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18/07 Da Gaza e da Gerusalemme
by Maurizio Berretti Bianchi-Operazione Colomba Sunday, Jul. 21, 2002 at 8:39 AM mail: colomba@eudoramail.com

18/07 Da Gaza e da Gerusalemme

Da Gerusalemme e da Gaza di Maurizio

Città caotica fatta di case ammonticchiate sulle colline circostanti la vetusta città vecchia, città affollata, sudaticcia, vecchi arabi con abiti tradizionali, kefia e bastone, alcuni con turbanti ottomani ormai in via di estinzione si aggirano ancora in un ambiente che li vede scomparire lentamente, donne palestinesi e suore cristiane si confondono nella folla, soldati in armi spuntano dalle finestre sopra la porta di Damasco, sotto, le donne vendono foglie ed erbe nei loro costumi tradizionali mentre un venditore d’acqua in abiti moderni versa bicchieri ai pochi che si fermano per bere da quel suo enorme arnese d ottone. All’interno la polizia fa sfollare le venditrici di foglie, mentre fuori un milite apre un pulmino diretto nella West Bank. a Betlemme non si può andare, e chiusa. Ieri notte una fila di giovani arabi attendeva il mattino di fronte ad un ufficio del ministero degli interni, l’entrata barricata da sbarre di ferro lucido e passaggi obbligati blindati da catene e altre sbarre attendono che l’ufficio apra per richiedere il documento d’identità, senza il quale non possono ne lavorare ne andare a pregare nella loro moschea di al Aqsa sulla spianata del tempio. Oggi la città è presidiata da centinaia di soldati con M16 a tracolla e polizia con giubbetti antiproiettile, da ieri sera si celebra la distruzione del primo tempio e sono migliaia gli ebrei che confluiscono verso il muro del pianto. I giovani sono quasi tutti armati, uno con i riccioli biondi cammina scalzo insieme agli amici con la bandiera sullo zaino e porta a tracolla sulla gabbana nera degli ortodossi un fucile che somiglia molto a quello di Rambo, un M16 con l’aggiunta del cannoncino sparagranate. Un rabbino esce dalla sinagoga dei giovani ebrei, piazzata in piena zona araba, con la pistola in tasca. Per raggiungere il muro del pianto dove a migliaia da ieri sera e per tutta la notte e ancora oggi sostano e pregano continuamente bisogna passare attraverso i metal detector della polizia, strano concetto di sicurezza dove gli armati passano sotto il metal detector senza problemi mentre gli inermi devono svuotare le tasche ed aprire le borse. Ieri sera dopo un poco ci siamo stufati di stare in mezzo a tutta quella folla in preghiera e stavamo risalendo uno dei vetusti lastricati della Città Santa per tornare verso l’ostello, io avevo appena finito di dire che non mi sembravano poi ne tanto cattivi ne aggressivi, quando un nugolo di giovani scalmanati ha cominciato ad urlare che loro odiano gli arabi mentre prendevano a calci le porte di ferro dei negozianti del suk palestinese sotto gli occhi indifferenti delle truppe schierate per garantire la sicurezza. Il nostro nonno, A. di Torino, che non li sopporta, si e fermato in mezzo alla strada. di fronte due poliziotti. ho cercato di lisciargli un poco il pelo che gli si era inturgidito lungo tutta la spina dorsale, ma era diventato duro come un macigno, impietrito di fronte a quelle urla che ricordavano tanto uno qualunque delle centinaia di film sul nazismo. Poi i poliziotti hanno capito e si sono avviati con molta flemma verso la banda di scalmanati per farli tacere. Due giovani palestinesi sono usciti di casa e chiedevano a due giovani fidanzatini ebrei perché gli stronzi gridavano tutto quell’odio, i due ebrei cercavano di spiegar loro che nessuno odia gli arabi, esclusi pochi estremisti, poi si sono allontanati. e anche i due giovani palestinesi sono rientrati in casa. Il nonno si e ripreso e abbiamo proseguito verso l’ostello. Normalità? Follia? Complesso di interiorizzazione dell’oppresso, che si spalma sull’intera società? Jerusalem, città ritrovata e persa, abbandonata e riconquistata, faro e riferimento per oltre quattro miliardi di credenti, città sporca, infelice? Jerusalem, troppo amata, troppo importante, troppo vissuta, troppo antica, troppa cultura, troppa ignoranza, troppo di tutto. Città di Dio che conta le lacrime delle donne, che confusione!!!


