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Report dalla prima giornata
Un pezzo di noi e' arrivato
Il vento spazzava il deserto mentre i taxi collettivi ci
accompaganavano
da amman alla frontiera giordano-israeliana.
Il nostro e' il primo di tre gruppi da quindici a tentare il
passaggio.
I tassisti continuano a fare domande alle quali rispondiamo
elusivamente: turismo, le tombe, petra, il mar morto, ognuno si
inventa
la sua scusa.
bombardamento:
il 9 marzo i carri armati israeliani
entrano nel campo profughi di dheishe distruggendo case,
strutture pubbliche tra cui una scuola e un centro
per gli handiccapati.
La stessa notte sono state fatte retate: stati bendati
tutti i palestinesi tra i 15 e i 40 anni, privati
qualsiasi diritto umano ne sono stati arrestai 60
di cui 3 ancora in carcere.
Questo e quello che rimane del passaggio dei
carri armati israeliani.
Dopo mezz'ora di viaggio ci scaricano alla frontiera
giordana; un'ora di attesa, 10 euro e passa la paura.
Un'autobus ci porta all'altra frontiera, quella che temiamo di piu',
quella israeliana. Lungo la strada iniziano a comparire le bandiere
con
la stella di David e dal deserto cominciamo a vedere i primi prati
all'inglese: ci stiamo avvicinando al posto di frontiera vero e
proprio.
Ad uno ad uno veniamo fatti passare attraverso il metal detector,
mentre
i nostri bagagli vengono controllati; ad alcuni di noi trattengono il
passaporto e vengono sottoposti a una perquisizione piu' approfondita
e
un interrogatorio, anche se non particolarmente intenso.
I primi di noi ad affrontare la richiesta del visto ci rincuorano,
riuscendo a cavarsela con due domande e un sorriso. Dopodiche' la
presenza di svariate persone provenienti dallo stesso paese e senza un
programma preciso per le loro "vacanze alternative" ha insospettiuto
una
degli agenti di frontiera, che ha quindi trascinato tutto il gruppo in
una spirale di ripetute domande con banali risposte e tempi morti di
attesa. Dopo un'ora e mezza e una abbondante dose di charm e fascino
italico siamo riusciti a passare.
Cambiamo un po' di soldi e contrattiamo con i tassisti per il
trasporto
fino alla Porta di Damasco a Gerusalemme. Un veloce falafel o similia
e
siamo di nuovo in autobus alla volta del checkpoint prima di Betlemme,
mentre due di noi aspettano gli altri gruppi.
Al check point diverse persone scendono poco prima della fermata per
tentare di evitare il blocco dei militari israeliani, mentre noi ci
incamminiamo nello stretto passaggio che porta dall'altro lato del
blocco.
Insieme a noi camminano decine e decine di palestinesi, donne, ragazzi
e
anzianii, che passaano per questo luogo tutti i giorni della loro
esistenza occupata. Proprio di fronte al punto in cui un giovane
militare israeliano controlla i nostri passaporti e' parcheggiato un
enorme bulldozer corazzato, di quelli che usano per abbattere le case
e
le baracche.
Il puinto in cui ci troviamo di fronte al controllo e' un budello in
cui
puo' passare solo una persona per volta. La situazione e' surreale e
crudele: passano due di noi in fila per uno come pecore e il soldato
guarda il loro passaporto sorridendo... "italian eheh" ... poi
arrivano
due ragazzi palestinesi; uno di loro abita a Betlemme, l'altro vuole
andare a visitarlo a casa sua, ma il soldato non vuole sentire
ragioni,
se il ragazzo che lo accompagna non ha il visto non passa. La
situazione
si fa piu' tesa e le voci piu' alte nel tono, mentre noi e tutti gli
altri in coda con noi guardano attoniti, mentre la rabbia creSCE.
Alla fine riusciamo a passare mentre i due venbgono rispediti
indietro.
Dall'altro lato recuperiamo due taxi e arriviamo finalmente ad IBDA,
il
centro culturale a Deheishe.
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combattenti:
su tutti i muri dei campi profughi e sui muri delle case
ci sono foto che ricordano i martiri, uccisi dall`esercito
israeliano o suicidi per il popolo.
