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Palestina: il piano di Sharon per catturare il raìs
by repubblica Tuesday, Sep. 16, 2003 at 2:29 AM mail:

Una unità dell'intelligence israeliana è pronta a entrare in azione I servizi segreti militari l'hanno messo a punto due anni fa

Palestina: il piano ...
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GERUSALEMME - Il piano ha anche un nome in codice: operazione grande vecchio. I servizi segreti militari israeliani l'hanno messo a punto già due anni fa. "Ma è ancora valido", ci dice un'alta fonte del Gss, il fratello maggiore del Mossad (servizio esterno) e del Shabak (interno). "Lo stiamo esaminando, magari cambieremo qualcosa, ma il suo impianto funziona. E quando verrà il momento lo metteremo in pratica". Arafat verrebbe bloccato dentro la Muqata, imbarcato su un elicottero e trasportato in un Paese del Nord Africa: Egitto, Sudan, Libia. Il piano è stato riesumato e discusso durante l'ultima riunione del Comitato per la sicurezza. E ora gli esperti dell'Intelligence lo stanno affinando per renderlo operativo appena arriva l'ordine di Ariel Sharon.

Pochi minuti dopo il secondo attentato di martedì scorso, il ministro della Difesa contattava il premier ospite in India per una visita di Stato, e insieme concordavano le prime mosse della risposta. Sharon, furibondo, era favorevole ad un'immediata incursione nella Muqata. Ma due telefonate personali di Bush avevano finito per fargli ponderare meglio le scelte. Quando atterra, sotto la scaletta dell'aereo ci sono Mofaz, il capo di Stato maggiore Moshe Yaalon e Avi Dichter, il direttore del Shabak. Sharon è ancora infuriato. Ringhia: "Li facciamo a pezzi". Ci sono nuove telefonate dagli Usa. Chiama anche Colin Powell, che oltre ad esprimergli le condoglianze gli ricorda che il capo della Casa Bianca si è detto contrario a qualsiasi azione di forza. Una posizione che condizionerà tutta la riunione del Consiglio dei ministri e del Gabinetto per la sicurezza, la vera sala di regia di ogni decisione militare.

L'incontro avviene nel tardo pomeriggio. Nello studio di Sharon a Tel Aviv. Tutti sono d'accordo per una soluzione drastica: Arafat è il problema e va eliminato. È il premier che lancia la proposta. Ma resta nel vago e sentenzia: "Sono per la sua rimozione". Il ministro dell'Interno, Poraz, è l'unico contrario. Con Lapid, ministro della Giustizia, suggerisce di sostituire il termine con "neutralizzazione". Liunat, ministro della Pubblica Istruzione, si sfoga: "Deportazione, così la chiamerei. Non c'è alcuna differenza morale tra Saddam, Bin Laden, Yassin e Arafat. Sono tutti terroristi". Eitam, ministro dei Lavori Pubblici, si lascia andare: "Arafat è il simbolo del diavolo e dell'inferno. Deportazione è un termine che riguarda troppo da vicino la nostra storia. Non la userei proprio. Rimozione, invece, contiene tutte le opzioni: dal prendere Arafat e buttarlo in carcere, al cacciarlo dalla regione, all'ucciderlo".

Mofaz è adamatino: "È giusto espellere Arafat ora. E mi spiace controbattere le valutazioni dell'Intelligence militare. La quale sostiene che la sua cacciata sarebbe più dannosa che benfica per Israele. Per come la vedo, è possibile e va cacciato". Sharon, in silenzio fino a quel momento, lo interrompe: "È un'ipotesi che non può e non deve essere presa in considerazione". Zeevi, direttore dei servizi militari, sostiene che l'espulsione di Arafat è cruciale ma che il momento non è ancora adatto. Yaloon, capo di Stato Maggiore, propone: "Usiamola come arma di pressione su Abu Ala. Vediamo se ha la volontà di combattere veramente il terrorismo". Avi Dichter ricorda che Arafat ancora controlla tutti i servizi di sicurezza, e che dispone di un fondo di 100 milioni di dollari che usa per pagare le sue milizie. "Sono contrario", conclude, "meglio continuare a tenerlo sotto controllo come facciamo da tempo".

Sharon lo sollecita: "È ancora valido quel piano?". Dichter annuisce. "Allora, spiegalo per grandi linee". "A causa della pressione Usa", premette il capo dello Shabak, "non disponiamo di una Shaldag, quella unità scelta che si è allenata a sequestrare Arafat fuori dalla Mukata, infilarlo su un Hercules e abbandonarlo in mezzo al Sudan. Per questo rimaniamo sul vago e abbiamo detto agli Usa che attenderemo il momento giusto". Sharon insiste: "Ci rimane il piano". Dichter: "È vero. È pronto da due anni. Assistita da altri commandos, un'unità scelta della Marina entra nella Muqata, preleva Arafat e, a bordo di un elicottero, lo porta in un Paese del Nord Africa. Certo, il Paese dovrebbe essere favorevole ad accoglierlo. Ma questo è un particolare che verrebbe affidato alla diplomazia Usa. Abbiamo valutato i rischi: siamo coscienti che l'operazione comporta uno scontro a fuoco, troveremmo una resistenza, anche consistente. Ma con un po' di fortuna e contando sull'abilità dei nostri ragazzi, il vecchio sarebbe sull'elicottero in meno di 15 minuti". Sharon si alza, la seduta è sciolta. Guarda Dichter e gli dice: "Studialo e aggiornalo. Lo voglio pronto ad un mio ordine".

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