Jabalia Camp e il campo di rifugiati più grande della Striscia di Gaza, vi abitano circa 80.000 rifugiati in un area di 2,5km quadrati, con una densità di circa 32.000 persone per kilometro quadrato, in un abitato senza infrastrutture, con tubature dell’acqua e delle fogne improvvisate, cosi come gli allacciamenti alla corrente elettrica. La maggioranza dei rifugiati che vi abitano sono stati sfollati dopo la costituzione dello Stato di Israele nel 1948, altri dopo la guerra del 1967 e cosi via. Tutte queste persone hanno lo status di rifugiati e di conseguenza incontravano molte difficoltà ad andare a lavorare in Israele prima di questa intifada, oggi e del tutto impossibile. la disoccupazione ha superato il 70% e questo provoca grandi frustrazioni e tensioni all’interno del campo, riflettendosi negativamente sulle relazioni interfamigliari, tra moglie e marito cosi come tra padre e figli. A causa di queste difficoltà le priorità economiche delle famiglie vengono destabilizzate cosi che, ad esempio, i disabili vengono trascurati e i giovani hanno difficoltà ad accedere allo studio. Molti si arrangiano coltivando la terra e praticando qualche piccolo commercio, per altro l’UNRWA (United Nations Relief Work Agency) provvede ai servizi sanitari e alle strutture scolastiche cosi come alle forniture alimentari (50kg di farina al mese per ogni famiglia, per un totale di circa 10.000 famiglie) sostenendo, sia pure in maniera insufficiente, le esigenze primarie della pura sopravvivenza degli abitanti del campo. All’interno del campo non ci sono ospedali, solo piccole cliniche sostenute dall’UNRWA, dall’ANP e dall’UPMRC (Union of Palestinian Medical Relief Commitees). Il funzionario del Medical Relief che mi parla, spiega che lavora nel campo ad un programma chiamato (community based rehabilitation program) dove con il suo staff si prende cura dei disabili nelle loro case, seguendoli negli esercizi di riabilitazione e nella consulenza familiare, con lo scopo di integrare il più possibile i disabili all’interno della comunità. Alla domanda sul perché mai non ci siano cantine sotto i palazzi e perché mai non ci siano rifugi antiaerei nella Striscia di Gaza, egli mi risponde che; dopo cinquant’anni di guerre, che non abbiamo voluto noi, abbiamo costruito le nostre case senza cantine e le nostre comunità non hanno rifugi per difendersi da eventuali bombardamenti perché abbiamo creduto che il futuro dopo gli accordi di Oslo fosse migliore o almeno che sarebbe migliorato nel tempo. nessuno poteva immaginare che ci saremmo trovati coinvolti in una seconda intifada. e vero che se oggi bombardassero la striscia di Gaza ci sarebbero centinaia di migliaia di morti, ma tuttavia non crediamo che gli israeliani arriverebbero a tanto. Comunque ormai non possiamo più farci niente, avremmo dovuto pensarci prima, ma non ci aspettavamo una seconda intifada. In breve oltre un centinaio di membri delle famiglie dei due attentatori del bus Emmanuel attaccato vicino a Tulkarem il 17 luglio è gia in stato di arresto dopo aver provocato sette morti tra cui un bambino e oltre quindici feriti, andranno ad ingrossare le file dei diseredati della striscia di Gaza, dove saranno deportati. mentre le loro case saranno fatte saltare e spazzate via dai buldozer.

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