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Notizie dal Baby Hospital, Betlemme
by gianni Wednesday, Jul. 31, 2002 at 9:19 AM mail: lkjlk

Forse molti pensano che a Betlemme i problemi siano finiti il 10 maggio scorso...


Notizie dal Baby Hospital – Betlemme


(aggiornamento d’obbligo)




28 Luglio 2002

Forse molti pensano che a Betlemme i problemi siano finiti il 10 maggio scorso…. Di Betlemme infatti i media non parlano piu`. Anzi, la citta` e` vietata ai giornalisti ed e` dichiarata “zona militare chiusa”. Un gioco malefico sembra condizionare e manipolare le notizie sul Medio Oriente, e noi, che a Betlemme ci viviamo, ce ne accorgiamo piu` di altri.
Basta dare un’occhiata al calendario di questi ultimi mesi per rendersi conto che l’assedio di Betlemme non e` assolutamente finito con la “liberazione della Nativita`, in realta` esso sta diventando un metodo sistematico di oppressione:

Dal 2 aprile al 10 maggio: assedio della Nativita` e occupazione dell’intera Betlemme da parte dell’esercito israeliano;
27, 28 , 29, 30 maggio: rioccupazione della citta`;
dal 20 giugno fino ad oggi, 28 luglio: rioccupazione della citta`.

Non e` bastato l’incubo dei “39 giorni”; dopo pochi giorni la popolazione si e` trovata nuovamente a subire la rappresaglia per gli attacchi suicidi.
Rappresaglia significa, come gia` sappiamo per lunga esperienza, coprifuoco di giorno e di notte sotto il controllo dei carri armati israeliani.
La popolazione deve stare confinata in casa.
Ogni 3-4 giorni vengono concesse alcune ore di liberta` di circolare e provvedere ai bisogni di prima necessita`.

Il susseguirsi degli attacchi terroristici, a loro volta provocati, ha portato cosi` ad un continuo esercizio di vendetta, il quale suscita ancor piu` crudeli attacchi, seguiti da una sempre piu` estesa vendetta che infierisce sull’intera popolazione.
Betlemme oggi e` l’immagine della desolazione, una “citta` fantasma”, risucchiata da questa ondata di vendetta. La nostra vita quotidiana dipende ormai dall’accadere o meno di fatti di sangue e dalle conseguenze che per essi si decide di farci pagare.
Appena si apre qualche spiraglio di speranza e di dialogo, altra violenza si aggiunge e dobbiamo disporci ad altri castighi.
In conclusione, Betlemme diventa sempre piu` una prigione per i suoi abitanti: sia in conseguenza degli attacchi terroristici, sia in previsione e paura che accadano.
Le condizioni di vita della grandissima maggioranza della popolazione, gia` tanto deteriorate, continuano a deteriorarsi di giorno in giorno, a tutti i livelli, fino alla disperazione che si esprime ormai solo con le lacrime. Non si tratta semplicemente del problema di trovar da mangiare: le organizzazioni umanitarie riescono, in genere, a raggiungere molte famiglie, e l’Italia ha inondato Betlemme di riso. …ma non si vive di solo riso o pane…E’ la dignita` delle persone ad essere offesa quando si toglie loro la liberta`, la possibilita` di recarsi al lavoro, di provvedere decorosamente alla propria famiglia, senza dover mendicare la carita` altrui e subirne la vergogna di fronte ai figli.
Molte famiglie si preparano ad emigrare: sono in gran parte imprenditori, gente qualificata, gente che dovrebbe rimanere invece che andarsene: prima di tutto perche` ne hanno il diritto, e, secondo, perche` potrebbero contribuire allo sviluppo della loro Terra. Da due anni senza lavoro, non riescono piu` a tollerare la vita miserabile che stanno conducendo: chiusi in casa, senza nessuna prospettiva per se stessi e per i propri figli, nauseati di essere trattati come animali, le cui “occupazioni” si riducono al mangiare e dormire.

