Napoli anno zerosette.
Stranissimo che solo nell'anno zerosette l'Italica nazione si rendeva conto del fatto che Neapolis la città nuova resisteva nella sua vecchia identità culturale. Certo, c'éra un museo d'arte contemporanea, il Madre, militarizzato quanto e come Forcella con sofisticati servizi di vigilanza e sicurezza, un idillio abbondantemente disinfestato che Calderoli dalla sua Padania probabilmente neanche conosceva. C'éra un altro spazio espositivo completamente privatizzato, il Pan, omonimo del partito di centro destra mexicano di Vicienzo 'o volpone. C'éra una pubblica e statale Accademia di Belle Arti a conduzione privata gestita dalla centrale milanese, feudo dove misteriosamente venivano lasciate in eredità cattedre a figli e nipoti, solo ora però si scopriva la nuova camorra "sistemica". Giovani artisti partenopei allevati in vicoli ed anfratti del far west dell'Accademia di belle Arti erano costretti a scegliere un clan piuttosto che un altro, girando armati al soldo di curatori accordati con banche ed enti pubblici, la quarta pittura si maritava in questo contesto con il Lanificio 25, tutto come sempre più blindato che mai, solo che lo stato voleva militarizzare il tutto. Qualche artista ribelle urlava e sbraitava "viva la camorra se serve a resistere a tutto questo, meglio una città ostaggio di sé e dei suoi fantasmi che di politiche speculative su di lei". Il nuovo ordine camorristico transnazionale militarizzandola poteva presentarla come cartolina turistica, con tanto di cartolina e di museo obbligatorio permanente per facoltosi turisti nomadi amanti dell'arte contemporanea. Chi racconta questa novella preferiva però la camorra vera, sì diceva lieto del fatto che rivelasse il vero volto della sua amata city permettendogli così di denunciare i veri camorristi sistemici, quei curatori, critici e galleristi con i colletti bianchi in grado di raggiungere Los Angeles con un volo low coast in un batter di ciglia speculando così sulla vita di sublimi artisti come lui costretti una volta usciti dall'Istituto d'Arte Filippo Palizzi a farsi assoldare dalla camorra per mettere su famiglia. A piazza San Domenico suonava un pakistano che non era passato per il conservatorio di San Pietro a Maiella ma cazzo, lui si che suonava con una spiritualità divina facendosi ascoltare. L'allarme rosso stava scattando, i napoletani stavano preparando le valigie, stavano arrivano l'esercito Onu di pace e le "cluster bomb", non per mettere a fuoco Pan, Madre, Accademia di Belle Arti e Lanificio 25, ma per raccogliere tutti i rifiuti napoletani impossibilitati a fare una vita normale in una città dominata, calpestata, umiliata e mortificata per spartirla e lottizzarla in tutta tranquillità. Il progetto era mettere addosso a tutti gli indigeni locali una simpatica tuta arancione con il bollo "i'm camorrista original" e mandarli in una simpatica riserva nel sulcis iglesiente per alzare la densità di popolazione in Sardegna.
Domenico Di Caterino
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