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Johannesburg world summit: il solito copione.
by teresa Friday, Aug. 30, 2002 at 8:00 PM mail:

Il World summit sta arrivando a delle conclusioni chiare: a dieci anni di distanza da Rio i governi, ma anche le Nazioni Unite, riconoscono di non essere in grado di affrontare nessun problema. L'unica possibilità di salvarsi dai disastri ambientali, è di affidarsi alle mani dei privati. E il messaggio che viene lanciato è sempre lo stesso: solo il profitto potrà evitare lo spreco dell'acqua, l'eccesso di inquinamento, l'ineguale distribuzione del cibo.

La funzione del Summit di Johannesburg è ormai chiara: fare in modo che i
media parlino di nuovo di ambiente e sviluppo sostenibile, facendo credere
alla gente che i governi stiano seriamente facendo tutto il possibile per
affrontare quella che pare una delle sfide più alte e difficili del
millennio, e soprattutto ottenere che dei problemi ambientali si occupino,
non certo gratuitamente, le grandi corporation industriali. Il copione è
perfetto: alzando i livelli di allarme, sostenendo che lo sforzo da fare è
cospicuo se non quasi impossibile, dando spazio alle multinazionali e
coinvolgendole nella stesura del documento finale, il vertice sta neppure
troppo subliminalmente segnalando che l'unica possibilità di salvarsi dai
disastri ambientali, è quella di affidarsi alle mani dei privati. Solo il
profitto, sembra essere il messaggio, potrà evitare lo spreco dell'acqua,
l'eccesso di inquinamento, l'ineguale distribuzione del cibo. Difficile
però è capire come e dove sia avvenuto il miracolo, visto che, fino a ieri,
proprio a causa del profitto e dello spreco l'acqua non è potuta arrivare a
chi ne aveva più bisogno, e soprattutto non sono state prese le misure
necessarie a proteggere le risorse, come foreste e montagne, da cui la sua
disponibiltà dipende. Le emissioni nocive sono state per anni trattate come
fossero aria fresca, il cibo, e le merci necessarie a comperarlo, hanno
seguito percorsi obbligati dai monopoli delle nazioni occidentali.
E' interessante però vedere come è organizzato il Summit, per capirne i
meccanismi. A Johannesburg intervengono capi di stato e primi ministri,
ministri dell'ambiente e dello sviluppo. Non tutti. Bush per esempio non ci
sarà. Ma anche senza di lui la presenza Usa è ingombrante. Oltre alle
delegazioni di governo infatti ci sono i rappresentanti delle varie agenzie
delle Nazioni Unite (Uneo, Fao, Undp.) e soprattutto gruppi lobbistici e
organizzazioni di imprenditori. La funzione di queste presenze non si
riesce a comprendere del tutto se non si prende in considerazione il
modello americano di governo, in cui i gruppi lobbistici sono ufficialmente
autorizzati e possono fare pressioni sui membri del governo, in funzione
della loro rappresentatività di un gruppo ampio di persone, o di un settore
di interessi economici.
Il summit dunque sta operando a vari livelli. Mentre nella sede plenaria
del Summit i governi fanno brevi presentazioni, i negoziati procedono in
privato. Questa volta, in particolare, le discussioni sono molto
importanti, perché i meeting precedenti a Johannesburg, e in particolare
quello tenutosi a giugno a Bali, non sono giunti a punti conclusivi.
Rio si è dimostrato alla lunga un fallimento. Ma ha prodotto due
convenzioni: quella sul cambiamento climatico e quella sulla biodiversità.
La prima è ancora in discussione: Usa, Canda e Australia si sono rifiutare
di sottoscrivere il documento di Kyoto stilato nel 1997 e stanno facendo
pressioni su altri governi perché non firmino. Nel frattempo le emissioni
globali di anidride carbonica sono aumentate del 9 per cento allanno.
Riguardo alla seconda, solo 70 delle 180 nazioni che lhanno firmata hanno
preparato piani di ntervento. E il Biosafety Protocol che dovrebbe
garantire ai Paesi la possibilità di chiudere le frontiere agli organismi
geneticamente modifocati, è stato ratificato solo da 22 Paesi. Diventerà
operativo solo se altri 28 li raggiungeranno.
A Johannesburg non sono attesi neppure passi simili a questi. Lunico
risultato sarà appunto la dichiarazione politica finale, che dovrebbe
riaffermare gli impegni presi a Rio sullo sviluppo sostenibile e impegnarsi
su tre obbiettivi: ridurre la povertà, convertire la produzione
insostenibile, e proteggere le risorse naturali. Povertà che è nel
frattempo aumentata in alcuni Paesi, come Asia e Africa, ed è aumentato
il divario tra i più ricchi e più poveri: un quinto della popolazione
mondiale (paesi occidentali) vive con un reddito di 74 volte superiore a
quello del resto del mondo.
Un altro impegno però potrebbe riguardare la globalizzazione, che dovrebbe
diventare equa e disponibile per tutti. Equa per chi, verrebbe da
domandarsi, visto che il nuovo elemento comparso a Johannesburg, rispetto a
Rio, è proprio l'accettazione di partnership tra i governi, le industrie e
le comunità locali. A dieci anni di distanza, suona come un riconoscimento
ufficiale del fatto che i governi, ma anche le Nazioni Unite, non sono in
grado di affrontare nessun problema. Infine viene di nuovo sottolineata
l'importanza di aumentare gli aiuti per i Paesi poveri. Facile a dirsi, ma
non a farsi: tra il 1992 e il 2000 l'unico Paese che ha aumentato i suoi
aiuti all'estero, passando dal 1.02 all'1.06 del Pil, è la Danimarca.
Francia, Canada, Italia e Usa l'hanno più che dimezzata, arrivando a meno
dello 0,1 per cento
D'altronde neppure l'organizzazione del Summit è riuscita ad affrontare,
figuriamoci a risolvere, il contributo che l'arrivo delle 60 mila persone
che sono giunte a Johannesbirg hanno dato al riscaldamento globale: le
emissioni di anidride carbonica supereranno le 500 mila tonnellate.

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