La vita sociale della popolazione si concentra per lo piu` nelle poche ore d’aria che l’esercito israeliano decide a suo piacimento: in queste poche ore le famiglie devono farci stare un po’ tutto: si celebrano i matrimoni e i funerali, si portano i bambini dal medico, si provvede un po’ di cibo… e si cambia anche il turno di lavoro al Baby Hospital….il tutto in gran fretta perche`, come succede piu` volte, il coprifuoco puo` riprendere in anticipo, e allora il silenzio cala nuovamente, improvviso, affrettato dalle grida minacciose dei soldati.
L’annuncio della revoca del coprifuoco avviene, in genere, solo all’ultimo momento, il che impedisce assolutamente di fare piani, non solo da un giorno all’altro, ma anche da un’ora all’altra. Per le coppie di fidanzati, ad esempio, fissare la data del matrimonio risulta alquanto problematico ; Johnny e Rania hanno dovuto posporre la cerimonia cinque volte; ogni volta c’era il coprifuoco.

Gestire un’ospedale per bambini in questa situazione non e` facile. Ma non si puo` lasciarci travolgere dalla nostra stessa sofferenza e bisogna andare avanti, per amore della vita, dei bambini, di questa gente che non vorrebbe disperare…
Tra mille peripezie ed imprevisti che cancellano di colpo qualsiasi piano o programma, riusciamo ad assicurare il personale di emergenza, cogliendo tutte le opportunita` concesse alla popolazione nelle poche ore d’aria. Le nostre infermiere portano avanti turni da eroi, rimanendo tre - quattro giorni in ospedale, specie quando il coprifuoco e` al “110%”. Ad un certo punto pero` si rende indispensabile un maggior ricambio del personale: la preoccupazione per la famiglia, spesso in balia delle perquisizioni casa per casa da parte dell’esercito israeliano, provoca tensione nel nostro personale e la lontananza diviene insopportabile. Dopo vari inutili tentativi di risolvere queste difficolta` non resta che affrontare il coprifuoco e partire per prelevare altro personale. L’essere straniere, il portare una tonaca e una croce al collo… tutto questo puo` essere di aiuto…. Il rischio e` reale e ci vuole una buona dose di coraggio, ma contando su Qualcuno in alto ed anche in quel briciolo di umanita` che puo` essere rimasto nel cuore dei soldati israeliani, si parte e via… preparandoci, naturalmente, a “incontri” tuttaltro che piacevoli.
E, come previsto, i carri armati ce li troviamo davanti abbastanza spesso. Tentiamo di abituarci all’idea… La sola vista di quegli enormi mostri da guerra e` sufficiente per suscitare orrore e terrore. Appena colgono la nostra presenza dall’alto dei loro cingolati, i soldati si allertano, corrono verso di noi, ci circondano…il loro aspetto e` grottesco, perfino comico, bardati come sono per la guerra… e noi spieghiamo, in tutta franchezza, il motivo delle nostre violazioni alla legge del coprifuoco. Dopo un po’ di interrogatori e negoziati, i soldati ci lasciano andare per la nostra strada, e noi, naturalmente, non proviamo che sollievo…
Alla fine, noi stesse arriviamo a provare un senso di pieta` per quei “poveri” soldati costretti ad essere “cattivi” e ad opprimere esseri umani come loro, solo perche` i loro capi ordinano loro di fare cosi`.

