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dal campo profughi di burj al-barajhni, beirut
by bandabonnot Thursday, Sep. 26, 2002 at 1:33 PM mail: antifablocmilano@hotmail.com

campo profughi palestinese di burj, beirut september 2002

Beirut 24 september 2002, burj al-barajhni

Un taxi ci porta all’ingresso di burj al-barajhni, dove abbiamo appuntamento con R.
Di nuovo, ci guiderà nella visita di questo campo.
Cielo grigio, umidità asfissiante, traversiamo la città in direzione sud, percorrendo la nuova superstrada che va in direzione dell’aeroporto.
È domenica, tutta la città si è svuotata, visto che gli abitanti benestanti usano trascorrere le loro giornate nelle ville al mare o in montagna.
L’autista non capisce, quando gli dico burj al-barahni camp mi guarda stranito.
È evidente che non molti “occidentali” gli chiedano di essere condotti là.
Allora chiamo la nostra amica. Passo il telefono all’autista, si spiegano.
Gira a sinistra, lasciandoci davanti ad un mare di spazzatura maleodorante.
Ci sediamo, aspettando.
Chi passa davanti a noi è stranito dalla nostra aria insolita, dalla videocamera, dai pantaloncini corti, la canottiera, i tatuaggi.
Qualche ragazzino ci insulta, passando.
D’altronde, per loro, gli europei non sono molto più che qualche immagine di benessere vista sui cartelloni pubblicitari.
Nati e cresciuti qui, ci vedono come dei singolari intrusi.
Raggiunti da R. e da un ragazzino del campo, finalmente ci addentriamo nel dedalo di viuzze di Burj. Occhi ci scrutano, soprattutto quando iniziamo a filmare.
Il campo è abitato quasi esclusivamente da palestinesi, a differenza di Chatila. Ma intorno vi è uno slum. Lì sono sciiti, profughi dal sud, scappati da anni di bombardamenti e di occupazione israeliana.
Subito ci mostrano delle piccole cisterne d’acqua. Perdono. Hanno dimenticato di staccare il generatore e stanno buttando via un bene per loro preziosissimo. Infatti, anche qui come a Chatila, l’acqua non è fornita gratuitamente dal governo libanese. Devono, al solito, arrangiarsi da soli.
E quindi ancora generatori, ancora cisterne, ancora tubi. Di questo sono disseminate le viuzze del campo. E di cavi per la corrente elettrica. E di immondizia.
Arrivati alla sede dell’Associazione al-Najdeh, R. ci chiede che impressione ci abbia fatto questo primo giro.
A noi Burj è sembrato in condizioni ben peggiori di Chatila.
Gli operatori di al-Najdeh si confrontano, R. sostiene il contrario, T. ci da ragione.
Mettiamo in risalto la sporcizia del campo, ci rispondono sicuri. Infatti abbiamo visto Chatila dopo la visita della delegazione internazionale. Ripulita per l’occasione. Altrimenti è sporca uguale, se non di più. Ci guardiamo in silenzio. E seguiamo il laboratorio che stanno tenendo insieme ai bambini del campo sul problema dell’acqua. Cercano di fargli capire, attraverso giochi e disegni, che l’acqua è un bene comune, che è giusto sia gratuito, per tutti, indipendentemente dal loro status. Anche per i rifugiati. Anche per i palestinesi. Anche a Burj.
Usciamo ancora, altro giro del campo.
Solite viuzze, reticolati di cavi elettrici, tubi, slalom tra i sacchi della spazzatura. Bambini che inseguono la videocamera per avere una “sawurna”, una foto. E che ridono quando gli giriamo il visore. Gli sembra di stare in tv. Giocano nelle pozze d’acqua, o peggio, raccolgono, tra montagne di immondizia, cartoni, o altro, per poi rivenderli per due spiccioli. Per aiutare le famiglie.
La scuola qui, in teoria garantita dalle Nazioni Unite, per molti è un miraggio.
R. ci racconta che la sede delle elementari dell’UNRWA è stata chiusa, in quanto il propietario ha deciso di vendere l’immobile. Senza che l’ONU abbia potuto fare niente. Ora, forse, si trasferiranno da un’altra parte. FORSE?!?
Hizbullah ha posto, davanti ad uno degli ingressi un moschea di plastica, raffigurante al-Aqsa.
E quattro cisterne d’acqua nel campo. Propaganda. Qui i partiti libanesi controllano e fanno propaganda.
Fino a pochi giorni fa, davanti ad uno degli ingressi del campo, c’erano i carri armati dell’esercito libanese.
I palestinesi in Libano, meno si vedono e meglio è.
Rientriamo nel campo, e ci viene spiegato che colera e tifo sono praticamente endemici ai campi, e molti bambini muoiono per questo.
Ora ci invitano ad andare in centro a Beirut, nella zona ricostruita dal premier Hariri, chiamata pomposamente Downtown.
Davanti alla sede dell’UN c’è un sit-in di protesta per quello che sta accadendo a Ramallah, perché si tolga l’assedio ad Arafat. È organizzato da Fatah.
Nuovo taxi, e di nuovo quel senso di incomprensibile disagio che provi uscendo da un posto come Burj. E tornando nel centro di una città commerciale, e ricca- finta ricca-, come Beirut.

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