Ogni famiglia conta almeno un martire e in ogni
manifestazione pubblica vengono ricordati con poster,
murales, foto.
Dopo un paio di ore arrivano al check point anche le due persone che
stavano aspettando i restanti due terzi della comitiva. Si trovano
davanti una lunga coda di palestinesi ceh da un'ora aspettano di
passare
il controllo sotto le urla degli israeliani, fermi come animali nei
carri, insultati e infreddoliti dal vento gelido. A questo punto le
persone del nostro gruppo insieme a due donne israelinae che facevano
parte del gruppo degli osservatori sui diritti umani si sono schierate
in favore dei palestinesi in fila e hanno fatto pressione sui militari
perche' li lasciassero passare e interrompessero il trattamento
inumano
a cui stavano sottoponendo quelle persone.
Infine tutto il primo gruppo si ritrova al centro culturale Ibda,
mentre
al momento 20 persone circa sono trattenute alla frontiera israeliana
e
ancora non sappiamo se riusciranno a raggiungerci.
Nonostante i carri armati si siano ormai allontanati dalle zone
dell'autonomia, le persone con cui parliamo pensano che non tarderanno
a
tornare. Non si respira una bella aria, ma il morale e' alto.
Martedi' 26 marzo 2002
Un campo di notte
E' gia' notte ma Nabil insiste per seguirlo in un "tour" attraverso il campo profughi di Dheiseh. Nabil ha ventisei anni, e' alto e i suoi occhi profondi trasmettono un senso di tranquillita' che non ci si aspetterebbe da chi vive in un posto come questo.
In una decina decidiamo di andare. La strada sconnessa si arrampica sulla collina dove poggia il campo, e dopo pochi passi sale il primo groppo in gola. Siamo davanti a cio' che resta di un centro per handicappati colpito "per sbaglio" da un missile lanciato da un F16 israeliano. Un cancello arrugginito resiste in piedi, esile protezione del nulla. Andiamo avanti al buio, il paese e' quasi deserto. I segni dei bombardamenti sono ovunque e nei pochi negozi aperti praticamente nessun cliente.
Il nostro passaggio e' molto apprezzato, di questi tempi sono pochi i pazzi che decidono di spingersi in questa zona, noi fra quelli.
In ogni bottega campeggiano i ritratti dei troppi martiri che abitavano in queste case, foto di giovani che imbracciano fucili automatici, impaginate fra i simboli delle organizzazioni armate. Nabil ci spiega che ad ogni combattente vengono scattate queste foto in anticipo, per averle sempre pronte, nell'evenienza...
Nel frattempo arrivano i bambini, le voci viaggiano veloci nel campo. Ci seguono divertiti per un po', poi spariscono; e' quasi ora di cena.
Continuiamo il "tour" e lo spettacolo e' sempre piu' pesante; altre case crollate sotto le bombe, case che appartenevano alle famiglie dei combattenti, bersaglio della reppresaglia sionista. A farne le spese sono anche le case vicine, raggiunte dai colpi vaganti o dagli spostamenti d'aria che spazzano regolarmente i vetri dalle finestre.
La voce del "muezzin" risuona come un lamento struggente, riecheggia nel campo mentre raggiungiamo la casa di Nabil. Poco prima di arrivarci passiamo davanti a quello che doveva essere il centro stampa, anche questo sfregiato dalle armi pesanti.
E' il Nonno ad aprirci la porta, un vecchio asciutto, ossuto, vestito con una lunga palandrana sotto una giacca all'occidentale.
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questa era una camera da letto dopo il bombardamento e`diventata un garage |
Ci stringe la mano uno ad uno, poi ci invita a prendere un te'. Accettiamo volentieri.
La casa e' assolutamente spoglia ma una straordinaria energia vitale la abita. Il vecchio racconta di essere stato deportato qui negli anni cinquanta e che il suo villaggio praticamente non esiste piu', al suo posto le case degli israeliani.
Ormai e' tardi, il resto del gruppo ci aspetta per la cena. Torneremo dal vecchio a farci racontare la sua storia, uguale a quella di migliaia di altri, vittime dell' assurda violenza che sta lacerando questo angolo del mondo.
Ibda, Deheishe
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