I nostri “tours” sotto il coprifuoco e sotto il sole cocente, ci permettono di renderci conto in diretta della situazione e dell’atmosfera di Betlemme. Sulle strade completamente deserte solo i cani e i carri armati possono circolare liberi. A causa dell’ abbandono e della trascuratezza tutto sembra tornare selvatico ( nel terreno del nostro ospedale sono venute a passeggiare le volpi! .
Cumuli di rifiuti stanno ai lati della strada per giorni e giorni e il vento della sera li sparge dappertutto dando l’impressione di desolazione e di squallore. La sporcizia e il degrado si accompagnano alla distruzione che il passaggio dei carri armati lascia dietro di se`; le pietre e i sassi si sbriciolano e diventano polvere… .
Ma e` il campo di rifugiati di Dehesha, la zona piu` “calda” di Betlemme, onorato dalla visita del Papa nel “lontano” 2000, che ci presenta i segni piu` vistosi della violenza e del degrado. La strada che con estrema difficolta` riusciamo a percorrere, e` cio` che resta di un campo di battaglia: a stento ci si apre un varco tra rottami, detriti, buche e ogni genere di sudiciume. I carri armati scorazzano su e giu`, da gran padroni; le frotte dei ragazzi sbucano improvvisamente dalle viuzze del campo e lanciano sassi, ma i soldati dell’esercito neppure li badano e continuano imperterriti per la loro strada.
All’interno del campo, c’investe piu` che altrove l’odore di rifiuti lasciati a marcire… gli abitanti tentano di disfarsene appiccandovi il fuoco e il fumo che si diffonde tra le casupole contribuisce ad appesantire l’aria aggiungendo altro odore ripugnante.
Eppure, nonostante tutto, e` qui che riceviamo una gustosa, freschissima bevanda che ci da’ sollievo e rende il nostro “tour” un po’ meno faticoso.

Non ci mancano neppure le cose divertenti e insolite in questi brutti giorni: il Baby Hospital ha ripreso ad ospitare l’asinello di Fatmeh, cosa che non accadeva da dieci anni, il tempo della prima intifada.
Fatmeh e` una donna palestinese dallo sguardo acuto e fiero. Da piu` di trent’anni ( il prossimo anno andra` in pensione) lava le bottiglie del latte dei nostri bambini, Nessuno passa davanti a lei per la correttezza e la precisione, e lei, analfabeta, affezionata e gelosissima del suo lavoro, e` responsabile della sterilizzazione nella cucina del latte. Il prolungarsi del coprifuoco l’aveva pero` bloccata in casa e non l’abbiamo piu` vista da giorni e giorni, Ma Fatmeh detesta stare e casa: essendo la “matriarca” del clan, figli (dieci), nipoti e pronipoti, (piu` di un centinaio) dipendono da lei e la fanno impazzire. Cosi` Fatmeh ha preso la sua decisione: con nostra grande, piacevole sorpresa, di buon mattino, l’abbiamo vista varcare trionfante il cancello dell’ospedale a cavallo del suo asinello, vestita del suo ”thaub”, il tradizionale vestito ricamato delle donne palestinesi..
Come fosse capace di percorrere tanta strada, sotto rigido coprifuoco, sembrava a tutti noi una cosa incredibile. Ma Fatmeh, battagliera come sempre, aveva letteralmente “comandato” ai soldati israeliani di lasciarla passare, lei e il suo asinello. E` ritornata cosi` alle vecchie abitudini, che anche lei aveva smesso quando la vita si era fatta piu` moderna: ogni giorno ora arriva al lavoro cavalcando il suo asinello: altro modo di raggiungere l’ospedale per lei non c’e` data l’eliminazione di tutti i mezzi di trasporto; inoltre, l’asinello le permette di superare agilmente le difficolta` e gli ostacoli dei posti di controllo, strade e sentieri cosi` impervi che scoraggerebbero chiunque.
Mentre la sua padrona lava minuziosamente le bottiglie dei bambini nella cucina del latte, l’asinello, fuori della porta, aspetta pazientemente l’ora del ritorno.
Scene e immagini da non perdere!

Siamo in molti a chiederci il perche` di questa prolungata invasione dell’esercito israeliano, di questo andirivieni continuo di mezzi blindati tra le nostre case. A differenza di mesi fa, la resistenza palestinese e` zero: non si reagisce e non si spara piu`; rinchiusi nelle proprie case, i palestinesi si trovano a fare la vita degli animali in gabbia. Perche` dunque questa repressione infinita, questo infierire su una popolazione stremata che pensa soltanto a sopravvivere alle fatiche quotidiane?

