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Indy Financial Watch: Delle crisi bancarie e dei materassi
by sbancor Saturday, Feb. 22, 2003 at 8:07 AM mail:

Per la gioia dei venali indyani un nuovo pezzo sulle banche!


Ho notato che l'argomento delle crisi bancarie ha suscitato interesse. Dunque anche fra i mediatici indyani esiste una qualche venalità, che quando si parla di possibilità d'insolvenza delle banche risveglia una mai sopita attenzione verso il "gruzzolo". Essendo uomo che è campato fin dall'adolescenza sui debiti, lasciatemi graziosamente in eredità, difficilmente comprendo le ragioni dei risparmiatori, anche se sono ben cosciente che senza di loro la mia scellerata propensione all'indebitamento prima o poi rimarrebbe senza materia prima. Un breve nota di Wu Ming I mi ha richiamato all'ordine e consigliato una più attenta discussione del problema. Occorre premettere che la teoria delle crisi bancarie è quanto di più arduo vi sia dello studiò delle economiche avidità umane. Un po' perché la storia stessa delle banche è storia delle loro crisi, un po' perché si attribuisce speso al denaro un valore assai diverso da quello che ha. Già Marx notò che il denaro appare sotto tre forme diverse: misura degli scambi, equivalente generale delle merci, denaro come capitale.

I modi di calcolarne il valore cambiano. 1 $ non è mai 1 $. Questo è il problema. Parlo di dollari, in quanto le altre monete sono monete "regionali" e quindi possono interessare al massimo a Bossi. Ma perché 1$ non è mai 1$? Perché cambiano a) i prezzi delle singole merci, b) il tasso generale d'inflazione, o deflazione c) i tassi d'interesse. Ecco perché mio nonno mi lasciò su un deposito a risparmio vincolato ventimila lire, che all'epoca in cui furono versate valevano almeno quanto una moto di buona cilindrata e che io, quando le riscossi a 21 anni d'età mi ci comprai un canotto a remi. Un economista di mia fiducia mi fece notare che un elegante cappotto di cammello che indossava equivaleva all'intero patrimonio, non piccolo, della sua famiglia che sfortunatamente era stato investito in Buoni del Tesoro Italiani anteguerra. Riscossi negli anni '50, svalutata la lira, da quota 90 sulla sterlina a 1750, consolidati i titoli, il valore restante del patrimonio accumulato chissà con quante fraudolenze si racchiudeva tutto il quel cappotto-cammello!

Un filosofo come me, già in giovane età, capi dunque che fra accumulare soldi ed accumulare debiti era senz'altro meno stressante la seconda ipotesi.

E d'altra parte come sottolineano Keynes e Schumpeter il capitalista non è colui che possiede denaro, quanto colui che ne può disporre. E dispone in massima parte di denaro altrui. Sia il capitale di debito, che il capitale di rischio sono rappresentati da titoli a fronte di cui è espressa una è promessa di restituzione. Nel caso del capitale di debito (prestiti bancari, obbligazioni, zero coupon ecc.) la restituzione è vincolata ad alcune garanzie patrimoniali, che andranno comunque valutate in caso di default. Nel caso del capitale di rischio (azioni) la garanzia è praticamente nulla.

Ma torniamo alle banche. La crisi può determinarsi teoricamente sul versante della raccolta (depositi) o su quello dell'attivo (impieghi). Nel primo caso si ha la fuga dai depositi (e il ricorso ai materassi), nel secondo anche. Ma nel primo caso la banca è comunque solvibile (dovrà ricorrere a prestiti sull'interbancario, alla Banca Centrale, dovrà richiedere indietro i prestiti concessi) ma alla fine rimborserà i depositi in fuga. Nel secondo caso no, in quanto i "cattivi impieghi" (bad loans) hanno già distrutto i depositi, quindi la "fuga" è possibile solo per i primi depositanti, già i secondi troveranno le casse vuote.

