lui costretti una
volta usciti dall'Istituto d'Arte Filippo Palizzi a farsi assoldare dalla
camorra per mettere su famiglia.
A piazza San Domenico suonava un pakistano che non era passato per il
conservatorio di San Pietro a Maiella ma cazzo, lui si che suonava con
una spiritualità divina facendosi ascoltare.
L'allarme rosso stava scattando, i napoletani stavano preparando le
valigie, stavano arrivano l'esercito Onu di pace e le "cluster bomb", non
per mettere a fuoco Pan, Madre, Accademia di Belle Arti e Lanificio 25,
ma per raccogliere tutti i rifiuti napoletani impossibilitati a fare una
vita normale in una città dominata, calpestata, umiliata e mortificata
per spartirla e lottizzarla in tutta tranquillità.
Il progetto era mettere addosso a tutti gli indigeni locali una simpatica
tuta arancione con il bollo "i'm camorrista original" e mandarli in una
simpatica riserva nel sulcis iglesiente per alzare la densità di
popolazione in Sardegna.






Domenico Di Caterino

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