Si dice che forse i carri armati rimangono perche` un po` alla volta ci convinciamo che sono i soldati israeliani i padroni, e sono loro a comandare.
Si dice anche che l’esercito rimarra` fino a quando avranno costruito il “muro”, un muro alto circa 5 metri, corredato da sistemi sofisticatissimi per tenere I Palestinesi separati da Israele, concretamente, per chiuderli per sempre in prigione. E se in questi giorni si tiene la popolazione “agli arresti domiciliari”, e` piu` facile costruire barriere, innalzare ostacoli, mettere filo spinato, scavare fossati e ritagliare ai palestinesi tutti i pezzi di terra che sono considerati necessari per la sicurezza e la difesa di Israele. Anche Farah, un nostro vicino di casa si e` visto derubare di parte della sua terra. Era la terra di famiglia, trapuntata di olivi e profumata di erbe aromatiche, le tipiche erbe dei paesaggi biblici. Da allora i soldati hanno cominciato ad aggirarsi nella zona perche` i lavori di costruzione del muro procedessero indisturbati. Shady, il bambino di Farah, cinque anni in tutto e ancora candido nel credere nella bonta` degli uomini , non si impauri` per nulla un giorno in cui vide un soldato nei pressi della sua casa, e comicio` a salutarlo agitando la mano. Il soldato gli rispose puntandogli il fucile…









La nostra conclusione.

Mentre condividiamo l’ immensa sofferenza di questa popolazione, ci viene spontaneo esprimerci cosi:

Il blocco dei Territori Palestinesi , la rioccupazione di Betlemme e delle altre citta`, l’innalzamento del muro di separazione, non aiuteranno a risolvere il problema della sicurezza di Israele.
Le pesanti restrizioni imposte sulla circolazione, la mancanza di liberta`, la frustrazione delle esigenze umane di base, tutte queste cose alimentano l’odio e il terrorismo.
E` moralmente inaccettabile opprimere un’intera popolazione. scaricare su di essa la propria vendetta.
La vendetta moltiplica i gesti di violenza.

Anche se impopolare, noi preferiamo il linguaggio del dialogo, del perdono e della pace.
E lo riaffermiamo oggi, Domenica 28 Luglio, in comunione con la folla di giovani riuniti con il Papa a Toronto.


Riportiamo quanto l’agenzia Misna scriveva il 21 maggio scorso, a proposito del muro…

“ I muri che dividono citta` e nazioni appartengono alla categoria storica dei “mai piu`”. Dopo quello abbattuto a Berlino nel 1989, dopo i civili trucidati nelle citta` etnicamente divise come Mostar, in Bosnia, sembrava che l’ultima divisione da superare in Europa fosse quella che separa greci e turchi a Cipro. Invece dal Medio Oriente arrivano notizie sconfortanti. Nuove barriere, nuovi muri. Anziche` restringersi si allarghera` il solco di odio che separa israeliani e palestinesi, arabi ed ebrei. Saranno infatti costruiti 364 Km di reticolato dotato di sofisticatissimi sistemi di sicurezza, telecamere, allarmi elettronici e anche un muro alto alcuni metri lungo i confini tra Israele e la Cisgiordania. Obiettivo, secondo il ministro della difesa israeliano Ben Eliezer, impedire infiltrazioni di terroristi nello Stato Ebraico. “E` un nuovo capitolo di apartheid” ha tuonato Saeb Erekat, alto esponente dell’Autorita` Nazionale Palestinese, facendo sapere che il Presidente Yasser Arafat si e` rivolto alla comunita` internazionale per bloccare questo intervento.
Se la metafora usata per descrivere fino ad ora i Territori palestinesi e la striscia di Gaza come “prigioni a cielo aperto” non si discostava molto dalla realta`, ora l’idea di una grande prigione palestinese all’interno dello Stato Ebraico appare spiegata nel dettaglio da questo progetto. La costruzione della barriera difensiva e` stata ordinata da Ben Eliezer, che ha anche indicato i tempi di realizzazione. Entro sei mesi, con una spesa di poco piu` di 200 milioni di dollari (pari a 440 miliardi di vecchie lire), Israele avra` realizzato un recinto che di fatto isola la Cisgiordania….”

Sorelle del Baby Hospital - Betlemme

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