Le prime crisi bancarie della storia moderna sono quelle delle banche venete e fiorentine del XV secolo. Gli incauti banchieri italiani, arrichitisi finanziando commerci e le nascenti industrie, fecero l'errore di finanziare gli Stati Sovrani. O peggio direttamente i Sovrani. Inglesi e Francesi, soprattutto. Si arrivò al punto per cui le intere entrate fiscali di Francia ed Inghilterra servivano a pagare i debiti verso le banche italiane. Una specie di caso "Argentino". I re non disponevano più delle loro tasse! Ma a differenza degli argentini, essendo Francia ed Inghilterra stati bene armati, anche grazie agli italici finanziamenti, decisero di non pagare. Punto e basta. Anzi i Francesi (Carlo VIII) pensarono bene di restituire sotto forma di palle di cannone, fatte di vile metallo, i ben più preziosi metalli (oro e argento) che gli erano stati prestati. Finì l'Italia delle Signorie, soprattutto Firenze, giacchè i Veneziani erano coperti da speculazioni su oro e argento in Oriente, e finì il Rinascimento. La storia potrebbe essere anche letta come una prima guerra fra capitalismo finanziario (gli italiani) e capitalismo industriale (inglesi e francesi). Gli industriali si sbarazzarono a cannonate dei debiti, mettendo le basi di quella "accumulazione primitiva" che fece grandi le industrie dell'Europa transalpina e d'oltremanica.

E d'altra parte Lord Maynard Keynes calcolò l'attivo della bilancia dei pagamenti inglesi dalla regina Elisabetta I° fino al 1900 non essere altro che il
Tesoro dell'Invincibile Armada Spagnola, saggiamente investito nella Compagnia delle Indie, rivalutato a un tasso annuo del 3 ½ %. Come dire alla base di ogni Isola del Tesoro vi è una storia di Pirati e gentiluomini di ventura che cercano di guadagnarsi rendite, come ha giustamente scritto Geminello Alvi ne "Il secolo americano", Adelphi.

Uscita da questa fase avventurosa le crisi bancarie continuarono fino a quella che più viene ricordata: il 1929.

Come è anche troppo noto il 10 ottobre del 1929 Wall Street raggiunse il suo massimo: 244,7 l'indice di New York. Il 29 ottobre l'indice chiuse a 162,2: - 33%. Erano svaniti 15 miliardi di dollari, il 14,5% del GNP degli Stati Uniti. . Ma la crisi era solo iniziata. Fra il 1930 e il 1931 crollarono i prezzi agricoli, rovinando centinaia di migliaia di contadini. Iniziarono le lunghe file di camions che portavano i piccoli proprietari delle praterie degli stati centrali che avevano perso tutto verso la California, a raccogliere mele a due dollari al giorno, vitto e alloggio in tenda.

Il sistema bancario americano era nel caos più totale. Più di 11.000 banche erano o fallite o costrette a fusioni. Da 25.000 banche operanti prima del '29 il sistema americano ne contava solo 14.000 nel 1933. un calo del 40%. I Governatori di diversi Stati dell'Unione avevano chiuso le banche di stato.

Ciò che di nuovo c'è in questa crisi è il suo accompagnarsi a una "deflazione", cioè a una diminuzione generalizzata dei prezzi, soprattutto dei prezzi agricoli. I due fenomeni, crisi finanziaria e crisi dei prezzi fino a un ceto punto sono distinti, poi si confondono e si autoalimentano in una spirale al ribasso. La crisi dei prezzi agricoli venne in gran parte stimolata dall'innovazione tecnologica, la cosidetta industrializzazione dell'agricoltura attraverso l'uso delle macchine agricole. La produzione agricola aumento di circa il 50%, ma la domanda non aumentò di conseguenza. Quindi i prezzi caddero del '50%. I contadini, indebitatesi per l'acquisto di macchinari non riuscirono a pagare i debiti, per colpa della caduta dei prezzi e fallirono. Con loro fallirono le banche, prima le piccole e poi le altre. Questo evento coincise con la bolla speculativa di Wall street e le economie del Grande Gatsby.

L'industria appena nata non riuscì a produrre una domanda di beni industriali che sostituisse il crollo di valore dei prodotti agricoli e fu la Grande Depressione degli anni '30.

E' in questo contesto che si sviluppo la cosiddetta "Trappola della liquidità" descritta da Keynes. A prezzi calanti non mi conviene investire, ma tenere il denaro in forma liquida: domani varrà più di oggi. Depositi in banca e impieghi crollano contemporaneamente. Anche a "tasso zero" non si investe, come si è dimostrato di recente in Giappone, perché se io suppongo domani il valore delle merci essere di - 2% inferire a quello attuale, tenendo il denaro sotto il materasso guadagno il 2%.

Fra i due mali che affliggono l'economia la deflazione è sicuramente peggio dell'inflazione. Anche perché la prima distrugge ogni possibilità di reddito, che non sia reddito finanziario, la seconda distrugge soprattutto i redditi finanziari.

Purtroppo la Banca Centrale Europea non la pensa così. Perciò sono così pessimista sull'Europa!






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