George Habash, leader storico del Fronte popolare:
"La rivolta è una occasione unica che ha unito tutti i palestinesi". E porterà a una pace che non sia "l'apartheid voluta da Israele".
Questa intervista, di cui riprendiamo larghi stralci, è uscita sulla rivista palestinese-israeliana di Gerusalemme News from within. George Habash è il fondatore e leader storico del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, contrario agli accordi di Madrid ma parte integrante dell'Olp. Un anno fa si è dimesso dalla leadership del Fplp in favore di Abu Alì Mustafa, assassinato ieri dagli israeliani.
Dieci drammatici anni sono passati dalla Conferenza di Madrid. Come valuta questo
periodo in rapporto al suo rifiuto della conferenza di Madrid?
Il processo di pace che cominciò a Madrid nel '90 ha toccato una impasse che riflette lo
squilibrio di fondo su cui quel processo fu costruito. Quello era un progetto americano
che voleva mettere fine al conflitto arabo-israeliano e al problema palestinese secondo
gli interessi dell'alleanza israelo-amerciana. Quello squilibrio è ancora aumentato dopo
la caduta dell'Unione sovietica e la frammentazione araba dovuta alla guerra del Golfo.
La nostra decisione di respingere quel processo non è stata arbitraria e non significava
che i palestinesi o i partiti palestinesi fossero contrari alla pace in via di principio.
Piuttosto era l'affermazione del nostro convincimento che le condizioni di quel processo
non potevano portare alla pace. Le pratiche quotidiane dell'alleanza israelo-americana
rivelano un modo particolare di intendere la pace: come uno strumento per imporre la resa
politica agli arabi in generale e ai palestinesi in particolare.
A sua opinione quali sono i pericoli che minacciano l'intifada palestinese e cosa
l'intifada ha ottenuto fino a oggi?
Il pericolo maggiore che minaccia l'intifada sta nei tentatvi politici di stroncarla. Gli
obiettivi politici dell'intifada sono gli stessi del Movimento di liberazione nazionale,
chiaramente definiti nei documenti politici dell'Olp. Dobbiamo ricordare che la causa
principale dell'intifada è la crescente consapevolezza da parte del popolo palestinese
degli effetti degli accordi di Oslo: non solo i suoi diritti e le sue legittime richieste
storiche sono sull'orlo dell'annientamento a causa dei negoziati sul
cosiddetto status finale. Ma l'alleanza israelo-palestinese sta spingendo a tutta velocità
verso l'imposizione dei suoi termini e delle sue condizioni ai palestinesi. In altre parole
quando il popolo palestinese ha realizzato che gli obiettivi degli Stati uniti e la pratica
di Israele sono parte di un piano ben sviluppato e organizzato per "risolvere" il problema
palestinese e spezzarne tutti i suoi fondamenti, allora ha cominciato la nuova intifada,
con l'obiettivo di riformular e l'equazione e rendere chiaro che le costanti della causa
palestinese devono essere ricordate e difese. Quello a cui ci troviamo di fronte oggi in
termini di una guerra aperta contro un popolo disarmato è in realtà e al fondo una guerra
politica cosparsa di trappole militari. E' semplicemente un tentativo di contenimento e
sottomissione del popolo palestinese attraverso l'uso di mezzi militari per imporre la
visione politica di Israele nella prospettiva del fallimento dei negoziati. Qui si trova
il vero pericolo cui dovrebbero rispondere l'Autorità palestinese, le forze nazionali,
quelle islamiche e il popolo palestinese in generale. Finora la rivolta palestinese ha
portato a molti risultati di grande significato. Ha affermato che il popolo palestinese
continuerà a tenere ferme le proprie posizioni in vista della riconquista dei suoi diritti
nazionali; ha inferto un colpo decisivo al piano israelo-americano di annientare la causa
palestinese; ha provato che qualsiasi accordo c he non riconosca i diritti del popolo
palestinese così
come sono sanciti nel programma nazionale palestinese e nelle convenzioni internazionali,
è destinato a fallire; ha forzato Israele, che il governo sia del Labour o del Likud non
importa, a scoprire le sue carte su quel che intende per "accordo politico": ha messo in
chiaro la nutura del progetto sionista e la posizione di Israele di basarsi sulla
perpetuità dell'occupazione sotto nuove forme e la concezione di fondo della sua "pace"
come un sistema di apartheid capace di tenere sotto controllo il presente
e il futuro del popolo palestinese; ha provato che la forza del popolo palestinese non
deve essere sottovalutata: una forza che ha svelato le menzogne dei passati dieci anni
intorno al concetto di "normalizzazione", "coesistenza", "basi della pace" e ha dato
riconoscimento e riaffermazione alla resistenza, dignità e orgoglio nazionali; ha ridato
sia ai palestinesi sia agli altri arabi il posto che loro spetta come parti a pieno titolo
del conflitto nonostante gli alti prezzi pagati dai palestinesi e lo squilibrio delle
forze; ha ridato alla causa palestinese il suo giusto ruolo, nel mondo arabo e nell'arena
internazionale, quale principale lotta di liberazione della nostra era; infine ha offerto
un'opportunità storica ai palestinesi di rivalutare e rivedere gli eventi degli anni
passati: se si saprà approfittare di questa opportunità il popolo palestinese potrà
riscrivere nel modo più giusto e più chiaro la sua strategia politica fondata sulla
resistenza all'occupazione israeliana e sul tentativo di recuperare i propri diritti
legittimi. L'intifada è riuscita a riunificare il popolo palestinese dopo dieci anni
di frammentazione e di divisioni interne. Se questa unità ritrovata non sarà trasformata
in un programma politico chiaro, con obiettivi e pratiche democratiche, il rischio è che
il patrimonio raggiunto a così caro prezzo vada perduto. Pertanto è cruciale che tutte
le parti politiche trasformino la loro unità nazionale in unità politica.
E' ottimista per il futuro?
Certo che sono ottimista. E non lo dico solo per opportunismo ma perché vedo come si
muove la realtà e la storia e conosco la forza e la decisione del nostro popolo. Vedo
le possibilità della nazione araba e il ruolo storico e civilizzato che può giocare
nell'arena internazionale. La chiave per fare fronte a ogni potenziale conflitto
interno è garantire un processo democratico a ogni livello della società, assicurare
il pluralismo culturale, religioso, politico e sociale. Così che diventi una fonte di
ricchezza e di unità anziché una via verso la frammentazione che favorisca le
interferenze esterne e colonialiste.
|